ennas
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lunedì 19 novembre 2012
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riti e promesse
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Il film ci rivela un mondo sconosciuto, una comunità ermetica scandita da una liturgia onnipresente con riti codificati e pervasivi. In essa la giovane Shira , guidata dalla madre, vede per la prima volta, a debita distanza, il giovane promesso, pregustando con eccitazione i brividi di un matrimonio che verrà, predisposto dalla sua famiglia.
Già in questo primo passaggio del film, vediamo quanto, all’interno di una comunità chiusa, i comportamenti ma anche i sentimenti siano marcati da un’appartenenza che modella le persone.
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Il film ci rivela un mondo sconosciuto, una comunità ermetica scandita da una liturgia onnipresente con riti codificati e pervasivi. In essa la giovane Shira , guidata dalla madre, vede per la prima volta, a debita distanza, il giovane promesso, pregustando con eccitazione i brividi di un matrimonio che verrà, predisposto dalla sua famiglia.
Già in questo primo passaggio del film, vediamo quanto, all’interno di una comunità chiusa, i comportamenti ma anche i sentimenti siano marcati da un’appartenenza che modella le persone.
La regia ci presenta un film molto suggestivo sul piano formale: è girato egregiamente, con un’ottima fotografia e una cura dei dettagli che lo rendono visivamente bello e raffinato: insieme all’angelica protagonista ( Hadas Yaron Coppa Volpi a Venezia 2012) , altri personaggi curatissimi si muovono all’interno ( gli esterni girati sono sporadici) di un’ambientazione satura di una ritualità costante ma anche da un ritmo di vita tranquillo che trasuda, accanto alla cura dello spirito, un senso di opulenza materiale. Tutte le vicende della comunità, nascite, matrimoni, morti, vedovanze fino all’acquisto di un bene, un forno, ad esempio, vengono sottoposte all’autorità per eccellenza, il rabbino capo. La regia ci mostra persino una sorta di “redistribuzione del reddito” da parte del rabbino: una specie di comunismo fra benestanti.
Questo mondo di rituale vicinanza e di granitiche certezze può anche affascinare molti di noi, abitanti della società globale, dove “ prossimità” e “sicurezza” sono in via d’estinzione, travolti dal prevalere di un modello di individuo in cui la libertà di essere oscilla tra il tutto è permesso-niente è possibile.
Nella fascinazione estetica che il film procura , la “scelta” di Shira di accollarsi l’ingiunzione ricattatoria della madre di sposare il vedovo della figlia maggiore morta di parto (se Yohai se ne andrà col bambino per sposare una donna lontana io non sopravviverò, dice alla figlia)a qualcuno può persino sembrare plausibile, il sacrificio della ragazza, per il bene di tutti, mantenendo il piccolo Mordechai all’interno della famiglia e allevandolo, potrebbe infine forse essere contenta. La regia però ci mostra, anche se con delicatezza, le incertezze, i dubbi ed anche i meccanismi che porteranno la giovane alla meta prefissata.
In questa comunità dove le gerarchie sono ferree, i maschi sono dominanti le donne sottomesse, un ruolo chiave è quello della madre di Shira ( molto brava l’attrice Irit Sheleg) : si è colpiti dal suo potere occulto e dominante che viene esercitato sull’intera famiglia. In altre società chiuse si è riscontrato questo fenomeno: le donne anziane del gruppo che diventano veicoli dell’oppressione delle più giovani, nonché le custodi dei valori di autoritarismo del gruppo. Nel film la madre di Shira, dopo aver tessuto la tela del destino della figlia le consegna una libertà di scegliere svuotata di senso.
Da quel punto in poi la figlia si persuaderà che questo matrimonio col cognato s’ha da fare, e la sua “scelta” diventerà accettazione e identificazione con la figura materna. Questo processo rimodella anche i suoi sentimenti più profondi: l’attenzione verso il cognato si fa via via più tenera ( la regia aiuta questo passaggio avendo scelto nel ruolo del cognato un giovane uomo molto attraente.) Anche nell’amore, ciò che siamo non prescinde da ciò che ci circonda.
Per me, è da vedere questo film, soprattutto come documento girato dall’interno, sulla vita e i modelli di una comunità : modelli da discutere, ammirare o rifiutare e perciò da conoscere.
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peer gynt
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lunedì 3 settembre 2012
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dal dovere all'amore
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La diciottenne Shira, ansiosa di sposarsi, è promessa dai suoi genitori (ebrei osservanti della corrente chassidica, caratterizzata da un rigore dottrinario e rituale estremo) ad un coetaneo. Ma quando sua sorella muore dando alla luce un bambino, ed è evidente che il vedovo dovrà a breve risposarsi per dare una madre all'orfano, a Shira si chiede di sacrificarsi per la famiglia e sposare lei il cognato. Ritratto psicologicamente profondo di una giovane donna e della sua progressiva presa di coscienza della differenza fra dovere e amore. Il passaggio fra il subire un destino imposto dall'alto e l'accettarlo con sincera partecipazione comporta una lenta e sofferta introspezione, che il personaggio di Shira affronta con serena maturità.
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La diciottenne Shira, ansiosa di sposarsi, è promessa dai suoi genitori (ebrei osservanti della corrente chassidica, caratterizzata da un rigore dottrinario e rituale estremo) ad un coetaneo. Ma quando sua sorella muore dando alla luce un bambino, ed è evidente che il vedovo dovrà a breve risposarsi per dare una madre all'orfano, a Shira si chiede di sacrificarsi per la famiglia e sposare lei il cognato. Ritratto psicologicamente profondo di una giovane donna e della sua progressiva presa di coscienza della differenza fra dovere e amore. Il passaggio fra il subire un destino imposto dall'alto e l'accettarlo con sincera partecipazione comporta una lenta e sofferta introspezione, che il personaggio di Shira affronta con serena maturità. Hadas Yaron, l'attrice che veste i panni di Shira, presta il suo volto pulito e la sua intensa partecipazione a questo bel percorso di auto-consapevolezza.
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renato volpone
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domenica 18 novembre 2012
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il chiuso pensiero della religione
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Un mondo piccolo dove uomini e donne, in nome di Dio, giocano con i sentimenti degli altri. Shira non può scegliere, non può vivere la propria libertà di donna, ma deve subire le responsabilità e le sofferenze degli altri. Il suo desiderio di amore e la sua speranza di una giovinezza felice vengono infranti dalla sorella che morendo mette alla luce un bambino. Così la madre chiede a Shira di sposare il cognato per non veder allontanare il bambino. Ma tutto, perfetto come i canti delle preghiere, consuma l'imperfezione di una esistenza dove uomini e donne non sono padroni di se stessi e del proprio destino. Una realtà straziante in questo terzo millennio dove la ragione e il progredire sono ancora sopraffatti da antichissimi retaggi religiosi.
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Un mondo piccolo dove uomini e donne, in nome di Dio, giocano con i sentimenti degli altri. Shira non può scegliere, non può vivere la propria libertà di donna, ma deve subire le responsabilità e le sofferenze degli altri. Il suo desiderio di amore e la sua speranza di una giovinezza felice vengono infranti dalla sorella che morendo mette alla luce un bambino. Così la madre chiede a Shira di sposare il cognato per non veder allontanare il bambino. Ma tutto, perfetto come i canti delle preghiere, consuma l'imperfezione di una esistenza dove uomini e donne non sono padroni di se stessi e del proprio destino. Una realtà straziante in questo terzo millennio dove la ragione e il progredire sono ancora sopraffatti da antichissimi retaggi religiosi. Il regista, riuscendo a dare una grande interpretazione alla protagonista, ci disegna i contorni della religione ebraica e li rinchiude in un momento fuori dal tempo e dalla realtà, isolandone il contesto e svelandone tutta la triste drammatica irragionevolezza. Il pianto della sposa bagna il bianco vestito che non le appartiene, bagna il destino di una donna che ancora oggi non può essere libera da miti e credenze che la relegano in un piano diverso da quello dell'uomo, negando cosi il libero sviluppo della mente e la naturale essenza dell'essere.
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ninoraffa
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lunedì 4 settembre 2017
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questione di sentire
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I buoni film, forse, più che indicarci qualcosa di nuovo, servono a riflettere su quello che già sappiamo. Così la Sposa Promessa ci dice qualcosa sugli Ebrei Ortodossi, i loro costumi e gli scrupolosi riti che ne scandiscono il quotidiano, ma è soprattutto occasione di tornare su di noi, da loro così distanti.
Tel Aviv. La diciottenne Shira, figlia minore di un rabbino chassidico, è in età di matrimonio; la famiglia sta quindi provvedendo a trovarle marito e anche un supermercato casher può essere un buon posto per un primo contatto, naturalmente accompagnata dalla madre, a debita distanza e senza una parola. Nel tranquillo svolgersi della combinazione tra rabbini, la morte di parto della sorella Esther, sovvertirà ogni piano: la madre di Shira, temendo di perdere il nipotino nato da poco, propone alla figlia di sposare lo stesso Yochai, al quale intanto sono state offerte nuove nozze all’estero.
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I buoni film, forse, più che indicarci qualcosa di nuovo, servono a riflettere su quello che già sappiamo. Così la Sposa Promessa ci dice qualcosa sugli Ebrei Ortodossi, i loro costumi e gli scrupolosi riti che ne scandiscono il quotidiano, ma è soprattutto occasione di tornare su di noi, da loro così distanti.
Tel Aviv. La diciottenne Shira, figlia minore di un rabbino chassidico, è in età di matrimonio; la famiglia sta quindi provvedendo a trovarle marito e anche un supermercato casher può essere un buon posto per un primo contatto, naturalmente accompagnata dalla madre, a debita distanza e senza una parola. Nel tranquillo svolgersi della combinazione tra rabbini, la morte di parto della sorella Esther, sovvertirà ogni piano: la madre di Shira, temendo di perdere il nipotino nato da poco, propone alla figlia di sposare lo stesso Yochai, al quale intanto sono state offerte nuove nozze all’estero.
Brillante e raffinato esordio della regista israeliana Rama Burshtein, La sposa promessa guarda con normalità e sorvegliata simpatia al mondo chassidico che per tutto il film assume le dimensioni dell’universo intero. Un mondo unico e tutto d’un pezzo, fermo a precetti millenari di cui non capiamo il senso, ma che in qualche modo ci tocca attraverso la serena convinzione dei suoi abitanti; ché in fondo separazione tra i sessi, matrimoni combinati e seconde nozze tra cognati in caso di vedovanza, non sono bizzarrie esclusive di chi gira in talled, la barba lunga, trecce e filatteri in testa, ma furono usi correnti tra i nostri nonni.
Shira viene formalmente lasciata libera di scegliere. Una sua zia invalida, in gioventù ha rifiutato un buon partito semplicemente perché non le piaceva. Shira è benestante, istruita, informata, ben consapevole di ciò che perde sposando Yochai. In uno dei loro incontri rivendica lucidamente che con queste nozze lei sta rinunciando a ciò che di meraviglioso e nuovo accade tra due giovani che s’incontrano e amano per la prima volta. A lei, invece, si chiede soprattutto di essere una buona madre per il piccolo Mordechai.
Eppure Shira accetterà. Influenzata dalla madre-matriarca, certamente. Possiamo pure aggiungere il condizionamento di una rigida educazione religiosa basata sull’etica del sacrificio, specie femminile; e la soggezione assoluta alla (per noi, molto presunta) volontà di Dio; per non parlare della svalutazione del sé rispetto alla comunità, inculcata sin da piccola. Tutto ciò fa di Shira una vittima, e l’ultima inquadratura dopo le nozze, lo sguardo sospeso, sola con Yochai in un angolo della camera da letto, sembra confermarlo. Shira è una che chiede a Dio la forza di alzarsi; lo stesso Yochai cerca di leggere nella preghiera i segni che dirigano i suoi passi incerti. Per noi sono debolezze. Noi abituati a cavarcela da soli, ad anteporre noi stessi, ad amare per il nostro bene, a cercare la libertà nel senso assoluto e inevitabilmente egoistico del termine.
Interrogata dal rabbino prima delle nozze sui suoi sentimenti Shira dice: non è questione di sentire. E questi risponde: è solo questione di sentire. E lei ancora: c’è un compito da svolgere e vorrei che tutti fossero soddisfatti. Fare ciò che si deve, eppure secondo un sentimento: amare per dovere; dovere che torna a diventare amore. Sembra questo l’insensato senso del mondo di Rama Burshtein. Eppure libertà, amore e sentimento non necessariamente devono avere l’unico significato che piace a noi. La sposa promessa è quel significato diverso.
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56mad
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domenica 18 novembre 2012
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nuovo e notevole
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il primo pensiero da occidentale è di fastidio e repulsione :è possibile che queste donne abbiano in mente solo il matrimonio? non potrebbero svegliarsi,studiare e andare a trovarsi un lavoro bello e soddisfacente?ma la regista è bravissima a farci entrare con dolcezza ed incisività nel suo particolarissimo mondo. non é un film sull'amore,è un discorso che riguarda la capacità di fidarsi e di affidarsi,a Dio,alla propria tradizione culturale e alla propria comunità.è questa capacità di accudimento e tenerezza reciproca(avreste mai immaginato un gesto di profondo rispetto ed accoglienza come quello del rabbino che accompagna la vecchia donna sola nella propria cucina per aiutarla a scegliere un nuovo forno?)che salva dal dolore che accompagna ogni vita.
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il primo pensiero da occidentale è di fastidio e repulsione :è possibile che queste donne abbiano in mente solo il matrimonio? non potrebbero svegliarsi,studiare e andare a trovarsi un lavoro bello e soddisfacente?ma la regista è bravissima a farci entrare con dolcezza ed incisività nel suo particolarissimo mondo. non é un film sull'amore,è un discorso che riguarda la capacità di fidarsi e di affidarsi,a Dio,alla propria tradizione culturale e alla propria comunità.è questa capacità di accudimento e tenerezza reciproca(avreste mai immaginato un gesto di profondo rispetto ed accoglienza come quello del rabbino che accompagna la vecchia donna sola nella propria cucina per aiutarla a scegliere un nuovo forno?)che salva dal dolore che accompagna ogni vita.E'il loro mondo,naturalmente,non il nostro.questa concezione di vita richiede di pagare prezzi troppo alti alla nostra indipendenza .ma ha indubitabili valori .
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adelio
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martedì 5 febbraio 2013
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you can see there's growing, filling the void
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E’ veramente difficile rimanere motivato se non hai uno scopo da perseguire. Lavorare per raggiungere un obiettivo aiuta molto a trovare valore nella tua vita. L’assenza di un traguardo a cui arrivare può certamente causare problemi di tipo emotivo e farti percepire la sensazione di vuoto interiore.
Ma la comunita’ Chassidica questo vuoto non lo vuol conoscere perché la vita che scorre nei rapporti tra uomini e donne è fatta di solidarietà e comune senso dell’obiettivo da raggiungere: lo sviluppo della spiritualità interiore e il rispetto degli altri mostrano l’autenticità della cultura ebraica ancorchè esasperata da un’ortodossia integralista mai però irrispettosa dell’uomo sia esso anima o corpo.
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E’ veramente difficile rimanere motivato se non hai uno scopo da perseguire. Lavorare per raggiungere un obiettivo aiuta molto a trovare valore nella tua vita. L’assenza di un traguardo a cui arrivare può certamente causare problemi di tipo emotivo e farti percepire la sensazione di vuoto interiore.
Ma la comunita’ Chassidica questo vuoto non lo vuol conoscere perché la vita che scorre nei rapporti tra uomini e donne è fatta di solidarietà e comune senso dell’obiettivo da raggiungere: lo sviluppo della spiritualità interiore e il rispetto degli altri mostrano l’autenticità della cultura ebraica ancorchè esasperata da un’ortodossia integralista mai però irrispettosa dell’uomo sia esso anima o corpo.
Il film è un gioiello cesellato, raffinato e curato in ogni dettaglio come si addice alle regole meticolose e antiche di una comunità che si vuole raccontare e che si distingue dal materialismo rumoroso, superficiale e consumistico circostante. Tant’è che nel film nemmeno viene raccontato come gli appartenenti a questa comunità si mantengano, che lavoro facciano…i problemi materiali non sono veri problemi!...si risolvono in fretta con la ridistribuzione della ricchezza e con pragmatismo.
Una comunità che fa dell’espressione “Fill the Void” il principale elemento di vita: si devono preparare argomenti di conversazione per affrontare i momenti di silenzio (dice Esther alla sorella Shira in vista del suo fidanzamento), non si può rimandare il fidanzamento anche se il momento è delicato (si dicono i 2 capi famiglia), non ci si distrae nemmeno quando si aspetta l’autobus, c’è il lutto della sorella e…. Shira deve riempire il vuoto affettivo immenso che ha colpito Mamma, Babbo, Cognato e …un po’ tutti.
Insomma c’è un dovere sociale da svolgere, scandito da regole che probabilmente hanno scritto gli uomini ma che sono le donne (quali depositarie) a far osservare con un certo zelo e con la maestria del sottile ricatto affettivo.
Il benessere sociale della comunità è dato dalle regole e ognuno ha la libertà di rigettarle o accettarle ma difficilmente di contestarle. Osservate la zia senza braccia che nel messaggio filmico altro non è che la rappresentazione della contestazione (lei menomata che rifiuta un promesso marito “zoppo”) ovvero della persona che dentro di sé ha la forza per dire qualcosa di diverso dalle regole (anche rispetto alla vicenda sofferta di Shira) ma che alla fine…..non ha “le braccia” per farlo materialmente.
È un film intimista e per questo girato prevalentemente negli interni come se fossero gli antri dell’anima delle persone, la società altra è lontana, non si vede, si sente con suoni attutiti e spesso disturbanti.
Il film ha una fotografia molto incisiva ed efficace, le musiche sono molto belle e perfettamente assonanti con le immagini.
Le lacrime finali di Shira nella loro valenza catartica commuovono e invitano lo spettatore a meditare se la decisione della giovane donna sia sacrificio o felicità….ad ogni buon conto reputo il film eccellente.
Sconfiggi la tua sensazione di vuoto interiore e vivrai abbondantemente!
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violettaaa
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domenica 18 novembre 2012
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un’incantevole e delicata introspezione all’intern
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La vicenda si svolge a Tel Aviv, all’interno di una comunità ebraica ultra-ortodossa, della corrente chassidica. Siamo ai nostri giorni ma lo spettatore se ne rende conto solo da particolari come i cellulari o le automobili. Per il resto gli usi e costumi di questa comunità sembrano emergere dal passato. Religione, spiritualità e costumi sociali sono così strettamente interconnessi da fondersi. La comunità è interamente pervasa dall’osservanza di rigidi schemi comportamentali, da una ritualità non solo religiosa ma anche sociale. Il rabbino non rappresenta solo una figura religiosa bensì una figura di riferimento spirituale e materiale, fondamentale in ogni aspetto della vita degli individui (indicativa la scena in cui una vecchietta, senza parenti né amici, chiede ed ottiene la consulenza del rabbino per la scelta di una cucina a gas).
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La vicenda si svolge a Tel Aviv, all’interno di una comunità ebraica ultra-ortodossa, della corrente chassidica. Siamo ai nostri giorni ma lo spettatore se ne rende conto solo da particolari come i cellulari o le automobili. Per il resto gli usi e costumi di questa comunità sembrano emergere dal passato. Religione, spiritualità e costumi sociali sono così strettamente interconnessi da fondersi. La comunità è interamente pervasa dall’osservanza di rigidi schemi comportamentali, da una ritualità non solo religiosa ma anche sociale. Il rabbino non rappresenta solo una figura religiosa bensì una figura di riferimento spirituale e materiale, fondamentale in ogni aspetto della vita degli individui (indicativa la scena in cui una vecchietta, senza parenti né amici, chiede ed ottiene la consulenza del rabbino per la scelta di una cucina a gas). In tale contesto i matrimoni, rappresentando la formazione di una nuova famiglia e quindi di una nuova articolazione della struttura sociale, non sono un affare solo dei due futuri sposi, né un affare che si allarga semplicemente alle famiglie di appartenenza dei futuri sposi, bensì una decisione che può arrivare a coinvolgere il capo religioso della comunità. Le ragioni del cuore non vengono però ignorate e l’ultima parola spetta sempre agli sposi. Shira ha 18 anni e vive con serenità ed emozione la proposta di matrimonio che le arriva da un coetaneo, dopo che le famiglie hanno svolto le trattative di rito. Ma la tragedia che colpisce la famiglia di Shira, che vede morire la sorella mentre dà alla luce il suo primogenito, sconvolge a tal punto la dinamica degli equilibri in gioco, da indurre la madre di Shira a proporla in sposa al genero rimasto vedovo Yochay. La famiglia d Yochay, infatti, preoccupata di garantire al figlio ed al nipotino un nuovo nucleo famigliare, gli propone di prendere in moglie una vedova, appartenente alla comunità chassidica trasferitasi in Belgio. La prospettiva di perdere il nipotino che rappresenta l’unico legame rimastole con la figlia morta induce la madre di Shira a decidere di proporla in sposa a Yochay. L’idea del matrimonio tra genero e cognata viene vissuta dai destinatari dapprima con repulsione, dopo come una possibile scelta di buon senso, quindi come una dovuta scelta di dovere, per arrivare, solo alla fine, a trasformarsi in una piena scelta d’amore. L’amore, grande escluso all’interno di un matrimonio combinato, entra in scena gradualmente, per pervadere man mano l’intero film, sino a diventarne il leitmotive. La comunità chassidica che appare inizialmente troppo presa da ragioni di convenienza pratica per occuparsi delle ragioni del cuore si rivela alla fine attenta ai sentimenti tanto da far coincidere,con un tantino di intervento mirato della regista RAMA BURSHTEIN, che ha aderito da adulta e per libera scelta al chassidismo, il rigore della forma con il rispetto della sostanza. Emblematica Shira che dice al rabbino: “ Non è questione di sentire” per sentirsi rispondere: “E’ solo questione di sentire”. La lenta elaborazione della proposta di matrimonio da parte di Shira, con il vortice di sentimenti, emozioni e sensazioni che le scatena, configura in definitiva il film come un’incantevole e delicata introspezione all’interno dell’animo umano
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aloisa clerici
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sabato 1 dicembre 2012
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amare oggi a tel aviv
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Il film d’esordio di Rama Burshtein, La sposa promessa è innanzitutto, un’interessante documento sociale, un lungometraggio che racconta un mondo a noi occidentali quasi sconosciuto, quello della comunità ebraica.
Dalla prospettiva proposta dal film, si rileva sin dalle prime immagini la stridente forza di una realtà sociale chiusa e rigida, opprimente e severa, all’interno del quale i matrimoni sono ancora combianti dalle famiglie e la condizione femminile è legata alla presenza/dipendenza della figura di uomo-patriarca. La storia si svolge nella Tel Aviv dei giorni nostri, all’interno della comunità ebraica ortodossa di corrente chassidica, ma la stato di “attualità” è individuabile solamente dalla presenza di oggetti di tecnologia moderna, mentre usi e costumi ricordano atmosfere di mezzo secolo fa.
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Il film d’esordio di Rama Burshtein, La sposa promessa è innanzitutto, un’interessante documento sociale, un lungometraggio che racconta un mondo a noi occidentali quasi sconosciuto, quello della comunità ebraica.
Dalla prospettiva proposta dal film, si rileva sin dalle prime immagini la stridente forza di una realtà sociale chiusa e rigida, opprimente e severa, all’interno del quale i matrimoni sono ancora combianti dalle famiglie e la condizione femminile è legata alla presenza/dipendenza della figura di uomo-patriarca. La storia si svolge nella Tel Aviv dei giorni nostri, all’interno della comunità ebraica ortodossa di corrente chassidica, ma la stato di “attualità” è individuabile solamente dalla presenza di oggetti di tecnologia moderna, mentre usi e costumi ricordano atmosfere di mezzo secolo fa.
La Burshtein fa strada allo spettatore tra la polvere di città e, con indiscutibile eleganza, lo invita ad entrare nella casa di una famiglia e a conoscerne gerarchia, componenti, riti e usanze, fino a far emergere i sentimenti più intimi dei personaggi, smascherandone fragilità e paure dettate dall’obbligo di riferirsi ai costrittivi schemi comportamentali di una comunità.
Il personaggio centrale è la diciottenne Shira, sorella minore di Esther, che attende un figlio dal marito Yochai. Shira è figlia di un rabbino della comunità ortodossa ed è stata promessa in sposa ad un coetaneo che non ha ancora conosciuto. Ma Esther muore di parto e la serenità della famiglia si spegne immancabilmente per trasformarsi in uno stato angoscioso di cordolgio e disperazione che porterà a rivoluzionare i progetti futuri di ognuno. La moglie del rabbino, nell’ipotesi che Yochai se ne vada in Belgio col nipotino Mordechai e si crei un nucleo familiare lontano da lei, gli propone di considerare la piccola Shira come futura sposa, che sarà a causa di questa difficole scelta da compiere, investita di una abnorme responsabilità nei confronti delle aspettative delle famiglia, della memoria della sorella, del rispetto di se stessa e di Yochai.
La narrazione è fluida e lenta, scandita da lunghi silenzi in cui i primi piani riempiono la maggior parte delle scene. I dialoghi sono succinti ed essenziali, ma mai casuali o inutili, e spesso la parola è demandata all’intensità degli sguardi che diventano rivelatori di emozioni la cui forza è alla continua ricerca di una forma espressiva che risulti socialmente congrua. L’altrenanza di diverse messe a fuoco non sono poi così funzionali, sembrano più sperimentazioni registiche che scelte precise; nonostrante ciò, non disturbano, ma accompagnano semplicemente lo scorrere della vicenda.
L’aspetto religioso non è il cuore del film, e anche se la figura del rabbino padre è un riferimento di spiritualità elevata e solonne, a tratti riesce a svelare un’ironia e una dolcezza assolutamente inaspettati, che spezzano il ritmo fisso e clausfrofobico che emana l’elaborazione filmica.
I personaggi di Shira e Yochai inoltre, nonostante la rigidità della partitura monocorde che sono portati a percorrere, finiscono per diventare portavoce di sentimenti profondi come comprensione umana e solidarietà.
Per questo La sposa promessa è da considerarsi una storia dl’amore, o meglio di un certo tipo di amore che non appartiene alla nostra cultura, ma spinge a considerare una volta in più il valore dei sentimenti umani e delle sue misteriose e poetiche forme.
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piris
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martedì 12 febbraio 2013
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che sorpresa
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E' un film di una forza e una bellezza davvero disarmanti. Ti fa entrare dentro una comunità ebrea ortodossa di Tel Aviv, con uno sguardo partecipe e non giudicante, ti fa affezionare ai personaggi, e capire quanto ogni regola antropologica sia poi euqivalente, quando si tratta di amore.
la nascita di un vero amore nel modo più tormentato e originale: il matrimonio combinato.
Un piccolo film capolavoro, un gioiello di fineszza introspettiva e di grande impatto figurativo.
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zoom e controzoom
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lunedì 19 novembre 2012
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non facile da apprezzare e tecnicamente eccentrico
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Il mio gusto personale, non corrisponde a questo film, ma ciò non toglie che ne abbia potuto valutare gl’indubbi pregi peculiari ed apprezzarli.
E’ un film che persegue quasi fino alla fine, un ritmo notevolmente lento ottenuto non solo con una lunga permanenza sulla scena, ma anche con silenzi o dialoghi lenti e con una dialettica rallentata.
La fotografia si avvale di molti primi piani che pur non riempiendo lo schermo, anzi, proprio perché posizionati ad una delle estremità e a volte parzialmente eccedendo oltre il campo, creano un senso d’incombenza pesante.
Alcune inquadrature sono eccessivamente ricercate senza avere una logica o un effetto che corrisponde all’economia del racconto, delle emozioni che si vogliono suscitare e che i fatti del racconto perseguono egregiamente, ma molto valide le luci che disegnano i profili o gli scorgi tra i corpi dei personaggi coinvolti nella scena.
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Il mio gusto personale, non corrisponde a questo film, ma ciò non toglie che ne abbia potuto valutare gl’indubbi pregi peculiari ed apprezzarli.
E’ un film che persegue quasi fino alla fine, un ritmo notevolmente lento ottenuto non solo con una lunga permanenza sulla scena, ma anche con silenzi o dialoghi lenti e con una dialettica rallentata.
La fotografia si avvale di molti primi piani che pur non riempiendo lo schermo, anzi, proprio perché posizionati ad una delle estremità e a volte parzialmente eccedendo oltre il campo, creano un senso d’incombenza pesante.
Alcune inquadrature sono eccessivamente ricercate senza avere una logica o un effetto che corrisponde all’economia del racconto, delle emozioni che si vogliono suscitare e che i fatti del racconto perseguono egregiamente, ma molto valide le luci che disegnano i profili o gli scorgi tra i corpi dei personaggi coinvolti nella scena.
La terza cosa - che invece è funzionale al racconto - è la grande apertura del diaframma, in modo tale da ottenere uno sfocamento graduale, ma totale in modo rapido nel passaggio ai piani secondari, tranne che nel punto esatto scelto dalla regia per il fuoco.
Così, l’attenzione va alla ricerca del dove il tratto dell’immagine nella scena è più nitido – e questo può essere in un personaggio anche molto decentrato – ma quando la scena è comprensiva di più di un personaggio, si perdono parti del racconto che rimane in zona molto ma molto dissolta. Questo dunque pilota l'attenzione e corrisponde a ciò che accade all'interno della griglia filmica voluta.
Queste caratteristiche tecniche indubbiamente ricercate, posso piacere o meno, certo è che sono molto estremizzate e non facilitano la fluidità del film, anzi, lo rallentano maggiormente.
Per quel che riguarda l’intreccio del racconto, la resa di quel particolare strato sociale israeliano, implica grande competenza ricreando il senso d’impotenza accettato ed esempio dalle donne, ma anche dagli uomini che pur apparendo coloro che hanno in mano la gestione degli affari anche privati, devono sottostare alle leggi “interpretate” e confermate dal Rabbino di turno.
Anche la colonna sonora contribuisce notevolmente a immergersi in quel clima che, cercando, potrebbe essere trovato anche nella vita di alcuni professanti estremisti sia cattolici che di altre religioni in qualsiasi parte del mondo.
Splendidamente confezionati i costumi e ottima la scelta del casting, il film presenta un’ultima sorpresa tecnica – che è annunciata con l’abbagliante immersione nel morbido, candido e fluente tulle che pare uscire dallo schermo - quando alla fine, viene totalmente mutata la tipologia della ripresa, che passa ad essere “a spalla” esattamente al un plot della storia che poi non potremo seguire.
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