C'era una volta in Anatolia |
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Un film di Nuri Bilge Ceylan.
Con Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mümtaz Taylan, Muhammet Uzuner, Firat Tanis
Titolo originale Bir zamanlar Anadolu'da.
Drammatico,
durata 150 min.
- Turchia 2011.
- Parthénos
uscita venerdì 15 giugno 2012.
MYMONETRO
C'era una volta in Anatolia
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Ma perché non si possono dare tre stelle e mezzo?
di Francesco2Feedback: 41705 | altri commenti e recensioni di Francesco2 |
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sabato 23 giugno 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Sono, purtroppo, un totale neofita per il film di Ceylan. Ciò detto, valutando questo film non nego un sospetto. Quello di un cinema "Autoriale" che si compiace de tempi morti, e di scene apparentemente o realmente anodine -Gli "interrogatori" a cui uno degli assassini viene sottoposto sul posto, per esempio- nonché di una poetica dell'incomunicabilità, messa a fuoco -Credo- da Kiarostamì più di quindici anni fa: primi piani che , da un lato, si concentrano su un'immagine, e dall'altro, la focalizzano con esseri umani o oggetti abbondantemente rimpiccioliti, che si dileguano in lontananza. In realtà, però, posso ipotizzare che spunti che qualcuno potrebbe definire "Esercizi di stile", come i fari delle macchine con i dialoghi in sottofondo, o soprattutto la figlia del sindaco che distribuisce qualcosa a tutti i convitati, (Cosa rappresenta? La purezza? La speranza? La trascendenza, potrebbe ipotizzare qualcuno? Altro?) siano più prettamente di Ceylan. E che quest'ultimo cerchi di lanciare varie provocazioni sul senso (?) delle cose, ora improntate all'ottimismo (Ciò che annoia momentaneamente, ma che un giorno apparirà significativo), ora al pessimismo (La misteriosa morte della donna, che all'inizio assume contorni metafisici, ma che alla fine apparirà tragicamente "Concreta"). Dunque, una parziale differenza rispetto al pensiero cinematografico di certo Kiarostamì, che viene tuttavia ripreso, ad esempio, nella scena in cui il corpo va inserito nella macchina. Il film però, secondo chi scrive, funziona ancora di più quando si esplorano due dei protagonisti: sul medico, quando entra in casa, vediamo foto riguardanti il suo passato (Probabilmente il figlio, probabilmente un gruppo di amici). Sul procuratore, veniamo a sapere quali fossero i motivi del decesso della moglie, in un illuminante dialogo col procuratore stesso. Quasi uno sganciarsi dai simboli, dalla "metafisica", per restituire contorni concreti alle vite di due uomini e a ciò che ne ha determinato le scelte; per suggellare, casomai fosse necessario, che il viaggio era una metafora, e del "Crimine", a Ceylan, non interessava più di tanto. Ma con un finale che lascia perplessi, quasi al regista disturbasse averci chiarito troppe cose(Sic!), e volesse insinuare una dose di pessimismo e/o di mistero che aveva caratterizzato, più o meno sostanzialmente, il resto del film.
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