"Fino alla fine del mondo" è un film complesso e impegnativo, dove Wenders ci presenta la storia di una giovane donna che ha nella sua natura il gusto del viaggio e dell'avventura e che un giorno, in Francia, si ritrova per caso invischiata con dei criminali che le chiedono di portare del denaro a Parigi. Nel frattempo conoscerà un altro uomo, anch'egli coinvolto in un furto, stavolta di un dispositivo unico al mondo, in grado di ridare la vista ai ciechi, che in realtà vorrà portare alla madre cieca per ridarle la possibilità di vedere lui e i suoi parenti. Da qui la ragazza, che ingaggia anche un detective, inizia a girare il mondo per inseguire l'uomo, del quale si è innamorata, anche se è sempre seguita anche dal marito, che però sembra accettare di poterla perdere, conscio della sua personalità avventurosa e inquieta.
Questo film è certamente un progetto mastodontico e costoso (strano per un "autore" come Wenders), esso giunge a metà della carriera del regista tedesco e compendia un po' tutti i temi a lui più cari. E' un'opera talemente ricca e articolata che sarebbe troppo pretenzioso tentare di esaurire tutte le suggestioni che emergono dal tessuto magmatico e talvolta un po' intricato di questo racconto, ma a mio avviso i temi che emergono con maggior forza sono due:
1) LA TECNICA: da ciò che leggo anche qui, è un tema un po' sottovalutato, ma è secondo me centrale: Wenders tenta di mostrare la natura ambigua e ondivaga della tecnologia, che può essere buona e portare speranze di emancipazione (come ridare la vita ai ciechi) quasi miracolose ("solo i miracoli hanno senso" dice uno dei personaggi), ma che nasconde sempre, anche sotto l'egida dei buoni propositi, la sua potenza distruttiva, come si nota dal richio di una catastrofe nucleare che gli USA rischiano di far esplodere tentando di sventare un satellite indiano diretto verso la Terra. In anticipo sui tempi, come spesso avviene in Wenders, è anche il tema dell'ambiente e della minaccia per il pianeta, che si dipana soprattutto alla del fine film, ambientata in Australia e che è ben più di una citazione dell'amico Herzog e del suo "Dove sognano le formiche verdi", (di cui tra l'altro recita anche un attore, membro della tribù indigena autraliana): l'Australia, la "fine del mondo", funge da rifugio per tutti i protagonisti, che sperano di potersi salvare dalla catatrofe imminente ma che è anch'essa minacciata dalla violenta brama iper-tecnologica occidentale, sia nelle sue tribù che nel paesaggio.
2) L'IMMAGINE e il RACCONTO: più noto e spesso sottolineato è il tema dell'immagine; qui Wenders sembra mostrarci l'abuso delle immagini che la nostra epoca contemporanea vuole imporci, e lo fa anche qui con la consueta lungimiranza. La nostra è una civiltà fondata sulle immagini (e oggi ciò è ancora più vero, nell'epoca dei social) e sulla noncuranza della parola e della scrittura, in generale del racconto, il quale fa guarire la protagonista dalla dipendenza malata dalle immagini dei sogni proiettate sul suo dispositivo elettronico; è il racconto del marito della protagonista che infatti ci guida, come una sorta di filo di Arianna che ci conduce fuori dal labirinto di immagini (appunto) del film, che si sta popolando di mostri (come il celebre Minotauro del mito), mostri che tuttavia sono sempre un'emersione dall'abisso dell'animo umano. Il racconto, la parola, sono curativi, sono la salvezza rispetto ad un destino dominato dalle immagini e dalla tecnologia, che può diventare minacciosa per la natura umana e per il pianeta, se appunto non accompagnata dal gusto del raccontare. Questo punto può stupire, visto che sembra un discorso anticinematografico, ma in realtà è esattamente espressione dell'amore che Wenders nutre per il cinema.
"Fino alla fine del mondo" è un film molto articolato, ricchissimo di metafore e di citazioni, un progetto che forse Wenders considera come quello più compiuto del suo modo di vedere il cinema e la vita. A mio avviso il risultato è quello di un'opera che di certo non dimenticheremo, anche se forse in altri film più compatti e meno pretenziosi il regista è riuscito a trasmettere in modo più accessibile il suo cinema, fatto di viaggi e di ricerca di sè, di un vagare e di un perdersi che si innesta con una solitudine o con un intreccio di solitudini. Bellissime e suggestive le musiche, così come la fotografia (io l'ho guardato in versione restaurata in alta definizione, versione che consiglio a tutti). Opera di altissimo livello.
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