Abel Rosemberg è un trapezista che tuttavia si sente fallito e che sta gettando la sua vita nell'alcolismo e nella depressione; un giorno scopre che il fratello si è suicidato e decide di comunicarlo alla ex cognata, che lavora in un bordello di lusso come spogliarellista. Da lì i sospetti verso di lui si fanno più fitti, la polizia crede che sia stato lui infatti ad aver ucciso l'uomo e questo non fa che aggravare la già difficile situazione esistenziale di Abel, che tuttavia è aiutato dalla cognata a rifarsi una vita, nonostante anche lei viva una vita angosciata e dura.
Bellissimo film di metà carriera di Bergman, spesso considerato dalla critica un film minore ma che invece a mio avviso è un piccolo gioiello nella filmografia del regista svedese, che fa parte tra l'altro di un periodo molto particolare nella carriera di Bergman, ovvero del periodo "tedesco", in cui girerà qualche film in terra teutonica, terra che gli darà ospitalità artistica per qualche tempo a causa di problemi vari sopraggiunti in patria. E' davvero un film tedesco nell'animo, forse un po' atipico per gli standard bergmaniani, ma proprio per questo io lo trovo molto interessante: tecnicamente è poi, al solito, praticamente perfetto: la fotografia è ispirata alla tradizione del cinema tedesco, è una sorta di tributo ai film espressionisti, con colori cupi e angoscianti, con tonalità che ricordano i alcuni filmati d'epoca nazista a colori, con colori sfocati e solo a tratti contrastati. I dialoghi sono intensi e sentiti, e molto riuscita è a mio parere la caratterizzazione del personaggio di Abel, un uomo che è ambiguo, a volte freddo e cupo, a volte sul limite della follia e comunque devastato dai propri demoni, che è come se fosse un riflesso dell'epoca che si trova a vivere, quella della Germania pre-nazista, in cui il clima di devastazione e di crisi economica drammatico del primo dopoguerra, vissuto tra sospetti e cinica rassegnazione fanno da anticamera ad un futuro che si rivelerà una promessa di liberazione e di rinascita, ma che in realtà ne sarà semplicemente una contro-figurazione, che porterà agli esiti nefasti che tutti noi conosciamo. Straordinaria come sempre anche la recitazione di Liv Ullmann nel ruolo di Manuela, una donna sensibile ma anch'ella soffocata dalle proprie disperazioni.
Molto intenso è poi il finale: Abel viene a sapere dal dottor Vergerus, in una sequenza molto ben scritta, anche a livello di riferimenti storici, che sono stati compiuti esperimenti su persone che venivano preventivamente drogate con una sostanza che conduceva alla pazzia e alla morte e gli riferisce che anche Max era tra i suoi assistenti: Bergman ci mostra una sorta di embrione, di preludio a quelli che saranno i terribili esperimenti che i nazisti porteranno avanti durante la dittatura hitleriana e mostra come questi scienziati ritenessero con grande convinzione che tutta questa ricerca e questi terrificanti esperimenti potessero portare davvero un progresso per l'umanità, sotto l'egida della scienza, appunto.
Insomma, un film da non perdere nella filmografia di Bergman, film che lui stesso considerava uno dei più crudi mai girati, al limite dell'horror, e che ha effettivamente una grande forza espressiva e alcune scene molto intense. Non fidatevi di chi saluta "L'uovo del serpente" come un film minore, io lo consiglio vivamente, poichè in artisti monumentali come Bergman si possono trovare delle perle anche dove meno ci si aspetta, bisogna solo allontanarsi dai pregiudizi e godersi il genio, anche quello più nascosto nelle opere meno osannate.
[+] lascia un commento a lucaguar »
[ - ] lascia un commento a lucaguar »
|