The Counselor - Il Procuratore

Un film capolavoro, fitto di dialoghi tutti significativi nel più minimo dettaglio, capace contestualmente di ricordarci che il cinema è visione. Al di là della trama, vi è nel film il consiglio ben esplicito per una meditazione sulle prospettive cui vanno incontro le iprese industriali che investono nei paesi "sud del mondo", significato nella relazione tra "l'avvocato" (geniale lasciarlo senza nome) e il personaggio di Penelope Cruz (il cui nome viene comunque pronunciato assai poco, se non per nulla) che rappresentano una realtà splendente che, appunto, è impossibile edificare fondandola in un società che vive di business esasperati, disumani come l'unica che vi sopravvive: il personaggio della magistrale Cameron Diaz.
Contestuialmente non mi stupisce che degli spettatori italiani diano del film un giudizio negativo: personalmente ho trovato le stroncature come commenti di contadini che hanno appena visto un film abientato in una fabbrica.
Per cui, queste "stroncature" fondate su un incapacità di visione che si esibisce senza pudore, mi confermano che l'Italia negli ultimi due decenni si è allontanata da queasiasi argomento che non sia immediato o tipico dei propri, brevi e campanilistici dintorni.
In poche parole, queste stroncature sono la conferma che noi siamo avviati a diventare il Messico, o meglio, il Chihuahua, dell'Europa. Questo a meno di uno sforzo culturale che non capisco con quali strumenti informativi possa realizzarsi, oggi.
Per cui faccio i miei auguri a tutti, perché la corsa verso quella poco desiderabile meta è in pieno svolgimento ma di considerare con meno sufficenza il sugerimento del film-metafora ambianto a Juarez, città che nell'immaginario può essere considerata un paesino, nella realtà si tratta di una città all'incirca come Milano.