Sesso, bugie e videotape

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Un film di Steven Soderbergh. Con Andie MacDowell, Peter Gallagher, James Spader, Laura San Giacomo, Ron Vawter.
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Titolo originale Sex, lies and videotape. Commedia, durata 100 min. - USA 1989. MYMONETRO Sesso, bugie e videotape * * * - - valutazione media: 3,24 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Sopravvalutato?dipende. Valutazione 4 stelle su cinque

di Francesco2


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venerdì 11 febbraio 2011

Nell'affrontare questa recensione, dovrei valutare perché nei confronti di quest'opera, che pure a tratti non considero così profonda ma anzi ripetitiva e persino un pò superficiale, non considero un'esagerazione la Palma d'Oro a Cannes
 e perché non la considero il "Classico” esempio di c nema medio indipendente, appropriato -Sia detto senza offesa- ad occasioni come il Sundance Film Festival, e poi a scomparire pressoché nel nulla, quando -E se- trova una distribuzione. Intanto: Sodersbergh ha già un suo stile, quello che dimostrerà nel geniale "Bubble" e persino nel commerciale ma incisivo "Ocean's Eleven?" E se ce l'ha, è uno stile fine a sé stesso o amalgama di una vera sostanza?
Tanto per cominciare, trovo che sbaglierebbe chi non considerasse che, nel risultato se non nelle intenzioni, il regista- Qui alla sua prima opera: è un caso?- si identifichi col "Collega" più di quanto non sembri. Nel senso che certe scene del film paiono veramente carpite ad una fiction anche se situate nella realtà. Si prenda per esempio quella in cui il protagonista è a tavola con la Mac Dowell, ed ha luogo quella (Ma davvero?) troppo lunga e dilatata conversazione. Osservatela meglio  -Se non l'avete fatto- e ditemi se non (ap) pare  degna di un film, come tecniche di ripresa ed impostazione del dialogo. Come se in realtà, al di là di qualsiasi banale, banalissima, autoidentificazione col protagonista, quest'ultimo fosse un alter-ego di Sodersbergh -Con connotati, sicuramente, più specifici-, nel senso che la realtà quotidiana si mescolasse di continuo con la finzione, un gioco di disvelamenti nel quale la sincerità ed una punta di bugia si incrociano di continuo. Del resto la sorella "Buona", prima che un'attrice per il cognato (Ma forse anche per il marito, in un altro senso) è una PAZIENTE  di uno psicoanalista. Quindi il suo disvelamento ha prima di tuttouna valenza medica: ma allora, tutto il film va letto sotto questa chiave, o perlomeno in molti momenti  c'è una recita in atto o prossima alla conclusione (Ci si augura che uno psicologo abbia questo compito, quellod i scardinare certi meccanismi).
Quanti sono i momenti di sincerità in questo film? Forse, ma non è detto, quelli tra le sorelle; ma considerati gli argomenti e l'atteggiamento, più che di sincerità si può parlare di empatia, e neanche sino in fondo, se leviamo la scena pre-finale (Perché quella finale per davvero anticipa la pioggia). Forse è più autentico il marito quando dice :" Non è non facendo psicoterapia che i bambini africani guariscono. Ma è una sincerità che tradisce solo un po’  di cinismo o di crudo realismo.
Piuttosto, la vera sincerità è quella della sorella "Ribelle",  quando si autoconsegna a Spader mentre la riprende. Ecco per due volte una doppia valenza; la San Giacomo è contemporaneamente ripresa(PASSIVAMENTE9, ma quella scena può essere considerata come uno stimolo attivo per chi la registri; ed in più, per come è girata, la ripresa assume al contempo valore documentaristico ed artistico. Nel confessarsi, ilSpader diventa lui il “Ripreso2, più traumatizzato degli altri nel fare quel lavoro: se è vero che ha smascherato certe situazioni, è riuscito afarlo anche con sé stesso. Del resto, era questo il senso di un hobby così strano.
Se dunque tutto (O molto) è una grande bugia, il giovanissimo Sodersbergh evita prediche sull'ipocrisia borghese, e si affida ad uno stile che smonta piano piano tutte le nostre certezze,lasciandoci nella mente e nel cuore un'acuta riflessione sul valore della "Finzione" che lo  stesso Wenders, due o tre anni dopo, parzialmente riprenderà nel suo discusso "Fino alla fine del mondo", come anche sei anni dopo la Bigelow in "Strange Days". Di Sodersbergh si può dire tutto ed il contrario del tutto, data al vera o presunta etrogeneità della sua cinematografia; ma secondo chi scrive tale eterogeneità non lo identifica come un superficiale opportunista, ma anche e soprattutto come artista postmoderno, che
con "Out of Sight” sembrava avere imboccato definitivamente il viale del tramonto

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