Roger Corman (Roger William Corman) è un attore statunitense, regista, produttore, è nato il 5 aprile 1926 a Detroit, Michigan (USA) ed è morto il 9 maggio 2024 all'età di 98 anni a Santa Monica, California (USA).
Singolare figura di cineasta visionario, si è dedicato ai generi del fantastico e dell'avventuroso. Ne ridusse per lo schermo l'opera di Allan Poe con ben otto film in appena cinque anni (1960-64):I vivi e i morti, Il pozzo e il pendolo ,Sepolto vivo ,I racconti del terrore ,I maghi del terrore, La città dei mostri, La maschera della morte rossa ,La tomba di Ligeia. Nel secondo si occupò di violenza sociale con pellicole come L'odio esplode a Dallas, 1961;I selvaggi, (1966), di droga (Il serpente di fuoco, 1967), di criminalità con (Il massacro del giorno di San Valentino, 1966; Il clan dei Barker, 1969). ConIl barone rosso (1990), rievocò l'ultimo leggendario duello aereo tra il barone von Richthofen e Brown. E' tornato alla macchina da presa girandoFrankenstein oltre le frontiere del tempo. Corman è stato un grande maestro al cui insegnamento si sono formati alcuni tra i migliori talenti del cinema americano di fine Novecento come Jonathan Demme, Larry Cohenm, Joe Dante e molti altri.
LA FACTORY DI CORMAN
Corman, scoperto dalla critica europea come "autore" soprattutto per il ciclo horror tratto dai racconti di Edgar Allan Poe (The Masque of the Red Death) è stato il più brillante, personale e uno tra i più prolifici dei registi off-Hollywood che, alla fine degli anni Cinquanta, si trovarono ad affrontare la crisi dell'industria e del sistema cinematografico tradizionali. La fine di Hollywood come fabbrica dei sogni dominante (via via sostituita dalla televisione, con i suoi sogni più prosaici e spezzettati) significò anche la fine della serie B tradizionale. Al suo posto emerse il cosiddetto 'exploitation film', che esiste ancora oggi per il mercato home video, e che giocava sul sensazionalismo spudorato dei soggetti e delle situazioni, sulla velocità della narrazione, tutta costellata d'azione, sulla riconoscibilità di generi e personaggi. Proiettati nei drive-in e nelle sale della sterminata provincia americana, questi film tennero legata al cinema la generazione degli adolescenti degli anni Sessanta e Settanta, fornendo per di più a Hollywood il materiale umano e mitico per la sua rinascita.
Corman, che dirigeva fantascienza con inventivi mostri fatti in casa (come i granchi giganti di Attack of the Crab Monsters), esilaranti satire orrorifiche (come The Little Shop of Horrors e A Bucket of Blood), mostruose ossessioni personificate dall'istrione Vincent Price (il ciclo Poe), sanguinarie saghe di gangster (come Bloody Mama) aveva esordito nel cinema nel pieno di questa mutazione e ne diventò un piccolo maestro di stile e di economicità. Fin dagli anni Cinquanta, Corman affianca a quella di regista l'attività di produttore, di film propri e altrui: è l'uomo che sa girare due film diversi sullo stesso set e con gli stessi tempi di lavorazione, sfruttando gli scampoli dell'uno per costruire l'altro, che sa insegnare ai cineasti più giovani le regole essenziali per realizzare un prodotto vendibile. Jonathan Demme, che ha diretto i suoi primi tre film per la compagnia di Corman (Caged Heat, Fighting Mad e Crazy Mama), ricorda le indicazioni rapide che Corman gli diede durante il primo incontro di lavoro: "Trovare scuse legittime e motivate per muovere la macchina da presa, ma cercare sempre di muoverla. L'occhio è l'organo più usato dallo spettatore cinematografico; se non riesci a interessare l'occhio, non coinvolgerai il cervello. Non ripetere le composizioni nei primi piani. Non ricordare all'occhio che ha già visto la stessa cosa. Rendi il tuo cattivo affascinante quanto il tuo eroe. Un cattivo unidimensionale non sarà mai inquietante quanto un cattivo complicato e interessante". Sono queste (insieme alle altre che prevedono un po' di violenza, parecchio sesso, nudo calibrato, moltissima azione e una certa dose di idee di sinistra) le regole su cui si sono formati i nomi migliori della grande Hollywood successiva. Oltre a Demme, quasi tutti sembrano aver cominciato con Corman: Coppola (Dementia 13), Bogdanovich (Targets), Scorsese (Boxcar Bertha), Joe Dante (Hollywood Boulevard, Piranha e altri), Ron Howard (Deathsport, Grand Theft Auto), Curtis Harrington (Night Tide), Allan Arkush (Rock'n'Roll High School), oltre a indipendenti non convertiti alle Major come Paul Bartel (Death Race 2000), Monte Hellman (Cockfighter e i due western con Nicholson), Stephanie Rothman (The Student Nurses, The Velvet Vampire). E tutti hanno trasferito nel cinema successivo la velocità, l'inventiva e la provocazione costante imparata alla New World (questo era il nome della compagnia) di Corman. Spesso non si trattava neppure di film di genere, ma addirittura di sottogeneri o di filoni di consumo ed esaurimento istantanei: dai thrillers di Coppola e Bogdanovich girati con gli avanzi dei film di Corman, alle serie degli scontri e inseguimenti automobilistici, delle infermiere e insegnanti, delle famiglie gangster, tutti questi film delineano il passaggio dalla Hollywood classica a quella degli anni Ottanta.
Impegnato a produrre, per circa vent'anni Corman non ha diretto nessun film. è tornato alla regia nel 1990 con un film parzialmente girato in Italia, Frankenstein Unbound, quasi uno sguardo, ancora una volta ironico, alla propria storia di inventore di mostri e di registi cinematografici.
"WHAT took you so long?" was the question posed, semi-rhetorically, by Jonathan Demme to the assembled multitude at the Governors Dinner of the Academy of Motion Picture Arts and Sciences on Nov. 14. Mr. Demme was on hand to present a special Oscar to his old mentor, the 83-year-old producer and director Roger Corman, whose prolific career in low-budget exploitation cinema was being recognized, at last, by the industry establishment that for most of his long working life he'd had precious little to do with. If you make even the most cursory check of the honoree's filmography, the answer to Mr. Demme's question might appear to be blindingly obvious: Directors whose résumés include titles like "Attack of the Crab Monsters," "Teenage Caveman" and "The Saga of the Viking Women and Their Voyage to the Waters of the Great Sea Serpent" tend to have to wait a while for their Oscar.
The funny thing, though, is that Mr. Corman's protégés have statuettes to burn. Seated at his table at the Governors Dinner were, along with Mr. Demme, former employees like Jack Nicholson, who performed in several of Mr. Corman's movies and wrote one ("The Trip," 1967); and Ron Howard, who starred in "Eat My Dust" (1976) and just a year later, at 23, was hired to direct his first film, "Grand Theft Auto." Peter Bogdanovich, who worked on the biker melodrama "The Wild Angels" (1966) and whose own first film, "Targets" (1968), was produced by Mr. Corman, was there too.
Not every famous ex-Cormanite was able to make the party: Francis Ford Coppola, Peter Fonda, Dennis Hopper, Robert De Niro, Martin Scorsese and Robert Towne didn't attend. But knowledge of their gaudy post-Corman track records was in the air. "He gave us all our start," Mr. Towne said a few weeks later by telephone.
Mr. Towne, who won his Oscar in 1974 for the screenplay of "Chinatown," was with Mr. Corman from the early days of Mr. Corman's career, helping to write pictures like "The Last Woman on Earth" (1960) and "Creature From the Haunted Sea" (1961), and acting in them as well — wisely, under a pseudonym. ("I never really acted for anybody," he admitted.) In those hectic times Mr. Corman was directing several movies a year, on shooting schedules never longer than six days and sometimes as short as two (for the classic 1960 horror comedy "The Little Shop of Horrors").
These films were made not for Hollywood studios but, mostly, for a feisty independent outfit called American International Pictures, and were aimed at the youthful patrons of drive-ins and other modest theatrical outlets: movies designed for viewers desperate to get out of the house and see a movie, any movie. The audience wasn't fussy, and neither was Mr. Corman.
In a recent phone conversation Mr. Scorsese, who directed "Boxcar Bertha" for Mr. Corman's New World Pictures in 1972, recalled his impressions of those films. "I first became aware of him in the late '50s," he said, "with B films that were on these double bills. He had a distinct visual style, he had something to say, he used recurring actors, and very often he seemed to have a great sense of humor about himself."
Reflecting on the exceptionally goofy "Creature From the Haunted Sea," Mr. Scorsese laughed as he imagined, plausibly, the circumstances of the production: "They want to do a horror film, they come up with a script, they don't have the money to do it, they've run out of props and stuff, the monster looks terrible — so they say, why don't we make it into a comedy?" He added, "And the kids respected that and responded to it. They knew he was hip in that way. If that's the word."
Not exactly. But the makeshift, let's-put-on-a-show-right-here-in-the-barn spirit of early Corman movies still looks pretty winning, particularly in extra-cheap productions like "Creature" and "A Bucket of Blood" (1959). "Roger would put anybody to work, on anything," Mr. Towne said. "Speed and efficiency and inventiveness were de rigueur on his sets."
When, in the early '60s, Mr. Corman's budgets and shooting schedules expanded — a bit — those habits of creative corner-cutting had a more ambiguous effect. In 1964 Mr. Towne wrote the screenplay for "The Tomb of Ligeia," the last, and best, of eight pictures concocted by Mr. Corman from the stories of Edgar Allan Poe. All of the previous seven Poe movies had looked unusually handsome — they were mostly shot on sets left over from more expensive major-studio productions — and all but one had starred the noted hambone Vincent Price.
For "Ligeia," which is about a man in thrall to his dead wife, Mr. Towne argued strenuously against casting Price in the lead: "I love Vincent, but I knew he'd give away the whole story, because he'd be playing it as a necrophiliac right from the start." But, he said: "Roger is an incorrigible optimist. 'Vincent is going to be all right,' he told me, 'because we've got Marlene Dietrich's makeup man.' " (In the finished film Price does not, fortunately, resemble Dietrich; less happily, he doesn't much resemble Poe's character either.)
All the alumni of what Mr. Howard likes to call the Roger Corman University of Profitable Cinema seem to have similar stories, tales of cheerful expedience in the service of getting something on film — and into the theaters, where it can starting making money — as efficiently as possible. Mr. Howard, on the phone, spoke wonderingly of Mr. Corman's penchant for inexpensive preview screenings, in which a New World picture would be slipped into a test-marketing preview for television commercials, often with a wildly inappropriate audience. "When I got to the screening of 'Grand Theft Auto,' a teen car-crash comedy," Mr. Howard said, "and saw that the audience was composed entirely of blue-haired ladies in their 70s, I got a little worried. Roger wasn't concerned at all. His theory was, 'Funny is funny.' "
Mr. Scorsese said: "What I really learned from him was the real nuts-and-bolts, practical process of making a film. You get up and do it five or six days a week, whether you're well or not, whether you feel like doing the scene, whether you're interested or not interested — you just get the job done. In 24 days. Doing 23 or 24 setups a day. And then editing a reel a day, 10 minutes of film every day. A reel a month is pretty good for me now."
Both Mr. Howard and Mr. Scorsese took note of Mr. Corman's habit of zipping from shot to shot when a film was in production. Mr. Howard said: "He always told me: 'Don't congratulate yourself after you get a shot. Just run to the next setup and go.' "
The atmosphere at the Governors Dinner, though, was thick with congratulation. Quentin Tarantino, who never worked with Mr. Corman but dedicated "Reservoir Dogs" to him, spoke at characteristic length. Mr. Howard delivered an affectionate toast. And Mr. Demme, smiling broadly as he presented the award, praised Mr. Corman as "a great American maker of movies."
But is he really? It's fair to say, I think, that he has been a great inspiration to independent filmmakers, and that his exploitation-with-added-value aesthetic helped blur the line between pulp and the mainstream, making films like Mr. Tarantino's possible. And the example of his hell-bent speed and vigor probably contributed to the messy energy that entered American movies in the late '60s and early '70s. "In a sense 'Mean Streets' is a Roger Corman film," Mr. Scorsese said.
Still, it's hard to look at a lot of the movies Mr. Corman directed and not feel that they might, with a tad more care, have been better. Everyone who ever worked with him testifies that he was a fiend for preparation, for knowing exactly what he was going to shoot, and for how long it would take, and how much it would cost. His 1990 autobiography bears the proud — and typically functional — title, "How I Made a Hundred Movies in Hollywood and Never Lost a Dime." (The "hundred" figure is just for films he directed and/or produced; including those on which he is credited as executive producer would bring the count north of 300.) Although this can be a salutary approach, especially for beginning directors, in Mr. Corman's films the shots often look like terrific ideas for shots, with a little, indefinable something lacking in their execution.
You can see this tendency pretty strikingly in his 1990 "Frankenstein Unbound," the only movie he has directed since 1971. It's a science-fiction retelling (based on a Brian Aldiss novel) of the classic horror story, very cleverly constructed: a scientist from the near future, played by John Hurt, travels back in time to 1816 Switzerland, where Mary Godwin, living with Lord Byron and her future husband Percy Shelley, is beginning to write her novel. There's a Dr. Frankenstein around too; a monster of his creation roams the Swiss countryside. And the monster looks terrible. (As does the fake snow in the movie's Arctic finale.) But this time Mr. Corman didn't decide to make a comedy, although the film has a decent amount of humor, and one hilarious moment: Mary, played by bedroom-eyed Bridget Fonda, takes Mr. Hurt to her bed and coos, "Shelley and Byron preach free love. I practice it."
The most serious problem with the picture is that, like most of Mr. Corman's other horror movies, it isn't actually very frightening. (Mr. Towne had an idea about why: "He's not the filmmaker to examine evil. That man has a very pure soul.") Mr. Corman made a few good movies, and many good pieces of movies, in his varied career: "X — The Man With the X-Ray Eyes" (1963) is absorbing and thoughtful from beginning to end, and so (despite Vincent Price) is "The Tomb of Ligeia"; "A Bucket of Blood" and "The Little Shop of Horrors" are, on their own super-cheesy terms, consistently sharp and funny; the first half-hour or so of "The Wild Angels" is genuinely exciting.
What the academy is really honoring, though, is the idea of Roger Corman: movie-loving independent, canny businessman, early adopter of (reasonably) intelligent pulp, and benign godfather to talented young filmmakers. Maybe that's the real reason the academy took so long. Every idea has to wait for its time to come.
Da The New York Times, 10 gennaio 2010
Corman, scoperto dalla critica europea come "autore” soprattutto per il ciclo horror tratto dai racconti di Edgar Allan Poe (The Masque of the Red Death) è stato il più brillante, personale e uno tra i più prolifici dei registi off-Hollywood che, alla fine degli anni Cinquanta, si trovarono ad affrontare la crisi dell’industria e del sistema cinematografico tradizionali. La fine di Hollywood come fabbrica dei sogni dominante (via via sostituita dalla televisione, con i suoi sogni più prosaici e spezzettati) significò anche la fine della serie B tradizionale. Al suo posto emerse il cosiddetto exploitation film, che esiste ancora oggi per il mercato home video, e che giocava sul sensazionalismo spudorato dei soggetti e delle situazioni, sulla velocità della narrazione, tutta costellata d’azione, sulla riconoscibilità di generi e personaggi. Proiettati nei drive-in e nelle sale della sterminata provincia americana, questi film tennero legata al cinema la generazione degli adolescenti degli anni Sessanta e Settanta, fornendo per di più a Hollywood il materiale umano e mitico per la sua rinascita.
Corman, che dirigeva fantascienza con inventivi mostri fatti in casa (come i granchi giganti di Attack of the Crab Monsters), esilaranti satire orrifiche (come The Little Shop of Horrors e A Bucket of Blood), mostruose ossessioni personificate dall’istrione Vincent Price (il ciclo Poe), sanguinarie saghe di gangster (come Bloody Mama) aveva esordito nel cinema nel pieno di questa mutazione e ne diventò un "piccolo maestrò ‘di stile e di economicità . Fin dagli anni Cinquanta, Corman affianca a quella di regista l’attività di produttore, di film propri e altrui: è l’uomo che sa girare due film diversi sullo stesso set e con gli stessi tempi di lavorazione, sfruttando gli scampoli dell’uno per costruire l’altro, che sa insegnare ai cineasti più giovani le regole essenziali per realizzare un prodotto vendibile. Jonathan Demme, che ha diretto i suoi primi tre film per la compagnia di Corman (Caged Heat, Fighting Mad e Crazy Mama), ricorda le indicazioni rapide che Corman gli diede durante il primo incontro di lavoro: "Trovare scuse legittime e motivate per muovere la macchina da presa, ma cercare sempre di muoverla. L’occhio è l’organo più usato dallo spettatore cinematografico; se non riesci a interessare l’occhio, non coinvolgerai il cervello. Non ripetere le composizioni nei primi piani. Non ricordare all’occhio che ha già visto la stessa cosa. Rendi il tuo cattivo affascinante quanto il tuo eroe. Un cattivo unidimensionale non sarà mai inquietante quanto un cattivo complicato e interessante".
Sono queste (insieme alle altre che prevedono un po’ di violenza, parecchio sesso, nudo calibrato, moltissima azione e una certa dose di idee di sinistra) le regole su cui si sono formati i nomi migliori della grande Hollywood successiva. Oltre a Demme, quasi tutti sembrano aver cominciato con Corman: Coppola (Dementia 13), Bogdanovich (Targets), Scorsese (Boscar Bertha), Joe Dante (Hollywood Boulevard, Piranha e altri), Ron Howard (Deathsport, Grand Theft Auto), Curtis Harrington (Night Tide), Allan Arkush (Rock’n’Roll High School), oltre a indipendenti non convertiti alle Major come Paul Bartel (Death Race 2000), Monte Hellman (Cockfighter e i due western con Nicholson), Stephanie Rothman (The Student Nurses, The Velvet Vampire). E tutti hanno trasferito nel cinema successivo la velocità, l’inventiva e la provocazione costante imparata alla New World (questo era il nome della compagnia) di Corman. Spesso non si trattava neppure di film di genere, ma addirittura di sottogeneri o di filoni di consumo ed esaurimento istantanei: dai thrillers di Coppola e Bogdanovich girati con gli avanzi dei film di Corman, alle serie degli scontri e inseguimenti automobilistici, delle infermiere e insegnanti, delle famiglie gangster, tutti questi film delineano il passaggio dalla Hollywood classica a quella degli anni Ottanta. Impegnato a produrre, per circa vent’anni Corman non ha diretto nessun film. è tornato alla regia nel 1990 con un film parzialmente girato in Italia: Frankenstein Unbound, rielaborazione del mito orrifico per eccellenza in chiave quasi post-moderna. è anche una meditazione sulle creature e i creatori, quasi uno sguardo, ancora una volta ironico, alla propria storia di inventori di mostri e di registi cinematografici.
Da Il Sole 24 Ore, 5 luglio 1992
Ricordo di aver visto un cartoon anni fa, non so dove, che mostrava tutti quegli scrittori elisabettiani seduti in una taverna. E uno di loro diceva: "Dico, facciamo quello che fa Shakespeare: diamogli da divertirsi!"». Lo ha raccontato anni fa Roger Corman, in una delle tante interviste concesse, sempre con la buona grazia di un candidato alla presidenza degli Usa o, comunque, di un politico di carriera, soft, educato, inglese forbito, giacca, cravatta e pantaloni dal piombo perfetto, mai una provocazione, solo quel gusto sottile dell'ironia che trapela dai suoi film, anche i più orrifici. Esattamente quello che non ci si aspetta da un regista che, nei primi anni della sua carriera, ha firmato film dai titoli inequivocabili quali The Monster from the Ocean Floor (il suo esordio nella regia, del 1954), Attack of the Crab Monsters, The Viking Women and the Sea Serpent, Rock All Night, Teenage Caveman, e via collezionando creature dagli abissi e pin up preistoriche, motociclisti cattivi e detenute assatanate, bellezze mutanti e alieni radioattivi. Cinquantatre film in diciassette anni (dal 1954 al 1971, anno di uscita di Il barone rosso), quasi tre titoli all'anno (talvolta di più, dal momento che le produzioni degli anni '6o furono più impegnative e perciò più distanziate l'una dall'altra). Più un solitario exploit nel 1990, che fino a oggi non ha avuto seguito: Frankenstein oltre le frontiere del tempo, ovvero Frankenstein Unbound, dal notevole romanzo di Brian Aldiss, in assoluto il film più costoso che Corman abbia mai diretto, con John Hurt e Raul Julia, una rilettura del mito che anticipa parecchie successive operazioni (per esempio, il film di Branagh) più pretenziose. Oltre ai propri film, Roger Corman (ottant'anni il 5 aprile, e non li dimostra) ha prodotto decine di film altrui, ha distribuito in America opere di Bergman e Fellini, ha tenuto a battesimo l'80% dei cineasti che inventarono la New Hollywood, compresi Coppola, Bogdanovich, Scorsese, Dennis Hopper, Paul Bartel, Jonathan Demme (che gli confeziona spesso un cammeo nei propri film, di solito una parte di manager o politico impassibile e infido). Non a caso, la sua autobiografia (scritta con Jim Jerome) si intitola Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro (Ed. Lindau) e racconta, con molto sense of humour e ancora più senso pratico, come un ingegnere ventiduenne di Detroit, impiegatosi un lunedì del 1948 alla U.S. Electrical Motors, andò il mercoledì dal suo capo e gli disse: «Ho fatto un terribile errore. Devo veramente andarmene. Oggi», e cominciò a lavorare come fattorino alla Fox. Da lì, dopo un viaggio artistico-iniziatico in Europa (Oxford, Parigi, l'Italia), decollò in California quella che sarebbe diventata una delle carriere esemplari del cinema contemporaneo. Roger Corman, con la sua prima compagnia di produzione fondata negli anni '50, e poi in società con un corpulento producer indipendente (Samuel Z. Arkoff, anima della AIP), fu il primo a intravedere, in piena crisi delle Majors, il potenziale del pubblico giovanile emergente, e cominciò a confezionare a velocità della luce film di genere (tutti i generi) distribuiti direttamente nei drive-in o nei late night show. Con una troupe tecnica praticamente fissa (Floyd Crosby alla fotografia, Charles Griffith alla sceneggiatura, Daniel Halier alla scenografia, Anthony Carras al montaggio), Corman inventa prototipi: La piccola bottega degli orrori (commedia nera poi trasformata in musical di enorme successo e, nell'86, in un nuovo film di Frank Oz) e i nuovi gangster sanguinari e iperrealistici (Al Capone in Il massacro del giorno di San Valentino, Kate "Ma" Barker in Il clan dei Barker), l'horror d'atmosfera a basso costo che gioca sulle distorsioni cromatiche e visive e sul carisma dei vecchi divi (Price, Lorre e Karloff nel ciclo Poe e affini) e gli esplosivi "angeli della strada" (I selvaggi in moto e pelle nera e gli scoppiati psichedelici di Il serpente di fuoco). Riesce a realizzare un film con gli scarti di quello appena terminato, o a girare due film contemporaneamente in nemmeno dieci giorni. Dietro l'iperattivismo e la serie B, ci sono un cervello acutissimo, un gusto raffinato, un talento visivo innato. Il ciclo Poe con Vincent Price resta un modello insuperato di comprensione e resa cinematografica del mondo di un autore letterario tra i più complessi. Senza perdere un dollaro. ".
Da Film Tv, 4 aprile 2006
Quando si dice che un film è “commerciale” in senso dispregiativo, due volte su tre ci si sbaglia. Fare in modo che un film incassi dei soldi non è meno sano che voler fare un’opera d’arte. Senza contare che un film bello rischia di soddisfare sia il gusto che il botteghino, mentre non è detto che un film votato al sacrificio economico sia necessariamente di qualità. Per Roger Corman c’erano un paio di comandamenti da rispettare quando produceva o dirigeva un film: che costasse poco e che almeno pareggiasse i conti. Per lui, cineasta indipendente, era questione di sopravvivenza: non rientri nelle spese, smetti di fare il tuo mestiere. E Corman il suo lo voleva fare. Per un film, si sa, c’è bisogno di molto denaro, Ma ci sono film dove i soldi “si vedono” e altri che ci lasciano di stucco quando mostrano il loro conto spese: segno che qualcosa non ha funzionato, che il lavoro è stato fatto da cialtroni o da ladri. Corman sapeva calcolare il centesimo e lo faceva fruttare. Non so - confessava - come si gestisce un film da cinquanta milioni di dollari, però non ho problemi a cavarmela con un milione o con meno ancora. Il basso costo gli faceva aguzzare l’ingegno, ma non solo. Film dopo film inventò uno stile. I film di Corman abbiamo imparato a riconoscerli al volo perché la scarsezza dei mezzi non significava miseria ma essenzialità, non squallore ma rigore. La sua fama è legata soprattutto alla saga ispirata ai racconti di Edgar Allan Poe. Otto storie decisamente anti-letterarie, se per letterario si intende un film che fa il verso alla pagina scritta, s’inchina a ogni riga, tenta di mimarla. Invece Corman taglia il racconto con l’accetta, azzarda contaminazioni sfacciate, arriva al dunque senza fronzoli. E ottiene atmosfere che non sarebbero dispiaciute al creatore di Gordon Pym. Nel libro Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro, Corman si racconta con franchezza. Ma, nonostante il titolo e la filosofia del profitto che lo ispira, quello che viene fuori davvero è la passione per l’ingegno (proprio e altrui) quand’è impiegato a buon fine. Un esempio: stava girando in Grecia una pellicola in costume e, invece dei 500 soldati che gli servivano per una battaglia, gliene diedero 50. Ebbene, lui non si perse d’animo e aggiunse una scena dove qualcuno chiedeva al protagonista come avrebbe fatto a vincere con un numero così scarso di soldati. E il protagonista rispondeva: un piccolo gruppo di guerrieri efficienti può sconfiggere qualsiasi marmaglia, per quanto numerosa. “È questa - dice Corman - la mia teoria del cinema”.
Da Film Tv, 26 ottobre 2003
Così il critico e storico francese Georges Sadoul sintetizzò la figura di cineasta di Roger Corman: «Le recordman des films B: 60 en dix ans (1954-1964). Intelligent, racé, cultivé, désinvolte, il a excellé dans la science-fiction, l’horreur, le western, les gangsters, le fantastique. Il est peutètre le successeur en 1960 de ce que tut en 1920 Tod Browning». Nato a Detroit, Corman è passato disinvoltamente attraverso i menzionati « generi » uscendo dal calderone della routine soprattutto con la traduzione visiva dei demenziali deliri di Edgar Allan Poe. Prima, negli anni Cinquanta, i suoi interessi sembrarono rivolgersi alla fantascienza; a quel tipo di space-opera sensazionalistica, popolata di mostri grotteschi infantilmente risibili, patrimonio d’un filone che s’ostinava a voler rimanere sottoprodotto, comunque convogliante dentro un universo di annientamento fisico e mentale che Roger Corman affinerà con gli anni ottenendo dalle varie tecniche che il cinema gli metterà a disposizione giuste atmosfere di delirio. Vi sono nella sua opulenta filmografia (Corman è anche produttore di pellicole affidate ad altri registi) cadute di gusto, concessioni oltre il lecito al plateale orrorifico - facciamo un paio di esempi - Not in this Earth (Il vampiro del pianeta rosso) a X-the - Man with theX-Ray Eyes (L’uomo dagli occhi a raggi X). In quest’ultimo un motivo fantascientifico diviene il pretesto per trovate da baraccone: uno scienziato trova un collirio capace di donare alla vista facoltà eccezionali, e su questa partenza insiste sino a risvolti assurdi e grotteschi. Ma saprà proprio con Poe (e Lovercraft: Hutend Palace, ovvero «La città dei morti» nella edizione italiana), di cui tra l’altro piega alle proprie esigenze espressive i racconti The Fall of the House of Usher, The Pit and the Pendulum, The Masque of e Red Death, The Tomb of Ligeia, trovare gli accenti giusti per dare visionaria dimensione alle angosce demenziali che sempre in Poe procura la Morte, sotto qualsiasi aspetto essa si presenti.
La carriera del realizzatore indipendente Roger Corman contraddice apertamente la famosa affermazione di F. Scott Fitzgerald, secondo il quale, “Non ci sono secondi atti nelle vite americane”. La carriera di Corman è una storia di successo in tre atti.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, è stato un pioniere della produzione indipendente ed un regista fuori dal comune, realizzando un numero fenomenale di film a basso costo di vario genere.
La sua reputazione di creatore di tendenze ottenuta grazie alla realizzazione in questo periodo di alcuni classici divenuti cult, compresi la piccola bottega degli orrori (con un giovanissimo Jack Nicholson in un indimenticabile ruolo di paziente masochista), Il mostro del pianeta perduto, L'odio esplode a Dallas (il primo film a raccontare la storia dell'integrazione nelle scuole del sud degli Stati Uniti), un ciclo di horror classici basati sui racconti di Edgar Allan Poe, I selvaggi (il primo film di “motociclisti”, con Peter Fonda, che ha inaugurato la Mostra del Cinema di Venezia ed è diventato il film indipendente che ha incassato di più nel 1966) e Il serpente di fuoco (scritto da Jack Nicholson ed interpretato da Peter Fonda e Dennis Hopper, presentato al Festival di Cannes).
Alla fine degli anni Sessanta, i provocatori film di Corman avevano riscosso plausi in tutto il mondo. E' stato il più giovane regista al quale è stata dedicata una retrospettiva dalla Cinémathèque Française di Parigi, dal British Film Institute di Londra e dal Museum of Modern Art di New York.
Il secondo atto della leggendaria carriera di Corman ha avuto inizio quando ha creato la sua casa di produzione e di distribuzione indipendente, la New World Pictures. Negli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, la società di Corman divenne la principale produttrice di film dal ritmo veloce e con un target giovanile compresi alcuni classici come Anno 2000 la corsa della morte, Rock ’n’ Roll High School, F.B.I. e la banda degli angeli, Piranha,I magnifici sette dello spazio e Attenti a quella pazza Rolls Royce. L'enorme successo di questo tipo di film ha permesso a Corman di distribuire film stranieri di alta qualità realizzati da alcuni tra i più famosi registi del mondo come Ingmar Bergman, Francois Truffaut, Federico Fellini e Akira Kurosawa. In dieci anni, la New World ha vinto un numero di premi Oscar per i migliori film stranieri superiore a quelli ottenuti da tutti gli altri studios messi insieme.
Nel 1983, Corman ha venduto la New World Pictures ed ha creato una nuova casa di produzione e distribuzione, la Concorde New Horizons, passando al terzo atto della sua vita. La società, conosciuta come New Horizons Picture Corporation, ha un archivio con oltre 450 film. Molti sono usciti per la Roger Corman Presents, una serie di film di fantascienza, horror e fantasy realizzati per la Showtime.
Il fiuto di Corman per il talento e le qualità particolari, basato sulla sua lunga esperienza di produttore e regista, ha contribuito al decollo di molte carriere.
Tra i diplomati della “Corman film school” troviamo i produttori Jon Davison e Gale Anne Hurd; gli sceneggiatori e lo sceneggiatore/regista Francis Ford Coppola, Robert Towne e John Sayles; gli attori Jack Nicholson, Robert De Niro, Sandra Bullock, Sylvester Stallone, Charles Bronson, William Shatner, Peter Fonda e Lisa Kudrow; e i registi Martin Scorsese, James Cameron, Jonathan Demme, Ron Howard, Timur Bekmambetov, Joe Dante, Peter Bogdanovich, Carl Franklin e molti altri ancora.
Corman ha ricevuto un dottorato ad honorem dalla American Film Institute, e premi per la brillante carriera dalla Producers Guild of America, dal Los Angeles Film Critics Association, dall'American Cinema Editors, dalla Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror Films e dall'American Film Marketing Association. Nel 1998, ha vinto il primo premio come Produttore assegnato in occasione del Festival di Cannes.
Nel corso dei tre atti della sua vita, Corman ha prodotto più film commerciali di chiunque altro nella storia dell'industria cinematografica americana.