gustibus
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sabato 14 gennaio 2023
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l''orizzonte in mezzo e''una m....
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Nella mia frase di lancio e'l'espressione usata da un regista straordinario anni 50/60 che scoprirete guardando il film. E inoltre la fine di questo racconto personale che ha poi creato un dei più grandi registi viventi di ora Steven Spielberg che racconta se stesso con il suo nome Fabelman.Da bambino,adolescente con il cinema gia'impresso nella sua mente.Il racconto che e'pure un ritratto di famiglia con al di sopra la sua mamma ha 3momenti indimenticabili.L'inizio strabiliante dove al cinema vede lo scontro tra un treno e una macchina dal film "il più grande spettacolo del mondo"e da lì si accende una lampadina emulando la scena vista con un trenino giocattolo.
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Nella mia frase di lancio e'l'espressione usata da un regista straordinario anni 50/60 che scoprirete guardando il film. E inoltre la fine di questo racconto personale che ha poi creato un dei più grandi registi viventi di ora Steven Spielberg che racconta se stesso con il suo nome Fabelman.Da bambino,adolescente con il cinema gia'impresso nella sua mente.Il racconto che e'pure un ritratto di famiglia con al di sopra la sua mamma ha 3momenti indimenticabili.L'inizio strabiliante dove al cinema vede lo scontro tra un treno e una macchina dal film "il più grande spettacolo del mondo"e da lì si accende una lampadina emulando la scena vista con un trenino giocattolo.Poi a metà film(dura 150 minuti)quando fa una specie di parallelo tra lui che e'ebreo e la ragazza che gli piaceva che era devota a Gesu'.La parte finale quella già raccontata.Il racconto personale e'un Docufilm della sua vita iniziale..Tutti gli attori sono perfetti,non ce'musica che incanta,non ce'fotografia,sceneggiatura ordinaria..ma l'incanto resta forse in questa semplicità di girare le emozioni di se stesso.Ha incantato la critica..voi..il pubblico un po' più ritroso ad entrare nel cuore di quello che il regista vuole esprimere.Prendera'tanti premi e sono convinto anche l'oscar.Una volta..ma da vedere!
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xerox
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mercoledì 11 gennaio 2023
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bello, veramente bello....
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Spielberg ha 75 anni. E questo è un film chiarissimo della sua piena maturità. L'aspetto più qualificante del film mi sembra il ritmo... lo sguardo... E soprattutto la sincerità. La sincerità di una storia fatta di eventi ed emozioni che ti fanno compartecipare ad un film. Non succede con tanti film! Inutili i complimenti su come è stato realizzato, musica, interpretazione, etc. Quello che mi lascia sempre il tarlo nei films autobiografici, sono tutte le domande che vorrei fare all'autore, prima fra tutte: "Quanto c'è di vero nella storia?", e altre mille domande che nascono nella visione dell'opera... Comunque: bellissimo film!
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antonio montefalcone
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martedì 10 gennaio 2023
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“i film sono sogni, che non dimenticherai mai”
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La nuova pellicola di Steven Spielberg è un intenso racconto personale, ispirato alla sua infanzia e adolescenza ma anche un potente atto d'amore per la Settima Arte, un sentito omaggio a quella che è stata e continua ad essere la più grande ragione di vita dello stesso regista. Non una semplice opera semi-autobiografica romanzata dunque, ma qualcosa di altro e di più interessante, coinvolgente, affascinante: una confessione privata che si rende anche magistrale lezione di cinema.
Attraverso la storia di Sam Fabelman che fin da bambino si avvicina alla magia del cinema e se ne innamora, Spielberg si racconta e ci racconta le sue origini, cercando di mettere in scena, dopo averlo catturato, quel senso di incantevole/meraviglioso/magico che è il mettere per immagini una storia.
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La nuova pellicola di Steven Spielberg è un intenso racconto personale, ispirato alla sua infanzia e adolescenza ma anche un potente atto d'amore per la Settima Arte, un sentito omaggio a quella che è stata e continua ad essere la più grande ragione di vita dello stesso regista. Non una semplice opera semi-autobiografica romanzata dunque, ma qualcosa di altro e di più interessante, coinvolgente, affascinante: una confessione privata che si rende anche magistrale lezione di cinema.
Attraverso la storia di Sam Fabelman che fin da bambino si avvicina alla magia del cinema e se ne innamora, Spielberg si racconta e ci racconta le sue origini, cercando di mettere in scena, dopo averlo catturato, quel senso di incantevole/meraviglioso/magico che è il mettere per immagini una storia. Qualsiasi tipo di storia. E a restituire e far provare anche a noi spettatori almeno un po’ di tutto quel suo personale incantato stupore e fascinazione, passione ed entusiasmo, non tanto nel poter creare film quanto di riuscire a godere della loro magica e attrattiva visione, soprattutto se si vive quest’ultima al buio di una sala nell’esperienza eccitante, onirica e irripetibile dettata dalla luce del grande schermo di una sala cinematografica.
Infatti, è solo dopo aver ricevuto in regalo una cinepresa che il piccolo Sam sperimenta la possibilità di salvare immagini su pellicola; la capacità di poter creare storie, trasfigurare/reinventare e/o evadere così (dal)la limitata/nte realtà; e infine sperimenta l’illuminante comprensione che questa sua passione viscerale da voler trasformare in professione, sarebbe stata la sua strada, la sua vocazione, lo scopo ossessivo di una vita, oltre che di quest’ultima il motore vitale e salvifico.
Nel far star bene se stesso e gli altri narrando storie, Sam ha compreso che l’importante è seguire i propri sogni, anche malgrado avversità e drammi, paure e presunte responsabilità, il rischio altrimenti è il proprio annullamento. Il film diventa così anche un invito a perseguire con passione, dedizione e costante impegno ciò che si ama veramente. Il piccolo protagonista Sam Fabelman ha l’intelligenza e la fermezza del padre ingegnere, ma soprattutto la vena artistica e la fragilità caratteriale della madre pianista (professionalmente mancata), l’unica ad invogliarlo e spronarlo nella vocazione, contrariamente al padre che lo vorrebbe invece al college. Questo dilemma individuale ma anche la traumatica esperienza della separazione dei genitori provocheranno in lui l’inevitabile fine dell’innocenza e al tempo stesso anche l’origine del percorso verso il proprio futuro lavoro. E’ quasi palpabile il dolore provato e descritto da Spielberg: dolore che caratterizzerà la sua adolescenza e la sua personalità futura, e che gli farà perdere e ritrovare quel rifugio magico che aveva trovato per mezzo della sua cinepresa.
La sceneggiatura di questo racconto intimistico è stata scritta da Steven Spielberg e dal drammaturgo Tony Kushner, premio Pulitzer candidato all’Oscar per le sceneggiature di “Lincoln” e “Munich”. Spielberg ritorna alla scrittura di una sceneggiatura completa dopo 20 anni, dai tempi di “AI – Artificial Intelligence”.
Nel cast compare Gabriel LaBelle che interpreta benissimo il ruolo del piccolo Sam; David Lynch (alla sua prima collaborazione con Spielberg) e Judd Hirsch (entrambi in ruoli e sequenze fondamentali); mentre i bravissimi Paul Dano e Michelle Williams sono rispettivamente il padre e la madre di Spielberg. E la Williams qui è davvero notevole, credibile e pienamente convincente nella sua interpretazione.
Davanti al loro bambino, i due genitori assumono e fanno valere ognuno il proprio ruolo influenzante: la tecnologia dal lato paterno, la poesia da quello materno. Il concreto e l’astratto. La scienza e l’arte.La realtà riprodotta/rappresentata e l’immaginario evocato. Sono queste le due polarità da cui sempre è stata scissa l’esperienza cinematografica, sin dai tempi dei fratelli Lumière e di Georges Méliès. E Spielberg le riunisce insieme in un’unica materia. E infatti, più dell’influenza dettata dai suoi genitori, sarà proprio la visione del film “Il più grande spettacolo del mondo” di Cecil B. De Mille a conquistare e condurre il piccolo Sam tra le mani della Settima Arte, facendogli girare subito western ed epopee belliche nel deserto dell'Arizona con figuranti amici e sorelle, e, dopo, negli anni, a farlo diventare il grandissimo regista che conosciamo e che ci ha regalato pellicole indimenticabili ed epocali.
L’amore per il cinema è puro motore dell’immaginario e della propria anima in questa pellicola, è forza che modella tutto ciò che racconta in qualcosa di meraviglioso: tutte le scene sono trasfigurate da un senso di stupore e di sentimento per quel che descrivono – dagli episodi di bullismo di matrice antisemita vissuti da Sam a scuola, ai primi amori; dall’esaltazione artigianale per i filmini in Super 8 da lui realizzati in casa al commovente e memorabile epilogo. A fare da ulteriore e prezioso collante a tutto questo fascino visivo, narrativo e sensoriale, accorrono anche le musiche di John Williams, la fotografia di Janusz Kaminski e il montaggio di Michael Kahn e Sarah Broshar, tutti di assoluto valore.
“The Fabelmans” è uno dei migliori film di Spielberg, capolavoro o meno, è però senza dubbio uno dei suoi risultati più alti, e il segreto di questa sua ottima riuscita è che Spielberg, oggi, con la maturità dei suoi 75 anni, ha saputo meglio comprendere e accettare di più il suo passato, fondendo alla riscrittura veritiera la migliore reinvenzione possibile della propria infanzia con il cinema stesso.
L’idea di cinema dunque come mezzo per raccontare, ma anche per trasformare la realtà trasuda in ogni sequenza di “The Fabelmans”. Il film ci ricorda e ci fa (re)innamorare dello stupore e della meraviglia del cinematografo, e del fascino del suo linguaggio espressivo; della sua incredibile capacità di trascinare a sé, fino a farci assorbire dai film, a farci perdere in essi e/o modellarci da essi. In conclusione, “The Fabelmans” è pura poesia fattasi opera filmica; è una tra le più commoventi, più belle e migliori pellicole dell’anno 2022, assolutamente da non perdere per le tante emozioni e riflessioni che sa regalare…
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enzo70
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domenica 8 gennaio 2023
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intenso omaggio ai genitori e al cinema, stupendo
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Steven Spielgerg decide di raccontare il cinema, il suo cinema, e lo fa con la sensibilità e la classe che da sempre contraddistinguono i suoi film. Ma in questa pellicola, c’è di più, perché un film così intimo, così personale, raccontato come una fiaba, entra immediatamente nel novero dei capolavori. La storia è semplice, perché è la storia romanzata del regista e della nascita della sua passione per il cinema, bellissima la scena iniziale del bambino imbambolato davanti all’incidente dei treni nel film “Il più grande spettacolo del mondo”. Ma se il cinema è vita Spielberg non può rinunciare a raccontare la sua vita, quella di un adolescente con le tensioni tipiche dell’età, la scoperta del tradimento della madre, il difficile rapporto con il padre, ingegnere dell’Ibm, la relazione con le tre sorelle, il primo amore, le difficoltà per un ragazzino ebreo di inserirsi nella luccicante società californiana.
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Steven Spielgerg decide di raccontare il cinema, il suo cinema, e lo fa con la sensibilità e la classe che da sempre contraddistinguono i suoi film. Ma in questa pellicola, c’è di più, perché un film così intimo, così personale, raccontato come una fiaba, entra immediatamente nel novero dei capolavori. La storia è semplice, perché è la storia romanzata del regista e della nascita della sua passione per il cinema, bellissima la scena iniziale del bambino imbambolato davanti all’incidente dei treni nel film “Il più grande spettacolo del mondo”. Ma se il cinema è vita Spielberg non può rinunciare a raccontare la sua vita, quella di un adolescente con le tensioni tipiche dell’età, la scoperta del tradimento della madre, il difficile rapporto con il padre, ingegnere dell’Ibm, la relazione con le tre sorelle, il primo amore, le difficoltà per un ragazzino ebreo di inserirsi nella luccicante società californiana. E al centro la crescente passione per il cinema, le prime telecamere, le macchine per comporre i film, i primi cortometraggi dai quali emergono immediatamente la qualità cinematografiche del ragazzino. Una bella lettera d’amore ai genitori svelata al grande pubblico scritta nella lingua più congeniale al grande regista, quella del cinema. Al termine della proiezione in una sala, al solito oramai, quasi deserta un lungo applauso per un grande film.
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domenica 8 gennaio 2023
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storia senza mordente e banale
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Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più coinvolgente sia nella trama che nello svolgimento. Il risultato è un film mistero e banale.
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francog
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sabato 7 gennaio 2023
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film fatto bene
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(di paolorol)
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crispino seidenari
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sabato 7 gennaio 2023
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logos ed eros
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“The Fabelmans” esordisce con una scena che segna la nascita di un sogno e con esso, il destino dell’autore e protagonista. Il piccolo Sam di soli sei anni, sta per entrare assieme ai suoi genitori in una sala cinematografica dove sarà proiettato “Il più grande spettacolo del mondo”. È la sua prima volta, è eccitato e al tempo stesso intimorito dalle sue stesse aspettative, in particolare dalla dimensione dei personaggi sullo schermo che sa essere dei giganti. Il padre, Burt, lo tranquillizza spiegandogli che la sproporzione delle immagini sullo schermo è solo illusoria, così come la sensazione del loro movimento, causata dallo scorrimento di immagini fisse (fotogrammi) ad una velocità (24 al sec.
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“The Fabelmans” esordisce con una scena che segna la nascita di un sogno e con esso, il destino dell’autore e protagonista. Il piccolo Sam di soli sei anni, sta per entrare assieme ai suoi genitori in una sala cinematografica dove sarà proiettato “Il più grande spettacolo del mondo”. È la sua prima volta, è eccitato e al tempo stesso intimorito dalle sue stesse aspettative, in particolare dalla dimensione dei personaggi sullo schermo che sa essere dei giganti. Il padre, Burt, lo tranquillizza spiegandogli che la sproporzione delle immagini sullo schermo è solo illusoria, così come la sensazione del loro movimento, causata dallo scorrimento di immagini fisse (fotogrammi) ad una velocità (24 al sec.) superiore a quella con cui l’occhio umano riesce a percepirle (15 al sec.). La madre, Mitzi, tenta invece di rasserenarlo dicendogli che “i film sono sogni che non dimenticherà mai”. In questo incipit Spielberg mette subito in luce il dualismo tra due atteggiamenti esistenziali, apparentemente distanti e inconciliabili, attraverso i quali esprimere la propria creatività e che saranno fondamentali per la sua formazione. Da una parte quello razionale, scientifico e pragmatico del padre (logos), dall’altro, quello romantico, artistico e visionario della madre (eros).
Durante il viaggio di ritorno a casa, seduto in auto tra i suoi genitori, vediamo brillare negli occhi del bambino, inebriato ed eccitato dalla straordinaria suggestione dello spettacolo cui ha appena assistito, i riflessi di un’esuberante effervescenza di desideri, ispirazioni, idee. Da quel momento sarà ciecamente posseduto dal bisogno di raccontare delle storie attraverso le immagini, reinventando e arricchendo di mistero la realtà secondo i suoi sentimenti e la sua fantasia. Dal padre acquisisce l’atteggiamento dell’artigiano che possiede la materia con cui opera, ne conosce i limiti e tenta senza requie di superarli, dilatando le capacità espressive dei suoi mezzi, inventando sempre nuovi espedienti che immancabilmente sorprendono il suo pubblico. Dalla madre assimila invece l’intensità visionaria che lo spingerà per tutta la vita a raccontare storie attraverso le quali riprodurre quella stessa malìa che lo aveva incantato la sua prima volta al cinema.
Come nella vita di ogni grande artista, non mancano quei dolori che scavano nell’anima sviluppando la coscienza e plasmando la sensibilità.
Durante il montaggio del film che riproduce il campeggio della sua famiglia in compagnia dello “zio Benny”, il giovane Sam scopre come la cinepresa possa essere spietata quando svela la realtà nella sua concretezza e materialità. Le immagini che lui stesso ha ripreso gli mostrano degli atteggiamenti di intimità tra la madre e zio Benny che si spingono troppo oltre i confini dell’amicizia. L’episodio segna l’inizio di una travagliata situazione che tormenterà tutti i membri della sua famiglia e si concluderà con la separazione dei genitori. Nonostante la sofferenza, i protagonisti di questa vicenda sono dipinti senza acredine, come vittime innocenti delle debolezze umane. La madre era una promettente pianista che ha sacrificato le sue aspirazioni per dedicarsi alla famiglia e non può fare a meno del temperamento estroso di Benny per sopportare il peso della sua rinuncia e della vita. Il padre tenta in tutti i modi di avvicinare a sé la moglie, cercando il più possibile di frapporre distanza tra lei e Benny, ma alla fine si arrende, realizzando di non poter lenire la sua tristezza. Infine, zio Benny, che agli occhi del protagonista e narratore sarebbe il capro espiatorio ideale, ci appare sempre come un personaggio affettuoso, estroverso, simpatico, generoso. Tutta la vicenda è soffusa di una tenera, crepuscolare malinconia che permea i personaggi rendendo impossibile identificare un colpevole. In ognuno di loro scorgiamo la mite dolcezza di chi si arrende ai sentimenti, accettando il peso della propria fallibilità.
Mentre maturano gli eventi che lacerano il legame coniugale tra i suoi genitori, durante la frequenza del liceo, Sam è anche vittima di episodi di Bullismo, di disprezzo etnico, di atteggiamenti antisemiti da cui riesce in parte a riscattarsi grazie alle attitudini che ha sviluppato seguendo la sua passione. Cedendo all’insistenza della sua ragazza, accetta di effettuare le riprese del film che ritrae gli studenti dell’ultimo anno durante una giornata di divertimenti in spiaggia. Il film che gira, monta e poi proietta durante il ballo di fine anno, mostra non solo come il cinema, e più in generale l’arte, possa trasfigurare il reale plasmandolo secondo la peculiare sensibilità dell’autore, ma anche come essa possa incidere sulla realtà, modificandola. Il più arrogante dei suoi vessatori, lo studente dell’ultimo anno Logan, dotato fisicamente e molto abile negli esercizi atletici, viene dipinto nel film come una sorta di eroe imbattibile in ogni disciplina sportiva, suscitando durante la proiezione, l’entusiasmo e l’ammirazione di tutti gli studenti. Grazie all’esaltazione filmica delle sue qualità, riesce a riconquistare l’amore della sua ex ragazza che sembrava ormai irrimediabilmente perduto. Non sa comprendere perché Sam, che lui ha maltrattato con insistenza, abbia voluto farlo apparire in quel modo e neanche Sam sa dargli una spiegazione, avendo probabilmente agito d’impulso. Da quel momento però il rapporto tra i due ragazzi non è più lo stesso e Logan, oltre a rispettare Sam, lo protegge anche dalla collera di Chad, l’altro bullo, che Sam ha ripreso in tutta la sua pochezza e inettitudine. “La vita non è come nei film”, dice Logan poco prima di allontanarsi da Sam, al termine della discussione intrattenuta dopo il film. “Sì ma la ragazza ce l’hai tu” risponde Sam, sottolineando che i film (e dunque l’immaginazione) possono cambiare la vita.
Il finale è l’epilogo capovolto de “L’attimo fuggente”. Finito il liceo, obbedendo al padre che considera la sua passione per il cinema solo un hobby, Sam intraprende gli studi universitari. Divenendo sempre più consapevole di tradire il suo sogno, è spesso vittima di attacchi di ansia. Il padre, non volendo ripetere l’errore commesso con la moglie Mitzi, ormai certo che Sam abbia maturato la sua stessa determinazione e perseveranza e che non potrà perdersi, qualsiasi strada decida di intraprendere, lo lascia libero di inseguire le sue aspirazioni.
Ripensando al prologo in cui l’autore, oggi settantaseienne, ringrazia il pubblico per aver scelto di assistere sul grande schermo al film più personale e autobiografico della sua vasta carriera, sembra di cogliere nell’emozione dei suoi occhi, la stessa infantile tenerezza che emana dall’espressione sognante del piccolo Sam, seduto in auto tra la madre e il padre, dopo essere stato spettatore de “Il più grande spettacolo del mondo”.
“Quante volte nel corso della mia vita, la realtà mi aveva deluso perché nel momento in cui la percepivo, l’immaginazione, che era il solo organo di cui disponevo per godere della bellezza, non poteva applicarsi ad essa, in virtù di quella imprescindibile legge che vuole che sia possibile immaginare solo ciò che è assente.”
(Marcel Proust: “Il tempo ritrovato”)
“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.”
(Gabriel Garcia Marquez: “Vivere per raccontarla”).
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eugenio
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venerdì 6 gennaio 2023
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la fascinazione di una scoperta
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Il cinema, le immagini in movimento. L’emozione di una sala buia, lo spettacolo che diviene scena, fittizia rappresentazione di ciò che l’occhio coglie per interpretare la realtà. Che spesso, non è come appare, che talune volte magari è manipolata, asservita in quelle immagini a scopi diversi dal reale. Il cinema, però va oltre, con la sua capacità di stupire, di meravigliarci, è vita finta su schermo vero, che ci fa ridere, piangere, divertire.
Ecco cosa ho pensato all’uscita delle due ore e quaranta di The fabelmans, un biopic alla fine, romanzato, di quello che è l’uomo della fiaba in qualche maniera, Steven Spielberg, capace di dar volto con il suo occhio alle innumerevoli sfaccettature della vita umana, declinando dal serio, al faceto, un dramma di de-costituzione familiare che porterà poi al divorzio dei suoi genitori e in parallelo all’affinazione della tecnica “filmica” tanto studiata con l’osservazione critica della realtà.
In questo mondo degli anni Cinquanta, nasce Sammy Fabelman/Steven Spielberg (interpretato da Gabriel LaBelle) che a cinque anni, è colto da fascinazione alla visione di un classico: Il più grande spettacolo del mondo (Oscar nel 1952 come Miglior film), in particolare dalla scena del deragliamento di un treno. Sam rimane talmente traumatizzato, e tanto sfinisce i suoi genitori, che quelli gli comprano per l'Hanukkah il modellino di un treno a vapore. Cosa che non fa altro che incitarlo con la sua cinepresa otto millimetri di famiglia a simulare lo scontro di un trenino giocattolo con una carrozza in legno. Da questo scontro, nasce l’incontro e per meglio dire, la fascinazione di Sam per la rappresentazione di ciò che il suo sguardo è portato a vedere, l’innamoramento per la macchina da presa che diverrà quasi ossessione, sfociando quindi nella cinefilia.
Sam inizia, per hobby come creduto dall’austero padre Burt (Paul Dano), ingegnere informatico, esperto nell’elaborazione di dati, a filmare quell’intimità domestica borghese numerosa ai tempi del boom economico, fatta di picnic in campagna con la moglie pianista Mitzi (una convincente Michelle Williams), l’anima artistica della famiglia, le sue sorelle e “l’amico” Bennie (Seth Rogen)- fin troppo vicino alla moglie- ma anche di piccoli corti con gli amici simulando con perizia effetti speciali innovativi per l’epoca. Sam modella ciò che vede, taglia e ricuce i nastri, proiettando a cavallo di traslochi a Phoenix e in California per via del lavoro paterno in General Electric, la sua realtà domestica fatta di macchine Cadillac e frigoriferi General Motors. E nel far questo, farà i conti con il dolore della perdita, con l’accettazione a tratti amara e inconsapevole dell’amore, oltrepassando la zona d’ombra sino alla decisiva maturità, fatta di scelte “foderate” e attutite senza i suoni lontani o gli echi indistinti della guerra in Vietnam, ma cercando di cogliere il senso di una formazione caratterizzata da educazione sociale e lavoro.
Patinando la pellicola secondo il dettame di Spielberg che abbiamo apprezzato in precedenti e celebri pellicole come Et, acutamente lontana dalle deiezioni oscure americane razzismo, ma al massimo spruzzando qualche pepe di bullismo, nel classico stereotipo del belloccio della squadra di football e degli amori adolescenziali, The fabelmans sfugge alla semplice etichetta di film di formazione, per la sua natura ondivaga e variamente mutevole. Il dramma si fonde abilmente al faceto, secondo un punto di vista che è quello dello stesso protagonista con la cinepresa, quel piccolo Sam/Steven, mai nostalgico ma soggetto a cambi di tono repentini, miscelandolo con sapienza da “cinema nel cinema” senza mai perdere la visione di insieme della pellicola.
Pellicola che in fondo non fa altro che ribadire l’eterno, invalicabile confronto tra scienza e arte, tra razionalità e tecnica, tra astratto e concreto, tra padre e madre con un semplicismo che solo superficialmente è retorica e che si traduce in fondo, in sapiente equilibrio. Quello di chi sa che il cinema, appunto, deve saper trasmettere allo spettatore: farlo giocare con la semplicità di una storia. Che qui Spielberg ha ben fatto sua romanzandola e rendendola quindi immortale, come del resto fa il cinema, con la C maiuscola.
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mauridal
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martedì 3 gennaio 2023
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verità e finzione , è il cinema .
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Quando una autobiografia ,diventa una opera d’arte. E’ questo il caso del film di Steven Spielberg, che in fondo però non vuole definirsi grande artista ma si accontenta di essere regista di cinema , più laicamente e molto più tecnicamente.La storia della sua famiglia come l’ ha vissuta da piccolo , narrata per quasi tutto il film, intanto è una traccia secondaria, poiché il vero motivo di fondo è il Cinema , come esistenza e necessità di vita addirittura, e potrebbe essere una esagerazione per gran parte del pubblico, che intanto guarda il film.
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Quando una autobiografia ,diventa una opera d’arte. E’ questo il caso del film di Steven Spielberg, che in fondo però non vuole definirsi grande artista ma si accontenta di essere regista di cinema , più laicamente e molto più tecnicamente.La storia della sua famiglia come l’ ha vissuta da piccolo , narrata per quasi tutto il film, intanto è una traccia secondaria, poiché il vero motivo di fondo è il Cinema , come esistenza e necessità di vita addirittura, e potrebbe essere una esagerazione per gran parte del pubblico, che intanto guarda il film. Dunque qual’è il tema , il messaggio del regista: Il Cinema inteso come vivere il sogno delle immagini, e da piccolo , Sam , alias il vecchio Steven, fabbrica le ingenue immagini come un bambino che disegna fumetti sull’album, ma attraverso quelle favole il giovane cresce e distingue la realtà dalla finzione. La realtà ,o la verità della vita ,si rivela subito per il ragazzo Sam , come una triste e deludente realtà, la madre e il padre ad esempio, che ipocritamente fanno una finta famiglia con i figli, poi i compagni di scuola , giovani bulli estremisti anche contro di lui ,americano ma ebreo, e infine le ragazze, una sorta di altro genere umano tra follia e allegria giovanile. Dunque una realtà vissuta dal ragazzo con una incredula ingenuità iniziale, ma che attraverso la passione per il cinema scoperto dopo la visione in sala di film , come un mondo di fantasia che però può essere una realtà da riprodurre attraverso la finzione delle immagini. Dunque il giovane Sam, ci prova con mezzi semplici , cinepresa, e proiettore a riprodurre la realtà che vive . Anche a reinventarla. Attraverso i filmati amatoriali, riprendendo episodi della sua famiglia , la madre , le sorelle il padre e gli amici, Sam scopre una realtà diversa da come la viveva di norma. Attraverso il cinema , i filmine che girava , Sam scopre una verità e non la finzione della vita. Niente era come lui credeva che fosse, il personaggio della madre , centrale nel racconto, è creativa e folle ma anche amante del miglior amico del padre, amore platonico, ma per Sam una delusione. Da allora in poi il ragazzo diventa adulto e lo vediamo impegnato a inventare storie e immagini per fare film, con i suoi amici che recitano ma che si fanno interpreti di realtà differenti, che siano western o storie di guerra Sam vuole restituire attraverso il cinema una sua verità e non una generica finzione.E’ dunque la formazione del regista Steven , che diventa tale dopo aver superato con un suo filmato una selezione di un produttore che, gli presenta come un maestro da seguire John Ford, e nella finzione del film interpretato ,in un cameo, dell'amico David Lynch. Dunque ancora finzione e realtà, Sam ovvero Steven Spielberg inizia così la sua carriera di regista, ma come diceva un suo zio folle circense , non dimenticando l’Arte , e fare cinema a volte deve scontrarsi con la realtà . l(mauridal).
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fabriziog
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martedì 3 gennaio 2023
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spielberg e'' tornato!
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“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
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“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
L’antisemitismo americano degli anni ’60 e la pazzia della madre, la debolezza caratteriale del padre ed il suo grande amore per la moglie che insisteva nel tradirlo, la macchina da presa usata per far percepire all’altro chi fosse veramente, la finzione artistica che descriveva come i compagni di scuola erano visti nella comunità e come in realtà loro si sentivano sul serio. La pellicola come strumento di maieutica socratica e l’orizzonte che rende un film capolavoro solo se è posto in alto o in basso e mai in mezzo: la chiave di lettura che porterà Spielberg ad essere l’inveramento della cinematografia.
Una pellicola dal carattere morbido e melodico come il pianoforte che accompagna la storia. Una pellicola che raccoglie la potenza del linguaggio di settanta anni di vette del Grande Schermo a stelle e strisce.
Una pellicola di Sua Maestà Steven Spielberg.
Fabrizio Giulimondi
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