baby firefly
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mercoledì 10 ottobre 2012
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una stella per compassione
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Mai visto nulla di più tedioso. Calvaire è questo: un’ora e mezza di nulla più totale. Spiegatemi dov’è l’horror? Nel terrificante grugnito del piccolo maialino? Fatico a trovare le parole per esprimere il mio sconcerto dopo aver sprecato 87 minuti per un film così insulso. Scene clownesche sono piazzate a casaccio all’interno del film con l’unico scopo di allungare un brodo già troppo annacquato. Poca violenza, una trama esile, recitazione approssimativa, canti e pianti privi della benché minima e dovuta enfasi.
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Mai visto nulla di più tedioso. Calvaire è questo: un’ora e mezza di nulla più totale. Spiegatemi dov’è l’horror? Nel terrificante grugnito del piccolo maialino? Fatico a trovare le parole per esprimere il mio sconcerto dopo aver sprecato 87 minuti per un film così insulso. Scene clownesche sono piazzate a casaccio all’interno del film con l’unico scopo di allungare un brodo già troppo annacquato. Poca violenza, una trama esile, recitazione approssimativa, canti e pianti privi della benché minima e dovuta enfasi. Il regista ha puntato esclusivamente sul tema della pazzia fallendo miseramente. Ridicolo è il tentativo di omaggiare le vicende del motel Bates in Psycho. Lo sventurato Marc (o faremmo meglio a chiamarlo Gloria?), cantante da case di riposo, dopo aver conquistato il cuore di vecchiette ed infermiere, si ritrova per un guasto al furgone in questo fantomatico alberghetto di campagna accolto dall’apparentemente cordiale Bartel. Il resto è poca roba: Bartel e gli altri mattacchioni che si contendono Marc/Gloria, qualche atto di zooerastia, un paio di inseguimenti e colpi fucile a vuoto. La metafora religiosa evocata dal titolo non regge, neanche con la crocifissione dalla quale Marc sembra uscire indenne. Il film si esaurisce qui. Per fortuna.
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fabrizio dividi
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venerdì 31 maggio 2013
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per amore di gloria
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Calvaire non è un horror ma un viaggio allucinato in non-luoghi popolati da comunità disperate e monosessuali. Il protagonista, un giovane e androgino cantante girovago, attraversa campagne irreali con il suo spettacolo tra case di riposo popolate da anziane ammiratrici, inquietanti e ambigue, e piazze di non ben precisati villaggi sperduti nella campagna. Quando il suo camper ha un guasto s’imbatte in vecchio albergatore che gradualmente gli conferisce il ruolo della sua ex compagna, sparita chissà quando e chissà dove, schiavizzandolo e relegandolo nella sua magione.
Il microcosmo malsano di folli e perversi personaggi che popolano il villaggio adiacente non è da meno e anche gli altri attribuiscono al giovane la personalità di Gloria, l’unica donna che abbia lasciato uno straccio di ricordo nella vita dei disperati bifolchi.
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Calvaire non è un horror ma un viaggio allucinato in non-luoghi popolati da comunità disperate e monosessuali. Il protagonista, un giovane e androgino cantante girovago, attraversa campagne irreali con il suo spettacolo tra case di riposo popolate da anziane ammiratrici, inquietanti e ambigue, e piazze di non ben precisati villaggi sperduti nella campagna. Quando il suo camper ha un guasto s’imbatte in vecchio albergatore che gradualmente gli conferisce il ruolo della sua ex compagna, sparita chissà quando e chissà dove, schiavizzandolo e relegandolo nella sua magione.
Il microcosmo malsano di folli e perversi personaggi che popolano il villaggio adiacente non è da meno e anche gli altri attribuiscono al giovane la personalità di Gloria, l’unica donna che abbia lasciato uno straccio di ricordo nella vita dei disperati bifolchi.
La carenza di amore genera mostri, pare voler affermare l’autore, e solo la proiezione di un simulacro affettivo può attenuare violenza e dolore. L’allegoria mistica –peraltro già presente nel titolo- si sublima nella crocifissione del povero cantante come estrema forma di adorazione che, come nel Cristianesimo, ha bisogno della sua vittima sacrificale per perpetrarsi; e meglio ancora se vittima e oggetto dell’adorazione coincidono nella stessa persona.
Un’ultima lettura riguarda certamente il ruolo stesso dell’artista che diventa gradualmente oggetto di desiderio, preda e vittima solo in quanto altro da sé, destinato per natura a soddisfare le migliori aspirazioni, ma anche le peggiori inclinazioni del prossimo.
Le ispirazioni tematiche e iconiche di questo particolarissimo film non mancano: dalla comunità nascosta dei "I cavalieri dalle lunghe ombre" alla contrapposizione natura/civiltà di “Un tranquillo week-end di paura”, senza dimenticare la violenza cieca di “Non aprite quella porta” e, con estremo rispetto, le atmosfere metafisiche e struggenti dei girovaghi raccontate da Bergman ne “Il volto”. @fabdividi
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andrea b
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sabato 23 ottobre 2010
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un discreto horror con un' ottima fotografia
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Marc Stevens è un cantante che si esibisce presso le case di riposo per anziani fino a che,durante un nuovo viaggio,il suo furgone in panne si ferma nelle vicinanze di un albergo nel quale inizierà il suo calvario.Questo talentuoso regista esordisce con un horror che si presenta diverso dal suo genere.Predominano le aree cupe e tetre con l' importante apporto di un bellissimo paesaggio innevato.Grande interpretazione dei personaggi psicolabili da parte degli attori che convincono in ogni scena e una bravissimo Laurent Lucas che si porta dalla sua parte la compassione dello spettatore.Straordinaria la musica e il momento in cui i pazzi del villaggio cominciano a ballare,rendendo la scena estremamente memorabile.
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Marc Stevens è un cantante che si esibisce presso le case di riposo per anziani fino a che,durante un nuovo viaggio,il suo furgone in panne si ferma nelle vicinanze di un albergo nel quale inizierà il suo calvario.Questo talentuoso regista esordisce con un horror che si presenta diverso dal suo genere.Predominano le aree cupe e tetre con l' importante apporto di un bellissimo paesaggio innevato.Grande interpretazione dei personaggi psicolabili da parte degli attori che convincono in ogni scena e una bravissimo Laurent Lucas che si porta dalla sua parte la compassione dello spettatore.Straordinaria la musica e il momento in cui i pazzi del villaggio cominciano a ballare,rendendo la scena estremamente memorabile.Veramente ottima la fotografia e lo sfondo di desolazione finale che accompagna il protagonista verso la fine del suo calvario.
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frz94
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mercoledì 29 giugno 2011
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calvaire
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Il cantante girovago Marc Stevens, di ritorno da un concerto in una casa di riposo, mentre cerca di andare a Sud per la vigilia di Natale, passando per le lande deserte di un Belgio spettrale, perde la strada giusta e il suo furgoncino va in panne; dopo aver chiesto aiuto a un contadino del luogo, viene accolto calorosamente in una sperduta locanda dal proprietario Paul Bartel, che gli dà da mangiare e si mostra anche eccessivamente cortese. In realtà Bartel, credendo nella sua pazzia che Marc sia sua moglie Gloria, la quale lo aveva piantato in asso tempo addietro, dopo aver dato fuoco al furgoncino, precludendogli ogni possibilità di fuga, lo sequestra nella locanda.
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Il cantante girovago Marc Stevens, di ritorno da un concerto in una casa di riposo, mentre cerca di andare a Sud per la vigilia di Natale, passando per le lande deserte di un Belgio spettrale, perde la strada giusta e il suo furgoncino va in panne; dopo aver chiesto aiuto a un contadino del luogo, viene accolto calorosamente in una sperduta locanda dal proprietario Paul Bartel, che gli dà da mangiare e si mostra anche eccessivamente cortese. In realtà Bartel, credendo nella sua pazzia che Marc sia sua moglie Gloria, la quale lo aveva piantato in asso tempo addietro, dopo aver dato fuoco al furgoncino, precludendogli ogni possibilità di fuga, lo sequestra nella locanda. La situazione si complicherà ulteriormente quando decidono di fare una spedizione alla locanda alcuni contadini che abitano nel paese vicino, capitanati da X, anch’egli legato in qualche modo alla fantomatica Gloria.
I francesi ci sanno davvero fare; personalmente per il momento, dei film che sono riconducibili al ciclo horror d’oltralpe, ho visionato solamente Frontier(s) e Inside -a l’interieur, e devo ammettere che Calvaire lo collocherei, in una possibile classifica, davanti a Frontier(s), che è stato giustamente definito come “la solita zuppa per stomaci forti”, una classica festa per l’appassionato del gore e nulla più, con uno sfondo di denuncia non solo pressoché inesistente, ma direi anche ingannevole, e il raffinato e violento Inside. Bisogna dire che Calvaire ha il pregio di essere un film particolare; facile era scadere nel già visto, in una intelaiatura di fondo (il perdersi, l’incontro-scontro con il pazzo di turno) che ricorda Non Aprite quella porta. Tuttavia il film mostra una cornice, lo splendido e allo stesso tempo desolato-desolante territorio invernale belga, davvero interessante, suggestiva e poetica, che contrasta con gli abitanti che lo popolano, un nutrito gruppo di soli uomini di contadini, i quali vivono allo stato brado, fanno sesso con gli animali e si incontrano nel sudicio bar del luogo, improvvisando danze folli sulle note di una musica assolutamente cacofonica. Oltre alla eccellente scenografia, ottima la prova attoriale, sia del protagonista, un Laurent Lucas in gran forma, sia del taverniere Bartel, (Berroyer), bravissimo nel suo ruolo. E ora passiamo alle note dolenti; la trama innanzitutto presenta dei buchi piuttosto ingenti, e anche il copione sarebbe dovuto essere rivisto; come mai il protagonista, snello e alto, non cerca di farla in barba al suo anziano aguzzino o quantomeno non cerca di difendersi, dicendogli di non essere Gloria? Invece passa tutto il tempo a piangere. Mah. Secondo dubbio: il film vuole essere una metafora della società, o di qualcos’altro? Calvaire, infatti, con un plot così esile, rischia di apparire solamente una storia di una follia collettiva, di un’allucinazione generale, un incredibile e desolato manicomio personale in cui si imbatte il protagonista. Se, poi, ci sono significati sottesi, il regista non si è curato neanche di accennarli e quindi ritengo che non sia neppure giusto elaborare delle interpretazioni azzardate che forzano la natura stessa del film. Allo stesso tempo salta all’occhio come Du Wenz si sia impegnato a non confezionare la solita pellicola splatter, ma si sia concentrato in una maggiore introspezione psicologica; ci sono tuttavia scene molto violente, disturbanti, che trattano senza fronzoli una materia delicata come il sesso, che è presentato nelle sue forme più bizzarre e deviate. Quest’ultimo fattore rende Calvaire una pellicola adulta, che potrebbe tuttavia non piacere agli amanti del puro splatter. Interessante.
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gianleo67
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martedì 19 agosto 2014
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allucinata e truce metafora della condizione umana
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Cantante girovago a bordo di un furgone, si sposta dalla pensione per anziani dove ha intrattenuto e ammaliato le numerose e incartapecorite spettatrici femminili al luogo dove si esibirà in occasione delle festività natalizie. Smarritosi in una brumosa strada di campagna e con il mezzo in panne, viene accolto nella locanda di un ridanciano ed eccentrico albergatore che,dopo l'abbandono della moglie, vive da molto tempo in solitudine e senza il becco d'un cliente. Ben presto si accorgerà a proprie spese che il suo ospite, come la sparuta e primitiva comunità maschile che popola il luogo, vive da anni nell'attesa di una agognata e idealizzata presenza femminile.
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Cantante girovago a bordo di un furgone, si sposta dalla pensione per anziani dove ha intrattenuto e ammaliato le numerose e incartapecorite spettatrici femminili al luogo dove si esibirà in occasione delle festività natalizie. Smarritosi in una brumosa strada di campagna e con il mezzo in panne, viene accolto nella locanda di un ridanciano ed eccentrico albergatore che,dopo l'abbandono della moglie, vive da molto tempo in solitudine e senza il becco d'un cliente. Ben presto si accorgerà a proprie spese che il suo ospite, come la sparuta e primitiva comunità maschile che popola il luogo, vive da anni nell'attesa di una agognata e idealizzata presenza femminile.
Horror antropologico che parte dalla sordina di una provincia francesce di tardive pulsioni sessuali e sentimentali per spostarsi sul piano di un orizzonte sociale di cattività ed abbrutimento presto trasformato nello scenario surreale ed allegorico di una immendabile solidutide della condizione umana. Forte di una messa in scena che precipita il protagonista nell'incubo alienante di un personale contrappasso sessuale (dal rifiuto di vogliose e repellenti vecchiette ad oggetto del desiderio di una sordida comunità di villici che lo hanno scambiato per l'unica donna avessero mai conosciuta) il film di Du Welz appare come un riuscito esperimento cinematografico che unisce alle ambizioni formali del linguaggio (il passaggio dal piano reale a quello allegorico, il rituale grottesco e surreale insieme di un lugubre ballo per soli uomini, la scena finale di una patetica espiazione nel desolato scenario di un Golgota provenzale) il sottostesto di un atroce e disperato percorso di redenzione dell'uomo presente alla propria solitudine.
Più vicino alla tradizione allegorica e onirica del cinema belga che alle attitudini realiste di quello francese, si osserva tuttavia una certa compressione di una materia narrativa che avrebbe dovuto sviluppare meglio caratteri e psicologie e che invece appare, soprattutto nella parte finale, irrisolto e afflitto da una certa frammentazione degli scenari e da un montaggio che finisce per confondere e intersecare i due piani della narazione, precipitando lo spettatore in una terra di nessuno che, come lo stesso film, sembra non condurre da nessuna parte. Inquietanti le musiche originali di Vincent Cahay e magnifica la fotografia di Benoît Debie nel restituirci atmosfere di opprimente e angosciosa rarefazione. Presentato al Festival di Cannes 2004.
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noia1
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domenica 8 marzo 2015
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nella vale della follia
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Un uomo e la sua stabilità psicologica messa a dura prova.
L’unica cosa che ho capito leggendo i commenti è che è un film da guardare, chi lo venera e chi ci spala merda sopra, se ci si discute sopra significa che sarà sicuramente meglio del migliore tra quelli consigliati e, proprio perché così dubbio nella qualità, io sono tra quelli che, col senno di poi, piuttosto che guardarlo si sarebbe bastonato la schiena in quell’ora e mezza.
Il concetto di fondo è interessantissimo: il degrado mentale di un uomo. Malgrado il protagonista sia un artista, i tratti sono quelli caratteristici dell’uomo medio, discreto, cortese e distaccato. Fin da subito salta all’occhio la fotografia, bellissima e capace di affascinare anche nelle scene più noiose, quelle dove si spegnerebbe volentieri tutto quanto.
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Un uomo e la sua stabilità psicologica messa a dura prova.
L’unica cosa che ho capito leggendo i commenti è che è un film da guardare, chi lo venera e chi ci spala merda sopra, se ci si discute sopra significa che sarà sicuramente meglio del migliore tra quelli consigliati e, proprio perché così dubbio nella qualità, io sono tra quelli che, col senno di poi, piuttosto che guardarlo si sarebbe bastonato la schiena in quell’ora e mezza.
Il concetto di fondo è interessantissimo: il degrado mentale di un uomo. Malgrado il protagonista sia un artista, i tratti sono quelli caratteristici dell’uomo medio, discreto, cortese e distaccato. Fin da subito salta all’occhio la fotografia, bellissima e capace di affascinare anche nelle scene più noiose, quelle dove si spegnerebbe volentieri tutto quanto. Importantissima la potenza delle immagini che in questo specifico caso, costellato com’e tutto di dettagli onirici, devianti non solo nella trama ma soprattutto per l’effetto sullo spettatore, straniato e conseguentemente disagiato, hanno un ruolo immenso dedito a tutto fuorché al rassicurante. Il protagonista si ritrova in situazioni progressivamente umilianti ogni volta di più, sempre più solo in un posto abitato da folli dove accadono solo follie, inquietudine opprimente lo costringe a sfogarsi in pianti disperati fino alla condanna finale.
Pellicola incomprensibile, i tempi sono davvero lunghi, troppo per definirsi del genere dell’orrore, momenti apparentemente inutili occupano spazi che non meritano. Situazioni ridicole trasformano in tragicomiche scene che, nell’intenzione della categoria, dovrebbero avere piene potenzialità di squartamenti sanguinolenti. Un film orrorifico venuto male o un dramma di pessima qualità, non so proprio, in ogni caso, pur sempre qualcosa di diverso per chi vuole rischiare.
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ennio
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martedì 25 dicembre 2018
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occasione sprecata
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Il film mi è quasi piaciuto per un'ora, perchè presenta situazioni angoscianti, anche grottesche ed esilaranti, scarne di luoghi comuni horrorfilmici. Si vede che è un film "europeo" e non la solita accozzaglia di banalità hollywoodiane in cui l'horror è soggetto a precisi e rigorosi canoni interpretativi e situazionali. In "calvaire", per esempio, non sono i carnefici ad innervosire lo spettatore co la loro esagerata stupidità, ma la vittima, eccessivamente piagnucolosa e mai veramente determinata ad uscire dall'incubo in cui si è ritrovata. Poi ci sono le bestialità con animali e un'atmosfera da lugubre manicomio di montagna, come se i degenti di "qualcuno volò sul nido del cuculo" si fossero trasferiti in blocco in uno sperduto paesino sulle montagne francofone.
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Il film mi è quasi piaciuto per un'ora, perchè presenta situazioni angoscianti, anche grottesche ed esilaranti, scarne di luoghi comuni horrorfilmici. Si vede che è un film "europeo" e non la solita accozzaglia di banalità hollywoodiane in cui l'horror è soggetto a precisi e rigorosi canoni interpretativi e situazionali. In "calvaire", per esempio, non sono i carnefici ad innervosire lo spettatore co la loro esagerata stupidità, ma la vittima, eccessivamente piagnucolosa e mai veramente determinata ad uscire dall'incubo in cui si è ritrovata. Poi ci sono le bestialità con animali e un'atmosfera da lugubre manicomio di montagna, come se i degenti di "qualcuno volò sul nido del cuculo" si fossero trasferiti in blocco in uno sperduto paesino sulle montagne francofone.
L'ultima mezz'ora invece non sa dove andare a parare, perdendosi in scene caotiche e brutali senza molto senso. Non consigliato agli amanti del puro splatter, poche torture e poco originali. Il primo horror che io ricordi in cui i protagonisti sono esclusivamente maschili.
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