Papillon |
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Un film di Michael Noer.
Con Charlie Hunnam, Rami Malek, Tommy Flanagan, Eve Hewson.
continua»
Biografico,
durata 133 min.
- Serbia, Montenegro, Malta 2017.
- Eagle Pictures
uscita mercoledì 27 giugno 2018.
MYMONETRO
Papillon ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Un penoso remake senza anima e cuore
di Lucio Di LoretoFeedback: 2938 | altri commenti e recensioni di Lucio Di Loreto |
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venerdì 28 febbraio 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Grottesca e inopportuna la trasposizione di questo remake, affidata al giovane Michael Noer, filmaker 40enne alla prima esperienza d’elite, perciò buttato in pasto da una disordinata produzione a girare la versione di un inarrivabile capolavoro come Papillon. Raggiungere le vette originali era ovviamente impensabile, anche per gli organizzatori di questa pellicola, ma ciò che manca alla base e fa rabbia è la benchè minima presenza di passione e calore, principali caratteristiche da tramandare ai posteri per una storia così tanto drammatica e claustrofobica, dove libertà e vero e proprio ossigeno sono carenti dallo start fino all’epilogo nei protagonisti principali, sebbene l’uno per fisicità e abitudine a delinquere sia più preparato dell’altro, furbo e scaltro ma inadatto a sopportare la ferocia dell’isolamento nella famigerata e ormai iconica “Isola del Diavolo”! La piattezza a dirigere le sequenze migliori (?) è patetica e la macchina da presa si limita a correre dietro ad Hunnam e Malek per tutta la durata, in attesa di un climax che mai ci sarà; tutto ciò sarebbe giustificato se accoppiato ad una recitazione da brividi, o almeno animata da spirito sofferente, relativo a pena e tormento, ma le due star contemporanee falliranno in maniera epocale la loro missione. Icone del calibro di McQueen e Hoffman, oltre a personalizzare i loro Charriere e Dega con l’acting che li ha resi celebri, fatto di forza interiore per il primo e timidezza associata a furbizia introspettiva per il secondo, erano infatti aiutati dagli splendidi dialoghi firmati Dalton Trumbo, che a sua volta si mise a scrivere pensando per l’appunto a quali campioni avrebbe lasciato l’onore di riportare a voce le sue accorate parole, vedendo ad opera compiuta un’infinità di scene epiche, intimistiche rivelazioni e feroci rese dei conti. Qui la performance degli attori è grossolana, e lascia intendere più che una pazzesca epopea al contrario – costituita da ingiuste e massacranti detenzioni, colme di soprusi e prepotenze fisiche, atte alla vera e propria eliminazione corporale del detenuto – una gara a chi riuscirà nell’impresa di fuggire da tale martirio. La sceneggiatura praticamente non permette un qualunque aiuto ad Hunnam e Malek, i quali sono perciò costretti ad improvvisare ogni azione, palesandosi l’uno esageratamente esaltato e sguaiato, forte di un fisico che lo eleva più a supereroe che ad impavido e coraggioso prigioniero innocente e l’altro quasi più sveglio del compagno, pronto quindi prima o poi a farla franca. E’ proprio il tanto atteso Rami Malek a deludere e a manifestare maggiormente in negativo la sua recita bullesca rispetto a quella del partner in crime. Difatti utilizzerà il copione a lui assegnato esclusivamente per mettere un’altra tacca nella sua ormai famosa arte da underdog ribelle, pronto a rivoltarsi alle angherie ed ergersi a paladino degli ultimi, anziché far trasparire le sconfitte psicofisiche del suo Louis, dimenticando forse che lo scopo della trama non era quello di superare ostacoli insormontabili, ma sbatterci il grugno periodicamente fino a desistere. La modernità dei mainstream hollywoodiani è anch’essa non pervenuta, dato che gli esterni e la natura ad essi circoscritta non vengono mai allargati e valorizzati, non dando così la vertiginosa sensazione di prigionia claustrofobica all’interno di spazi al contrario vasti e infiniti. Un brutto esperimento dunque questo remake, che anziché l’ovvio pathos e thriller, che un racconto sulla chiusura forzata verso il mondo esterno e i molteplici tentativi di ribellarvisi dovrebbero riaccendere nell’animo di chi guarda, lascia invece in essere l’ennesima sensazione di propaganda e lucro verso una pietra miliare del cinema, mandata anch’essa a morire contro le esigenze da botteghino.
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