P'Tit Quinquin

Un film di Bruno Dumont. Con Alane Delhaye, Lucy Caron, Bernard Pruvost, Philippe Jore, Philippe Peuvion.
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Formato Serie TV, Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 200 min. - Movies Inspired
   
   
   

Una visione di esilarante introspezione poetica Valutazione 5 stelle su cinque

di Vansabra


Feedback: 100
lunedì 24 agosto 2020

Se dovessi recensire P'tit Quinquin con leggerezza, direi che è stata una visione davvero molto bella e sapendo di sottoscrivere il parere di molti, probabilmente mi fermerei qui, ma se invece trovassi il tempo per aggiungere qualcos’altro oltre all’ovvietà di questa bellezza già dichiarata, direi che in questo teatrino in quattro atti vi è stato messo dentro tutto quello che si può trovare nella settima arte. Provo 

a procedere per gradi, ed ecco che la quiete dei personaggi posizionati, come burattini mossi da una misteriosa mano, in questo paesino nel nord della Francia viene lacerata da una serie di malsani omicidi di cui sembra non esserci un vero lineare senso, sia per la strana dinamica del povero animale che viene ogni volta sacrificato o incolpato, sia per i corpi umani annessi, che finiscono per diventare estensioni fisiche mutilate che lasciano solo il ricordo dell’iniziale forma umana a cui hanno dovuto rinunciare. 
È pressoché impossibile non provare tenerezza fin da subito, per il piccolo Quinquin e il resto della  banda, ecco perché diventano i buffi portatori sani di una innocenza che diventa loro per diritto empatico mentre li vediamo assistere, intervallando le loro marachelle da bulletti, alle atrocità di una violenza cadenzata, che vorremmo non fosse mai svelata dinnanzi agli occhi e gli orecchi attenti dei giovani protagonisti, che per tutto il lungometraggio cercano di sfuggire alla crudeltà della dinamica tra un giro in bici,  una porzione di patatine fritte e un petardo, mentre il comandante di polizia più improbabile della storia, accompagnato dal suo tenente che con fare filosofeggiante ed una goffa guida, lo scorrazza da un luogo di un omicidio ad un altro. 
Credo che la vera bellezza di questa pellicola in quattro atti, stia nell’assurdo continuo dispiegarsi verbale, tra osservazioni senza un senso reale con dialoghi  scarni che lasciano molto spazio alle supposizioni e con ripetizioni che risultano divertenti ma solo perché la quantità di tic  o visive stranezze, presenti nella metà dei protagonisti e le peculiarità attoriali, fanno della visione totale un circo sgangherato, regalando un sorriso, negli esilaranti momenti in cui, in una specie di chapliniana scelta recitativa, è impossibile rimanere seri, sorriso che però viene piano piano  meno, perché finisce per raggiungerci anche quel senso di colpa per l’aumento di quelle vittime che creano una catena di nonsense umorale vedendoci costretti ad avanzare in mezzo a questa curiosità investigativa che si insinua nella bellezza del paesaggio e in questa cornice dell’assurdo. 
Mi piace pensare che il regista, con il suo P'tit Quinquin, provi a suggerirci su chi e cosa dobbiamo puntare un faro luminoso per tutta la visione, tralasciando la morte che assume verso la fine anche citazioni pittoriche, cercando di dimenticare l’orecchiabile canzone pop cantata anche in un funerale, le macchine da recuperare dentro l’acqua del mare, l’odio razziale procurato dalla mancanza di una vera educazione che possa fare vedere l’altro come un nostro simile e non un ospite, e tralasciando la forse soluzione finale del presunto assassino, possiamo accogliere come un distillato centellinato da quelle 3 ore e mezza di visione, un piccolo suggerimento di vita, che troviamo nelle parentesi emotive in quella bolla di magnificenza, quando i piccoli Quinquin ed Eve ci ricordano che può sempre esserci un abbraccio da dare o ricevere, per dimenticare per qualche minuto le brutture del mondo, come se all’interno di quello spazio creato dall’affetto fattosi atto, si potesse dimenticare tutto il resto. Così come il Tenente che più volte finisce per guardare dritto in camera regalandoci il brivido di essere anche noi protagonisti della storia, rimaniamo con addosso uno sguardo attento, felici di una visione che finiremo per etichettare come assurdamente funzionante e a tratti anche inaspettatamente poetica. 

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