Broken Flowers |
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Un film di Jim Jarmusch.
Con Bill Murray, Jeffrey Wright, Sharon Stone, Frances Conroy, Jessica Lange.
continua»
Commedia,
durata 105 min.
- USA 2005.
uscita venerdì 2 dicembre 2005.
MYMONETRO
Broken Flowers
valutazione media:
3,10
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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LE BELLE CHE AMO' IL PADRON MIOdi a.l.Feedback: 0 |
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martedì 13 dicembre 2005 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Le etichette hanno un senso, non solo nelle aule scolastiche per la cosiddetta comodità didattica: ad esempio “Broken Flowers”, l’ultimo film di Jarmusch, è una raffigurazione quasi perfetta di ciò che si intende per “minimalismo”, ovvero la poetica dell’attenzione esasperata alla quotidianità sottintesa ai racconti di Carver, al miglior Leavitt e a molta parte della narrativa statunitense degli anni ‘80. Il lungometraggio mostra infatti un’umanità inerte e periferica, priva di identità sociale, isolata in anacronistiche comuni, volontariamente oziosa o occupata in attività inessenziali, come “ordinare gli armadi”, vendere case prefabbricate di prestigio, comunicare con gli animali domestici; essa dialoga, si innamora, si perde e poi si rivede dopo anni, relega inconsciamente a mazzi di fiori, alle tinte dei loro abiti, a un piatto di carote bollite, a una busta rosa, ai silenzi, a un baciamano o a un sorriso imbarazzato il compito di svelare verità vacillanti, aspirazione vaghe, affetti e rancori soffocati o interrotti, nell’incapacità di dare ad incontri o conversazioni approdi risolutivi. In realtà il film non è né una commedia né un dramma, quanto piuttosto una traballante indagine sul senso della vita e la questione in ballo, nonostante il tono svagato e lieve, non è affatto minimale: “Broken Flowers” esemplifica sfumandola in un disegno a matita leggerissima l’impossibilità di comporre in una storia di senso compiuto i frammenti dispersi della propria esistenza e di mettere radici stabili su questa terra. I cavalieri erranti di oggi, vecchie e nuove generazioni, nella loro quète cercano svogliati o disperati o curiosi le tracce di sé nella selva contemporanea fatta da autostrade e agglomerati urbani e suburbani anonimi. L’espressione apatica del volto di Don ( Bill Murray) succube e mai protagonista degli eventi è paradigmatica di una condizione di sudditanza inerte e di disorientamento di fronte al destino: la vasta America vista dai finestrini della sua auto è il desolato e sconfinato deserto metropolitano dei quadri di Edward Hopper, ove uomini e donne, delusi e vinti, scrutano l’orizzonte, fuori dai vetri di un bar, in attesa di una qualche impossibile rivincita. Jarmusch non offre allo spettatore che un mazzo di fiori spezzati: frasi banali, gesti minimi, grigia routine, abulia, visite di cortesia ripetute, domande e risposte di circostanza, un enigma non risolto, e un solo insegnamento impartito da un improbabile padre a un improbabile figlio:“Il passato è passato, il futuro non è ancora qui e quindi non lo posso controllare; e allora immagino che si tratti soltanto di questo, del presente.” Nel tempo l’uomo pesa e verifica il proprio valore, e se il passato è irrecuperabile, il futuro imprevedibile, l’ancora di salvezza è la coscienza del presente. Ma è proprio il presente a essere ingannevole, sfuggente, nel caso in cui non si possiedano le armi segrete per imprigionarlo. E’ la tragedia di Don Giovanni, il fatuo scialacquatore di se stesso in mille e nessuna conquista, con cui l’ossessione per l’altro sesso costringe Don a identificarsi. La vita in famiglia, figli e mogli fedeli, rappresentata dal suo pragmatico vicino di casa diventa a questo punto la sola alternativa alla dissipazione di sé del libertino sconfitto? Difficile convincersene davanti a un mazzo di fiori reciso posato su una tomba o alle affascinanti lusinghe del vecchio carpe diem oraziano…
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