Margin Call

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Gli squali di Wall Street dietro la crisi del 2008 Valutazione 4 stelle su cinque

di Giorpost


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mercoledì 19 giugno 2013

L’ era che stiamo vivendo è complicata e sarà ricordata soprattutto per lo stato d’animo che caratterizza l’ uomo medio occidentale di oggi, tempestato di ansie, incertezze e paure. Una delle maggiori concause di questa situazione va individuata nella cosiddetta “alta finanza” e negli squali che la popolano. Sono questi predatori di Wall Street, veneratori del dio danaro, che hanno provocato, tra le altre cose, il fallimento della Lehman Brothers, l’ aumento vertiginoso dei costi del petrolio e l’ affossamento dell’ Argentina, alimentando la più grave catastrofe finanziaria dal ‘29, ovvero la crisi del 2008. Margin Call (USA, 2011) è una pellicola coraggiosa che tratta questo non facile argomento con un certo stile, ancor più meritevole considerando che il regista è un esordiente (J.C. Chandor, nome da memorizzare) e tenendo presente che grandi film di denuncia negli ultimi tempi ne abbiamo visti pochi e di scarso tenore, eccezion fatta per Wall Street: Il denaro non dorme mai e Michael Clayton.
 
Chandor è riuscito a mettere insieme un incredibile cast che, guidato con maestria, vede giganteggiare un Jeremy Irons in stato di grazia, mettere in risalto un bravissimo Paul Bettany e constatare la solita ottima performance di Kevin Spacey. Il film narra dell’ improvviso ed apparentemente inaspettato crollo di una banca d’ investimenti sconvolta dalle improvvide movimentazioni perpetrate dai suoi traders nei precedenti due anni (azioni virtuali, mutui spazzatura) fino a provocare perdite che superano il valore della società. Il fatto esce fuori grazie al capo settore  Eric Dale (Tucci) che, appena licenziato in tronco, poco prima di andarsene con tanto di scatoloni per gli effetti personali consegna una chiavetta USB al giovane Sullivan, suo “discepolo”, nella quale ci sono dati e schemi da interpretare. Fatto questo, lo scenario che si presenta al giovane del settore rischi è di quelli apocalittici. Allertato immediatamente il suo superiore Will Emerson (Bettany),  quest’ ultimo non esita un attimo, alle 11 di sera, a chiamare a sua volta il suo capo Sam Rogers (Spacey). Una volta appurata la gravità degli eventi, si passa allo step successivo che vede entrare in scena Cohen (Baker), capo di Rogers, coadiuvato dalla Robertson (Moore), colei che nel pomeriggio aveva licenziato Dale ed altri dipendenti, staccando loro, tra le altre cose, perfino i cellulari.
In questo effetto domino, nel quale ci si rende conto delle gerarchie interne ad un organigramma aziendale, s’ intuisce che un dirigente fino a quel momento ritenuto il pezzo grosso, ha in realtà sopra di lui un pesce più grande, il quale a sua volta dipende da un colonnello che deve sottostare al volere del comandante e così via, risalendo la corrente, fino ad arrivare all’ entrata in scena del capo supremo, in questo caso l’ amministratore delegato John Tuld, alias Jeremy Irons. Viene dunque indetta una riunione alle 4 del mattino dove in pochissimi minuti si dovrà decidere la strategia d’ uscita per limitare il più possibile i danni, senza tenere minimamente conto delle conseguenze planetarie che tutto questo comporterà. Emblematica è la frase che Rogers pronuncia a Tuld: “avvelenerai il mercato per anni con titoli che non valgono niente”, ma ancor più scioccante è la risposta di quest’ ultimo, il quale afferma che “dobbiamo solo fare quello che abbiamo sempre fatto: vendere”. Proprio da queste parole si evince che tutti noi siamo nelle mani di un manipolo di predatori senza scrupoli pronti a mettere i loro interessi davanti ad ogni cosa. Si arriva addirittura a minacciare Dale di rovinarlo se non dovesse tornare in società semplicemente per aspettare la fine della giornata, in modo che non possa far trapelare la notizia dell’ imminente fallimento e dei titoli tossici che la banca sta per vendere consapevolmente. Nell’ arco di poco più di 12 ore, la vita di una banca, dei suoi dipendenti e conseguentemente di milioni di persone viene stravolta, tranne che per pochi eletti manager, affaristi o pesci di stazza variabile che si scopre essere stati sempre al corrente della situazione avallandone, anzi, scelte e comportamenti di dubbia moralità. Scopriamo, infatti, che la Robertson, Dale (nel frattempo rientrato nella sede della banca), Cohen, lo stesso Rogers (pur combattuto tra lo scegliere tra integrità e stabilità) percepiranno una lauta buonuscita, buttando ove necessario anche la propria testa in pasto ai soci purché ci si assicuri la barca a mare.
 
L’ operazione alla fine riesce e i danni sono “limitati” seppur a cospetto di perdite di  miliardi di dollari. In un finale atipico, Sam Rogers torna nel giardino della sua ex casa abitata dalla ex moglie per sotterrarvi il cane morto a causa di un tumore fulminante, una sequenza intimista e cruda al contempo ove si capta l’ indifferenza di una donna che vive nel lusso, tra lifting e creme facciali a testimoniare i guadagni facili di un marito che ora è un uomo distrutto, piegato alle volontà del suo capo, piombato in pochi attimi in un’ amarezza inaspettata e che ha perso i riferimenti che aveva (l’ affetto del cane, la stabilità economica senza compromessi). Un ottimo film che racconta di colletti bianchi che si sporcano per una manciata di danari, ma anche una storia reale che, se guardata con un respiro ampio, è una di quelle tante storie che hanno destabilizzato la finanza mondiale, con ingenti perdite di posti di lavoro e con la conseguente storica elezione di Obama.
 
Degna fotografia, belle atmosfere notturne con New York che fa da sfondo, un cast di alto profilo e dialoghi interessanti con alternanza di ritmo e parsimonia al punto giusto. Considerando che parliamo di un’ opera prima, direi che non è affatto poco.
Voto: 7.5

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