La sua attività come documentarista iniziò assai presto, nei primi anni Cinquanta, quando era ancora studente di architettura all'Università di Firenze. In quello stesso periodo fece anche qualche esperienza come aiuto regista di lungometraggi a soggetto, fra i quali possiamo ricordare La Maja desnuda del 1958. Attivo collaboratore di Gualtiero Jacopetti, diede un significativo apporto alle opere di solito attribuite in toto a questo regista, girando egli stesso molte riprese, sia in Mondo cane (1962) che ne La donna nel mondo (1963). Con quest'ultimo film Cavara esordi come regista di lungometraggi, avendo a fianco, oltre che Jacopetti, anche il suo stretto collaboratore Franco Prosperi. Si specializzò così in un genere di documentario scandalistico e provocatorio, di notevole successo nei primi anni Sessanta, ma non sempre credibile dal punto di vista della verità oggettiva. Del medesimo genere fu anche il successivo I malamondo (1964), in cui, tuttavia, Cavara iniziò a prendere le distanze dagli aspetti più scopertamente faziosi dell'opera di Jacopetti, temperandoli attraverso una visione più obbiettiva e maggiormente critica della realtà umana e sociale oggetto dei documentari. Procedendo su questo stesso percorso, Cavara realizzò nel 1967 L'occhio selvaggio, un interessante film a soggetto, in gran parte autobiografico, soprattutto per quanto concerneva la critica ai metodi usati fino ad allora per girare documentari di forte presa sul pubblico, certamente provocatori, ma non veritieri. Negli anni successivi, abbandonato il genere documentaristico, Cavara si dedicò a film più commerciali, con cui ottenne validi risultati, sia di pubblico che di critica, soprattutto con due film "gialli", La tarantola dal ventre nero del 1971 e E tanta paura, del 1976. Negli ultimi anni della sua breve esistenza, Cavara lavorò soprattutto per la televisione, come regista e come sceneggiatore.