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Un film “barocco”, termine inteso nella sua accezione etimologica: una perla deforme, preziosa perché unica, attraente perché bizzarra. Fastoso, lussureggiante di costumi e castelli, cupo di mostri e di sangue ; teatrale di una teatralità barocca, dove l’estetica del bello si confronta con l’estetica del brutto, dove la tragedia sfuma in meraviglia, ma una meraviglia per noi, spettatori di oggi, un po’ affievolita dai nostri filtri culturali, un po’ algida e ricercata.
A tratti il film potrebbe evocare un “realismo magico” italiano, raggiunto sì trasponendo sullo schermo quella letteratura che attinge all’immaginario delle fiabe e della novellistica popolare, ma usando anche sapientemente registri visivi e sonori che gli conferiscono un’unità stilistica particolare, “barocca” appunto. Senza però infondergli quella forza che altre letture cinematografiche hanno conferito a cicli narrativi letterari: non diremo solo di Pasolini con la sua classica trilogia, ma anche dei fratelli Taviani con Kaos e Decamerone per esempio.
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