La Casa di Jack |
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Un film di Lars von Trier.
Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan.
continua»
Titolo originale The House That Jack Built.
Thriller,
Ratings: Kids+13,
durata 155 min.
- Danimarca, Francia, Germania, Svezia 2018.
- Videa
uscita giovedì 28 febbraio 2019.
- VM 18 -
MYMONETRO
La Casa di Jack
valutazione media:
3,01
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Le sgradevoli ossessioni di Larsdi Lucio Di LoretoFeedback: 2938 | altri commenti e recensioni di Lucio Di Loreto |
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martedì 9 luglio 2019 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La Casa di Jack è l’esaltazione della pazzia, che ha coinvolto uno dei migliori geni della macchina da presa, buttandolo così in pasto a critiche (meritate) ipocrite di festival ad hoc, rendendo un regista da sempre ricco di originalità come un fenomeno da baraccone che deve colpire sempre e in ogni situazione. La lunga assenza dai grandi schermi non giustifica un rientro così grottesco e sgradevole, dove la sceneggiatura è un optional e viene sostituita da una infinita serie di storielle che il protagonista, un Matt Dillon tanto lodevole per impegno ma talmente fuori luogo da ergersi a macchietta, racconta per giustificare i suoi crimini, con frasi innocue e incaute durante ad esempio l’uccisione dell’intera famiglia, che danno all’animo di Jack non il senso voluto di ossessione e compulsione, ma un atteggiamento da serial killer quasi comico. Diventano a loro volta ridicole anche le sue vittime, che non si tolgono i cappellini rossi nemmeno quando devono nascondersi da lui, che “abboccano” ai suoi metodi in modo alquanto bizzarro, facendosi prendere le misure delle parti intime, rinchiudere in gruppo dentro celle frigorifere o farsi ammaliare da storie da finto poliziotto prima e da agente assicurativo poi accorgendosi sempre troppo tardi della fiducia data ad un uomo che sembra (volutamente?) psicopatico al primo sguardo. Non c’è in pratica nessuna idea artistica e nelle interminabili due ore e mezza di trash (nel senso più brutto del termine) le divagazioni di stile sono troppe e affogano le poche intuizioni esistenti. Questo viaggio nello splatter Tarantiniano, mantenendo però allo stesso tempo il proprio stile minimalista, è un flop pazzesco, dato che la sua di violenza, a differenza di quella del vero maestro sui generis, non è per nulla efferata, le uccisioni sono programmate e compiute male e la cinepresa non ottiene nessun climax sperato. Il film arriva ad essere un triste esempio di “morte al lavoro”, con le sequenze degli omicidi buttate lì senza perizia o finezza alcuna, cercando di recuperare e abbellire il tutto con delle patetiche autocitazioni troppo didascaliche, fino a giungere all’esilarante epilogo di “Dante Dillon” e “Verge Ganz”! La pellicola non è altro che una progressione del lutto, dei limiti della libertà e del male già scavati da “Antichrist” in poi! Come in Nymphomaniac inoltre anche qui il protagonista si racconta all’anziano navigato, ma la censura troppo ironica di quest’ultimo fa perdere di credibilità l’idea originale. Scritto, sceneggiato e diretto in tempo per andare a Cannes, anni dopo le frasi ad effetto giudicate filonaziste, questo lungometraggio è andato a sbattere contro un muro invalicabile, quello di chi deve provocare a tutti i costi rischiando così il fallimento epico, che rimarrà indelebile in un curriculum altresì più che dignitoso.
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