jedediah orne
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lunedì 7 marzo 2005
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una lezione dal futuro
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Un film dalle belle premesse che è tenuto in piedi un po' dalla trama, un po' dagli (ottimi) attori: un'astronave di 300 anni fa trovata infondo al mare, che svela prima la sua vera natura (non è aliena ma una nave terrestre del futuro), poi il suo vero tesoro: una sfera in grado di materializzare i sogni di chi ci entra. Ed alla fine sogno e realtà si confondono: chi è entrato realmente nella sfera? Chi sta materializzando le proprie paure inconsce? Un'ottima prova di tutti gli attori, ma alla fine lo spettatore assetato di fantascienza rimarrà un po' deluso dal finale psicologico. L'intenzione vera dell'autore rimane comunque ben celata sotto la fuga finale della sfera: l'umanità non sarà mai pronta a ricevere un dono così grande, né oggi, né domani.
[+] la scienza e l'uomo
(di brugni)
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gianni lucini
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sabato 22 ottobre 2011
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differenze tra film e romanzo
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Molte sono le differenze tra il romanzo di Michael Crichton e l’adattamento di Kurt Wimmer per la versione cinematografica di Barry Levinson. Pur essendo state tutte accettate dallo stesso Crichton hanno suscitato più di una polemica tra il regista e i fans dello scrittore. Le principali sono le seguenti:
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Il nome di Norman. Nel film lo psicologo interpretato da Dustin Hoffman si chiama Norman Goodman mentre nel romanzo il suo nome è Norman Johnson.
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I componenti della squadra. Nel film i componenti della squadra destinata a scendere nelle profondità marine sono cinque. Nel romanzo sono sei. In aggiunta allo psicologo Norman, alla biochimica Beth, al matematico Harry, all’astrofisico Ted e ad Harold Barnes il gruppo nelle fasi iniziali ha un sesto componente, il biologo marino Arthur Levine, che soffre di caustrofobia e abbandona i compagni al momento di entrare nel minisottomarino destinato a portarli nelle profondità marine.
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Molte sono le differenze tra il romanzo di Michael Crichton e l’adattamento di Kurt Wimmer per la versione cinematografica di Barry Levinson. Pur essendo state tutte accettate dallo stesso Crichton hanno suscitato più di una polemica tra il regista e i fans dello scrittore. Le principali sono le seguenti:
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Il nome di Norman. Nel film lo psicologo interpretato da Dustin Hoffman si chiama Norman Goodman mentre nel romanzo il suo nome è Norman Johnson.
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I componenti della squadra. Nel film i componenti della squadra destinata a scendere nelle profondità marine sono cinque. Nel romanzo sono sei. In aggiunta allo psicologo Norman, alla biochimica Beth, al matematico Harry, all’astrofisico Ted e ad Harold Barnes il gruppo nelle fasi iniziali ha un sesto componente, il biologo marino Arthur Levine, che soffre di caustrofobia e abbandona i compagni al momento di entrare nel minisottomarino destinato a portarli nelle profondità marine.
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La natura dell’astronave sommersa. Nel film i componenti del gruppo si avventurano nell’astronave ignari della sua natura e al momento dell’esplorazione scoprono inquietanti segni di presenza umana (un cadavere, un incarto contenente cibo e un recipiente per l’immondizia con una scritta bilingue in inglese e spagnolo). Nel romanzo la squadra conosce già la situazione perché una sonda robotizzata ha rimandato l’immagine di un pannello di controllo con scritte in inglese.
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Il ruolo di Barnes. Il film disegna l’inquietante “capitano” Barnes come un personaggio un po’ misterioso senza fornire troppe indicazioni su di lui e sul suo ruolo. Nel romanzo di Crichton, invece, Beth ne parla diffusamente con Norman e gli rivela che l’uomo è alle dipendenze del Pentagono e si occupa di acquisizione di nuovi armamenti.
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La Sfera. Nel film la Sfera ha un colore dorato, una consistenza liquida e non presenta alcuna possibile apertura. Nel romanzo essa è bruna, solida, con la superficie decorata da solchi che si rincorrono a formare un intricato e misterioso disegno e che nascondono una lieve deformazione della superficie stessa dietro la quale è occultata la porta per accedere all’interno.
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La relazione di Norman. Nel film Norman confessa di avere scritto il suo piano d’emergenza di fronte a un’eventuale invasione di extraterrestri su richiesta dell’amministrazione Bush. Nel romanzo la relazione gli viene commissionata dall’amministrazione Carter.
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La reazione di Harry. Nel film Harry quando esce dal profondo sonno che lo ha colpito dopo la sua uscita dalla Sfera è estremamente vitale, carico d’appetito ed esuberante. Nel romanzo invece al risveglio appare confuso, privo di memoria, in preda a un terribile mal di testa e invita tutti i componenti della squadra a tornare subito in superficie perché lì non sono sicuri.
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Il calamaro gigante. Nel film i protagonisti non incontrano mai il calamaro gigante, ma ne vedono la forma e la presenza attraverso il Sonar. Nel romanzo lo incontrano e sono obbligati a confrontarsi con lui in uno dei momenti più drammatici della storia.
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L’interno della Sfera Il film non mostra mai l’interno della sfera. Nel romanzo invece Crichton lo descrive come un luogo ricco di luci nel quale Norman incontra anche un’entità sconosciuta che gli risponde a enigmi.
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Harry e il calamaro. Nel romanzo non esiste alcun passaggio nel quale Harry rischia di soffocare quando scopre che sta mangiando un piatto di calamari così come non c’è traccia della scena nella quale Norman intuisce i poteri di Harry assistendo all’apparizione di un numero infinito di copie del libro “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne.
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Il volo della Sfera. Al termine del film la Sfera prende il volo, esce dal mare e sale fin nello spazio profondo. Nel romanzo questa situazione non esiste.
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gianni lucini
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sabato 22 ottobre 2011
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levinson, un coraggioso
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Va riconosciuto un certo coraggio a Barry Levinson. Il regista infatti si misura con uno dei più amati e appassionanti romanzi di Michael Crichton che, però, è anche quello meno “cinematografico” di tutti perché viaggia più all’interno dei personaggi che all’esterno. Non è facile portare sullo schermo un lavoro che affronta i limiti della specie umana, la sua fragilità psicologica, l’egoismo e l’impossibilità di gestire con equilibrio il proprio destino utilizzando i codici della fantascienza più classica. Due sono i rischi insiti nella trasposizione cinematografica di un lavoro simile. Il primo è l’eccessiva dilatazione degli effetti spettacolari per gratificare il grande pubblico con una inevitabile penalizzazione degli aspetti più affascinanti della narrazione di Crichton.
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Va riconosciuto un certo coraggio a Barry Levinson. Il regista infatti si misura con uno dei più amati e appassionanti romanzi di Michael Crichton che, però, è anche quello meno “cinematografico” di tutti perché viaggia più all’interno dei personaggi che all’esterno. Non è facile portare sullo schermo un lavoro che affronta i limiti della specie umana, la sua fragilità psicologica, l’egoismo e l’impossibilità di gestire con equilibrio il proprio destino utilizzando i codici della fantascienza più classica. Due sono i rischi insiti nella trasposizione cinematografica di un lavoro simile. Il primo è l’eccessiva dilatazione degli effetti spettacolari per gratificare il grande pubblico con una inevitabile penalizzazione degli aspetti più affascinanti della narrazione di Crichton. L’altro è l’inverso: approfittare dell’angusto spazio nel quale sono rinchiusi i protagonisti per portare in primo piano le sottili tensioni morali, filosofiche e psicologiche che percorrono il romanzo riducendo al minimo l’azione. Levinson sceglie una strada intermedia, chiedendo a Kurt Wimmer, incaricato di adattare il romanzo di “piegare” in qualche caso anche la storia in funzione delle esigenze cinematografiche. Questa operazione gli attira le critiche dei moltissimi fan di Michael Crichton che in qualche caso arrivano ad accusare il regista di “tradimento”. Il film, girato nella base navale di Mare Island a Vallejo, in California deve fare i conti, oltre che con un budget tutt’altro che poderoso, anche con la fretta dei produttori, intenzionati a evitare la concorrenza con l’annunciato The abyss, il “kolossal” della 20th Century Fox che James Cameron sta realizzando più o meno nello stesso periodo con grande profusione di mezzi. Barry Levinson lavora con mestiere da grande artigiano del cinema. Sfrutta gli spazi ristretti per assumere soggettive diverse creando un’alternanza di punti di vista destinati a tenere alta la tensione. Rifiuta poi ogni ipotesi di fauna marina inventata di sana pianta e lavora sulla creazione di un bestiario più terrorizzante perché nato dalla deformazione immaginifica di specie esistenti con una geniale mescola di effetti grafici e animatronica. Anche l’ambientazione scenografica non è mai eccessivamente straniante rispetto alla realtà e l’effetto drammatizzante è affidato più alla gestione della macchina da presa e al montaggio che alla ridondanza di effetti speciali. Il mestiere di Levinson emerge proprio dalla gestione dei singoli caratteri, delle relazioni tra i personaggi, dall’apparente maledizione di Harry («...moriremo tutti qui...») e trova la sua sublimazione nella catena tra i sopravvissuti decisi a non lasciare che qualcuno possa utilizzare il terribile e affascinante “dono” consegnato loro dalla Sfera.
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gianni lucini
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sabato 22 ottobre 2011
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la maschera di hoffman
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Pur ingabbiato dalla necessità di rispettare i “codici” dei film di genere Dustin Hoffman viene lasciato libero dal suo vecchio amico ed estimatore Barry Levinson di utilizzare le sue tecniche sopraffine di caratterizzazione dei personaggi. Nel caso di Sfera, più che nei momenti di maggior tensione, l’attore diventa impareggiabile nelle sequenze nelle quali “lavora” a definire il contesto in cui si muovono i singoli protagonisti. La sua maschera, per esempio, è straordinaria quando confessa che la squadra con la quale il Governo degli Stati Uniti lo sta per spedire nelle profondità marine non ha alcuna logica. L’ha composta lui quando l’amministrazione Bush, appena insediata, gli ha chiesto una relazione su un’eventuale invasione di extraterrestri e ci ha infilato gente scelta a caso sulla base delle sue conoscenze o di qualche lettura superficiale convinto che si trattasse di un’ipotesi impossibile.
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Pur ingabbiato dalla necessità di rispettare i “codici” dei film di genere Dustin Hoffman viene lasciato libero dal suo vecchio amico ed estimatore Barry Levinson di utilizzare le sue tecniche sopraffine di caratterizzazione dei personaggi. Nel caso di Sfera, più che nei momenti di maggior tensione, l’attore diventa impareggiabile nelle sequenze nelle quali “lavora” a definire il contesto in cui si muovono i singoli protagonisti. La sua maschera, per esempio, è straordinaria quando confessa che la squadra con la quale il Governo degli Stati Uniti lo sta per spedire nelle profondità marine non ha alcuna logica. L’ha composta lui quando l’amministrazione Bush, appena insediata, gli ha chiesto una relazione su un’eventuale invasione di extraterrestri e ci ha infilato gente scelta a caso sulla base delle sue conoscenze o di qualche lettura superficiale convinto che si trattasse di un’ipotesi impossibile. In Sfera Dustin Hoffman viene diretto per la terza volta da Barry Levinson, un’eccezione non da poco per un attore che non ha mai lavorato per più di due volte con lo stesso regista. Non sarà l’ultima. A un giornalista che gli chiede la ragione di questa simbiosi risponde: «...di lui mi fido. Quando Barry mi chiama per dirmi che ha per le mani un buon film non accetto a scatola chiusa, ma se la parte è buona ci sto. Lui è l'unico regista con il quale mi comporto così. Devo confessare che ho sempre provato invidia nei confronti di quegli attori che avevano una relazione speciale con un regista, come De Niro con Scorsese o Brando con Kazan ma ho sempre pensato che, siccome sono geloso della mia autonomia, non sarei mai riuscito a vivere questa sintesi tra attore e regista. Avevo torto. Con Barry è successo. Lui mi lascia libero. Non ha paura di me. Quando si inizia a girare non sa mai che cosa farò e spera sempre che io faccia qualcosa a cui lui non aveva pensato. Questo mi piace di lui...». Come sempre anche in questo film il suo impegno è totale. Insieme al resto del cast prima dell’inizio delle riprese si esercita in immersioni subacquee e la sua preparazione è perfetta al punto da muoversi con disinvoltura sulla scena indossando un’attrezzatura che arriva a pesare complessivamente un’ottantina di chilogrammi.
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dreamtheater87
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lunedì 14 novembre 2011
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l'introspezione claustrofobica di sfera
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In totale contrasto con quello già letto, sfera di Levinson descrive alla perfezione il genere claustrofobico horror con un'introspezione degna del romanzo di Crichton. La felicità della scoperta scientifica presto si trasforma in incubo dove qualsiasi sogno si tramuta in relatà e dove gli amici diventano nemici pronti a tutto per salvarsi. Neanche la ragione sembra prevalere addentrandosi nei meandri della mente umana, dove tutte le paure e le angosce vengono a galla, portando con se le insicurezze e mostrando il lato più nudo dei protagonisti che si ritrovano faccia a faccia con i propri incubi. Un laboratorio subaqueo, freddo e metallico, è l'unico spazio dove cercare riparo dal buio oceanico e dagli avvenimenti inquietanti che minano lentamente la solidità psicologica di tutti.
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In totale contrasto con quello già letto, sfera di Levinson descrive alla perfezione il genere claustrofobico horror con un'introspezione degna del romanzo di Crichton. La felicità della scoperta scientifica presto si trasforma in incubo dove qualsiasi sogno si tramuta in relatà e dove gli amici diventano nemici pronti a tutto per salvarsi. Neanche la ragione sembra prevalere addentrandosi nei meandri della mente umana, dove tutte le paure e le angosce vengono a galla, portando con se le insicurezze e mostrando il lato più nudo dei protagonisti che si ritrovano faccia a faccia con i propri incubi. Un laboratorio subaqueo, freddo e metallico, è l'unico spazio dove cercare riparo dal buio oceanico e dagli avvenimenti inquietanti che minano lentamente la solidità psicologica di tutti. Col passare dei minuti lo spettatore si ritrova solo e abbandonato da qualsiasi convinzione e verità, la ragione che inizialmente dava sicurezza, si trasforma in puro deliro con momenti di panico assoluto, dove anche lo scienziato più riflessivo si ritrova a dover far i conti col proprio passato. Un horror incredibile per tensione e ambiente, che sale d'intensità col passare dei minuti, fino al ritorno in superficie alla luce del sole, dove la ragione riprende il sopravvento e le paure passate si trasformano in ricordi facilmente removibili, come un brutto incubo che lentamente lascia spazio alla consapevolezza di essersi svegliati. Claustrofobico e inquietante con un eccellente Samuel L Jackson che trasmette alla perfezione le paure del suo personaggio. Freddo, cupo, introverso, introspettivo, inquietante, questo è sfera, a mio avviso un film vicinissimo dall'esser definito un cult. 4 e mezzo.
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giorpost
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venerdì 13 novembre 2015
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una sfera di luce che non fa quadrare il cerchio
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Alla sua prima esperienza con il cinema di fantascienza, nel 1998 Barry Levinson sforna il cupo e claustrofobico semi-colossal Sfera (USA), adattando alle esigenze di copione l' omonimo romanzo di Crichton presentandosi al pubblico con un cast di alto livello capitanato dal veterano Dustin Hoffman più, al suo fianco, star del calibro di Samuel L. Jackson (onnipresente grazie al successo di Pulp Fiction) e Sharon Stone.
Il discreto incipt ci mostra una flotta di navi americane nel mezzo dell' oceano Pacifico intenta a proteggere un' area nella quale, a 300 metri di profondità, è stata scoperta una gigantesca astronave ritenuta di origini extraterrestri.
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Alla sua prima esperienza con il cinema di fantascienza, nel 1998 Barry Levinson sforna il cupo e claustrofobico semi-colossal Sfera (USA), adattando alle esigenze di copione l' omonimo romanzo di Crichton presentandosi al pubblico con un cast di alto livello capitanato dal veterano Dustin Hoffman più, al suo fianco, star del calibro di Samuel L. Jackson (onnipresente grazie al successo di Pulp Fiction) e Sharon Stone.
Il discreto incipt ci mostra una flotta di navi americane nel mezzo dell' oceano Pacifico intenta a proteggere un' area nella quale, a 300 metri di profondità, è stata scoperta una gigantesca astronave ritenuta di origini extraterrestri. Per capirne la provenienza e stabilire una comunicazione con plausibili occupanti, vengono chiamati quattro luminari di diversa estrazione scientifica guidati dallo psicanalista Goodman (Hoffman), autore, anni prima, di un saggio su un ipotetico primo contatto con civiltà aliene. I quattro (più tre membri dell' OSSA, una branchia dell' esercito che si occupa di sciagure aeree) vengono portati all' interno di una stazione marittima sommersa costruita appositamente per studiare il relitto; in breve tempo gli scienzati scoprono che il vascello è in realtà di origine umana e proviene dal 2047, anno nel quale è stato catapultato indietro di oltre 3 secoli ed ammarrato a causa di un incontro inatteso con un black hole, oltre a trovare, nella stiva, un' enorme sfera dorata dalla superficie liquida, probabile souvenir preso in consegna da qualche intelligenza superiore di un' altra galassia.
In quel fazzoletto di abisso marino la realtà e l' inconscio iniziano a subire evidenti anomalie sensoriali e vengono mescolati in un vortice senza fine nel quale gli incubi si avverano e dove i protagonisti trascorrono ore di autentica paura. Dei sette componenti la spedizione, quattro vengono uccisi da strani fenomeni quasi sempre legati a creature marine parzialmente realistiche; gli altri tre riescono a sopravvivere in quanto sono entrati in quell' oggetto spaziale ed in qualche modo aiutati a capire cosa stia succedendo e come fare per restare in vita. Da questo punto il plot trova una fuga verso l' ignoto e s' intreccia con molto di già visto (a partire, e non è una novità, da Odissea nello spazio di Kubrick) e si attorciglia in un susseguirsi inutile di colpi di scena che hanno il solo risultato di confondere lo spettatatore. I tre superstiti decidono, infine, di non interferire con un futuro già avvenuto tenendo nascosta la più grande scoperta della storia dell' uomo, aspetto che giustifica, almeno filosoficamente, il deludente finale ove il protagonista diventa il super sfruttato paradosso spazio-tempo, evitato proprio per la mancata divulgazione della storia.
Il lavoro sin da subito non trasmette grandi vibrazioni, appare come una sorta di giallo vecchia maniera con ambizioni filosofiche che vanno oltre le caratteristiche del regista. Di quest' opera, povera di grandi effetti speciali tipici del genere, resta proprio la misteriosa sfera (che molto ricorda i famigerati globi di luce avvistati, più o meno verosimilmente, in tutto il paneta da qualche decennio) che attraverso la sua perfezione geometrica è in grado di rendere l' uomo consapevole dei propri mezzi, captando quel bisogno di conoscenza che ancora pervade la razza umana. Purtroppo, però, le cose buone si fermano quì in quanto il buon Barry, spesso autore di opere incentrate su meccanismi psicologici provocati ora da legami morbosi (Rivelazioni) ora dal marciume politico (Sesso & potere), non pare capace di fare quel salto decisivo verso il grande pubblico, troppo attaccato ai suoi ideali di un Cinema elegantemente sottotono. Hoffman, dal canto suo, non è al meglio e non va oltre una prova da minimo sindacale
Voto: 5
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elgatoloco
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martedì 10 novembre 2015
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in sostanza fedele al libro di crichton
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"Sphere"è dello scrittore di formazione scientifica(era medico)Michael Crichton e ciò spiega il gioco iniziale dal quale parte anche il film di Levinson: la relazione dello psicologo(Dustin Hoffman, sempre eccelso)su possibili reazioni ad un(eventuale)incontro con entità aliene. UN malinteso, in quanto la relazione viene presa sul serio e per buona, ma il suo autore confessa di aver usato, come punti di partenza, testi di scienziati come Asimov e Clarke, ma anche di autori come Rod Serling, puro autore"fantastico", quello di"The Twilight Zone"("ai confini della realtà"), il che spiega tutto il gioco tra "realtà"e"immaginazione"o come di immaginazioni che si materializzano su cui si basa il film, che non ha escapismi"d'azione"e di particolare suspense(solo quella necessaria, vien da dire.
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"Sphere"è dello scrittore di formazione scientifica(era medico)Michael Crichton e ciò spiega il gioco iniziale dal quale parte anche il film di Levinson: la relazione dello psicologo(Dustin Hoffman, sempre eccelso)su possibili reazioni ad un(eventuale)incontro con entità aliene. UN malinteso, in quanto la relazione viene presa sul serio e per buona, ma il suo autore confessa di aver usato, come punti di partenza, testi di scienziati come Asimov e Clarke, ma anche di autori come Rod Serling, puro autore"fantastico", quello di"The Twilight Zone"("ai confini della realtà"), il che spiega tutto il gioco tra "realtà"e"immaginazione"o come di immaginazioni che si materializzano su cui si basa il film, che non ha escapismi"d'azione"e di particolare suspense(solo quella necessaria, vien da dire...), ma è film "quietamente di riflessione": nessun "gioco al massacro"tipo"Jurassic Park", ma un film di Levinson, insomma, autore filmico schivo e sostanzialmente alieno dalla spettacolarità esibita. Lo"show"è, in altri termini, interno e, da non dimenticare, al centro di tutto è la misteriosa"sfera", figura geometrica solida senza lati e angoli, per Niccolò Cusano quintessenza dell'Infinito... Tutto il resto si sviluppa intorno a ciò, forse con qualche(moderata, però) lungaggine, ossia con qualche sequenza pletorica, non del tutto essenziale rispetto allo svolgimento della vicenda... Hoffman grande, si è detto, ottimo Samuel Jackson, il matematico a tratti"burlone", idem Sharon Stone in luce non solo per la bellezza ma anche per l'intelligenza(una biochimica tormentata nel film), ancora un Peter Coyote insolitamente"duro"e"rigido"quale coordinatore dell'équipe...Non sarà, forse un'opera"indimenticabile"(ma anche questa definizione è in realtà una formula routinaria, abusata, anche perché la mnemotecnica è cosa più seria e complessa), ma lascia un segno, a proposito di riflessioni sullo spaziotempo(qui un'astronave non si sa come e soprattutto quando"gettata"nel mondo aquatico)che da decenni sono ormai post-einsteiniane... El Gato
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shiningeyes
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venerdì 29 marzo 2013
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buono, anche se ha troppi riferimenti.
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Un film ben fatto e diretto, nella quale comunque, i rimandi di altri film più altisonanti si vedono un po' troppo, cancellando qualsiasi originalità. Anche se ci sono delle particolarità e piccolezze che fanno la differenza in modo positivo.
Nonostante i poco nascosti citazionismi (“The Abyss” e “Solaris”), la pellicola sa creare una tensione niente male e sa anche ispirare molta curiosità in una trama tutt'altro che nuova e adattata poco bene dal libro omonimo di Michael Crichton.
Merito anche di una valida scenografia che rende perfettamente l'idea di prigionia e bellezza del mondo marino, nel quale l'occhio di Levinson è abile a catturarne l'essenza ed estetica.
Peccato per la sceneggiatura, che nella sua banalità non rende giustizia ad un grande scrittore come Crichton, autore mai banale, sempre pronto a metterti un buon carico di suspence nei suoi romanzi.
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Un film ben fatto e diretto, nella quale comunque, i rimandi di altri film più altisonanti si vedono un po' troppo, cancellando qualsiasi originalità. Anche se ci sono delle particolarità e piccolezze che fanno la differenza in modo positivo.
Nonostante i poco nascosti citazionismi (“The Abyss” e “Solaris”), la pellicola sa creare una tensione niente male e sa anche ispirare molta curiosità in una trama tutt'altro che nuova e adattata poco bene dal libro omonimo di Michael Crichton.
Merito anche di una valida scenografia che rende perfettamente l'idea di prigionia e bellezza del mondo marino, nel quale l'occhio di Levinson è abile a catturarne l'essenza ed estetica.
Peccato per la sceneggiatura, che nella sua banalità non rende giustizia ad un grande scrittore come Crichton, autore mai banale, sempre pronto a metterti un buon carico di suspence nei suoi romanzi.
Da come ne parlo sembra un mezzo fiasco, ma per fortuna che il bel cast presente, aiuta non poco ad elevare la qualità del film.
Dustin Hoffman, ormai abituato a parti del genere, si dimostra sempre il mostro sacro cinematografico che è, facendo eternamente il solito ottimo lavoro; Sharon Stone anche fa la sua solita parte di donna mezza schizzata, però bisogna dire che la sua buona figura la fa; ironico come sempre il nostro buon Samuel L.Jackson, che sta un po' sopra le righe, ma è così che lui ci piace; non male, ma un po' in ombra, il buon Peter Coyote.
Non è certo nella lista dei migliori film di fantascienza, “Sfera”, ma sa ritagliarsi uno spazio suo ed è uno di quel film che non ti annoia e che rivedi sempre volentieri.
Onore a Levinson nel aver saputo girare ottimamente un film di un genere che non aveva ancora sperimentato, e che grazie a lui raggiunge un buon valore, in virtù dei pregi che ci sono, che sanno allontanare lo spettro di una minestrone di riferimenti.
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dezio
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mercoledì 3 luglio 2013
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una sfera che non rotola lontano
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Il film «Sfera» si basa sull'ononimo romanzo di Michael Crichton, lo stesso scrittore che ci ha regalato Jurassic Park. Barry Levinson, alla regia, ci trascina in una claustrofobica avventura sul fondo del mare, infarcita di tecnologie dal futuro, sfere aliene e poteri mentali.
Per poter «spaccare lo schermo» un film di questo tipo ha bisogno di una buona dose di suspance, una trama fantascientifica che regga, un buon intreccio tra i personaggi principali. Bene, la suspance c'è, ma la lista di pregi si esaurisce pressapoco qui. Il problema principale di questo lungometraggio è l'eccessiva sensazione di "già visto" che ci pervade per tutte le 2 ore di lunghezza.
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Il film «Sfera» si basa sull'ononimo romanzo di Michael Crichton, lo stesso scrittore che ci ha regalato Jurassic Park. Barry Levinson, alla regia, ci trascina in una claustrofobica avventura sul fondo del mare, infarcita di tecnologie dal futuro, sfere aliene e poteri mentali.
Per poter «spaccare lo schermo» un film di questo tipo ha bisogno di una buona dose di suspance, una trama fantascientifica che regga, un buon intreccio tra i personaggi principali. Bene, la suspance c'è, ma la lista di pregi si esaurisce pressapoco qui. Il problema principale di questo lungometraggio è l'eccessiva sensazione di "già visto" che ci pervade per tutte le 2 ore di lunghezza. Gli interni dell'astronave è proprio come ce li aspetteremmo se pensassimo alla frase "arredamento tipico di astronave futuristica", dato che la struttura ricorda troppi altri film, così come l'incipit della storia. Verso la fine, nonostante una serie di colpi di scena per niente male, la sceneggiatura si perde in innumerevoli incoerenze (Ma come? Riescono a controllare i loro poteri?). Il cast è sufficiente nel suo modesto compito, dato che i personaggi proprio non sono interessanti, eccezion fatta forse per l'Harry di Samuel L. Jackson. Colonna sonora abbastanza anonima che comunque fa il suo dovere, stesso discorso per la regia.
Qualifico quindi il film come un fantascientifico che potrà piacere, nello svolgimento, allo spettatore «casual», ma lo deluderà comunque nel finale; non stupirà in alcun modo lo spettatore navigato che di film del genere se ne ha sorbettati parecchi.
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