Papillon

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Farfalla...in mostra Valutazione 2 stelle su cinque

di loland10


Feedback: 13721 | altri commenti e recensioni di loland10
sabato 30 giugno 2018

Papillon” (id., 2017) è il quarto lungometraggio del regista danese Michael Noer.
Per togliere ogni dubbio iniziale, almeno per chi scrive, il film per buona parte delude. Qualche sequenza alza l'asticella del medio(cre) e il finale per alcune scritte e musiche che ci fanno ricordare quello che la finzione non fa vedere praticamente mai. A meno che qualcuno si accontenti di qualche pettorale in prima fila, di qualche tatuaggio ben messo e di qualche scazzottatura (molto ordinarie e per niente nuove) allora il film può guardarsi in un pomeriggio di svago. Ma accontentarsi del minimo 'sindacale' per quanto riguarda il modo di affrontare i personaggi....non aiuta certo a far rimanere questo film negli annali e il gusto di rivederlo.
Henri Charrière ovvero Papillon (dalla farfalla tatuata sul torace) nella Parigi del 1931 si trova accusato di un omicidio mai commesso. Il giovane venticinquenne viene condannato all’ergastolo: mandato ai lavori forzati nella Guyana francese sull’Isola del Diavolo. Conosce Louis Dega, falsario e pieno di denaro, che ha intenzione di ‘pagare’ la fuga di Papillon. Non sarà semplice dopo vari tentativi ma la protezione del suo amico fa gioco forza ad entrambi.
            Tutto come previsto, buoni ambienti e ricostruzioni, comparse e facce scolpite, ma manca il ‘pathos’ ardimentoso della carcerazione e della fuga. Psicologia annullata rispetto ad una fisicità espressa ma che alla fine reprime. Ordinario e un po’ troppo trattenuto. Poi la prima parte viene compressa in pochi minuti fino alla conoscenza o meglio la presentazione di ‘Papi’ e ‘Dega’.
Poi bisogna dire che lo score musicale segue, purtroppo, di pari passo il succo del film e il roboante tono in alcuni momenti delude ancora di più perché il film vira non verso il 'racconto' carcerario del libro ma da una parte lontana, una soap-docu che vorrebbe essere accattivante ma è solo facile gioco di contrasti, compravendite, di volti imbolsiti e parti sottostanti che non scardinano la visualità intera.
Isola maledetta del diavolo, isolati dal mondo: ma l'isolamento è anche cinematografico. Si percepisce una ricostruzione (anche) corretta ma appare tutto plastificato e i personaggi hanno un distacco generale. Si dice bucare lo schermo...e manca proprio questo. E poi in tale tipo di film il non detto, il visionario, l'ideale, la fuga come distacco, il sogno, l'impossibilità sono parti che hanno fondamento per agganciarci ai due amici, inconsapevolmente, amici.
Arriva una domanda senza risposta: ‘Cosa ci fa un figlio di insegnanti in simile posto?’ Louis vuol sapere del suo amico, lui furfante mentre di fronte (forse) un innocente. I suoi occhiali smossi distanziano gli altri, non trasmettono fiducia. Vogliono capire a chi offrire aiuto per convenienza. Lo spettatore dovrebbe avere la sensazione di un qualcosa che vada oltre ai pugni, al palestrato e ai grugnì che rimangono in prima fila. L'impercettibile, il non detto, l'orizzonte, l’ideale sono sfiorati: la conoscenza è alla mercé per un film di puro intrattenimento che non vuole interrogarsi. Ci si ferma sul ciglio. Già sappiamo tutto.
Papillon e il vizio di una farfalla con ali tenere, come Icaro vorrebbe volare. Chi sa se gli insegnanti genitori hanno mai conosciuto il proprio figlio? Chi sa se la domanda è pura poesia inespressa? Chi sa se un ragazzo venticinquenne ha voglia di sfidarsi? La sua donna (una delle tante) o la sua amante o la sua prostituta non può fare nulla, neanche l’alibi di se stessa figurarsi per il suo ‘Papi’. Si vive in modo libertino, si sorride al divertimento, si viene rinchiusi senza saperlo.
Intestardito dalla sua volontà, incapace di perdere, insieme al suo amico Dega, Papillon regge ogni sconfitta come una vittoria. Certo il denaro serve e sarà sempre utile, per corrompere, per comprare e per saper trattare.
Losco individuo o leggiadro uomo, lesto e silenzioso, Charlie Hunnam ci mette il suo  ma il personaggio è complesso, forse troppo, per racchiuderlo in gesti e modi che forse non gli appartengono. E la sceneggiatura così com’è stata dettata non è indice di un altro tipo di film. Quindi basta sapersi adattare.
Legato e testardo, il fisico di Henri regge all’urto, anche con mezza reazione e in completo isolamento.
Omettere ogni paragone con l'originale primo film è un errore...come omettere ogni riferimento al libro (autobiografico). E il dislivello esiste. Inutile girarci attorno.
Non senza concludere che Papillon ha dietro una storia lunga di polemiche, repliche, affermazioni, verità, falsità, testimonianze e altro su quello che l'autobiografia carceraria pubblicata nel 1969.
Dopo l'uscita del film del 1973 (di Franklin J. Schaffner, regista sì di  altro rango) le polemiche non si placarono (notizie che oggi paiono dimenticate completamente). Il film di suo, con o senza queste, ebbe un clamoroso successo. Si vedano i nomi degli sceneggiatori per ‘cercare’ di capire dove un film può arrivare e a che altezza. La dicitura iniziale 'ispirato ad una storia vera' oramai pare un sotterfugio ai più senza aver idea di cosa si tratta e da quale fonte si parte.
Charlie Hunnam( Papillon) e Rami Malek (Louis Dega) sanno il fatto proprio ma con una direzione poco incisiva lasciano potenzialità inespresse. Regia di lascito medio, con inquadrature (se ne ricordano tre) verticali (ora sulla nave, ora in carcere, ora sulla barca) che hanno la voglia di essere(ci) ma che alla fine stonano su tutto il contesto.
Voto:  5½/10 (**½).

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