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giovanni morandi
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domenica 23 ottobre 2022
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una mascolinità positiva giovanni morandi
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"Il Colibrì" della Archibugi: ‘resilienza’, dialoghi urlati e struggimento,
Resilienza è una parola abusata, che negli ultimi anni abbiamo sentito e letto ovunque, in seguito all’ondata pandemica e dalle vicende economiche e sociali che sembrano a volte sopraffare l’essere umano. Il Colibrì con la sua strenua resistenza è capace di rimanere fermo e di non farsi trascinare dalla corrente. Nel caso della "metafora" utilizzata da Veronesi, il protagonista, nonostante i numerosi drammi, riesce a parare i colpi della vita, rimanendo ancorato alla speranza.
Ciò che può sembrare insostenibile, come il dolore più profondo, viene compensato dalle gioie della vita, che a volte si trovano nelle piccole cose, negli oggetti, nelle case.
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"Il Colibrì" della Archibugi: ‘resilienza’, dialoghi urlati e struggimento,
Resilienza è una parola abusata, che negli ultimi anni abbiamo sentito e letto ovunque, in seguito all’ondata pandemica e dalle vicende economiche e sociali che sembrano a volte sopraffare l’essere umano. Il Colibrì con la sua strenua resistenza è capace di rimanere fermo e di non farsi trascinare dalla corrente. Nel caso della "metafora" utilizzata da Veronesi, il protagonista, nonostante i numerosi drammi, riesce a parare i colpi della vita, rimanendo ancorato alla speranza.
Ciò che può sembrare insostenibile, come il dolore più profondo, viene compensato dalle gioie della vita, che a volte si trovano nelle piccole cose, negli oggetti, nelle case... Archibugi nella sua interpretazione del romanzo di Sandro Veronesi, pluri-celebato, non coglie a tratti questo tema,concentrandosi principalmente sui soliti "dialoghi urlati", sulla malinconia e lo struggimento del protagonista e sulle scenografie, che sono, anche in questo film, un elemento caratterizzante dello stile della regista.
Il Colibrì è ancorato ad uno stile della regista che ha creato grandi aspettative, anche solo per l’ottimo cast, con un Pierfrancesco Favino, che anche in questa occasione, dimostra la sua grande professionalità. L'Archibugi purtroppo non ci riesce e presenta un film che dovrebbe essere corale, ma che in realtà si concentra esclusivamente sulla figura del protagonista, in un susseguirsi di flashback e flashforward, "troppo veloci", che sembrano sconnessi tra di loro. Berenice Bejo, che interpreta il vero amore del protagonista, quello ideale e profondo, deve fronteggiare un personaggio poco caratterizzato, mentre il tema principale è sempre sulle relazioni melodrammatiche delle famiglie borghesi."
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seneca
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mercoledì 23 agosto 2023
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pasticcio, non pastis
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Un film incasinato, pasticciato, con Favino che sembra chiedersi: ma cosa ci faccio qui? Cos'è questo minestrone di Frate Ginepro infarcito di ricordi e di dialoghi buttati lì in fretta, un fricandot di immagini, una ratatouille messa su male e proposta peggio. Moretti dice: l'importante è vivere. certo, ma cercare di fare meno pasticci possibile. Questo è uno di quelli. Nel film c'è la battuta: "immagini che non avremmo mai voluto vedere". Profetico.
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battpi
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mercoledì 1 ottobre 2025
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"epica quotidiana" con attori all''altezza
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La trama del libro a cui il film si ispira è una mezza condanna per la sua trasposizione cinematografica: il protagonista vive una vita di rinuncia che ha un che di epico, ma è un'epica fatta da un susseguirsi di episodi sobri, di chiarimenti che non chiariscono, di sguardi che vorrebbero parlare e si limitano a guardare: le scene di azione, di movimento, sono spunti decisivi ma il racconto si sofferma su altro. Diciamo pure: una trama che raccontata in modo lineare sarebbe stata insulsa, e che invece la Archibugi rende coinvolgente grazie al continuo alternarsi di piani temporali, che a volte può risultare forzato ma sicuramente coinvolge lo spettatore, dato che serve non ad allontanarsi dalla storia, ma viceversa ad entrare in sintonia con i ricordi e i flashback del protagonista.
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La trama del libro a cui il film si ispira è una mezza condanna per la sua trasposizione cinematografica: il protagonista vive una vita di rinuncia che ha un che di epico, ma è un'epica fatta da un susseguirsi di episodi sobri, di chiarimenti che non chiariscono, di sguardi che vorrebbero parlare e si limitano a guardare: le scene di azione, di movimento, sono spunti decisivi ma il racconto si sofferma su altro. Diciamo pure: una trama che raccontata in modo lineare sarebbe stata insulsa, e che invece la Archibugi rende coinvolgente grazie al continuo alternarsi di piani temporali, che a volte può risultare forzato ma sicuramente coinvolge lo spettatore, dato che serve non ad allontanarsi dalla storia, ma viceversa ad entrare in sintonia con i ricordi e i flashback del protagonista. Probabilmente saggia anche la scelta di ridurre, rispetto al romanzo, lo spazio dedicato alla nipote, figura più buonista e con meno pathos - ciò significa perdere parte del messaggio sociale raccontato dal libro, ma non è detto che anche questo non sia un bene.
Favino recita divinamente, riuscendo a non far pesare mai neanche le scene più lunghe, e a dare spessore a questa figura di martire (talvolta) felice. Il fatto che la storia si sviluppi in modo volutamente un po' opprimente e vincolato non impedisce la presenza di almeno un paio di colpi di scena genuinamente inattesi e rivelatori. Anche le figure che rischierebbero di risultare eccentriche al punto da essere stonate, non fosse altro che per la presenza di attori poco disposti a farsi plasmare (Ceccherini e Moretti), riescono in realtà a risultare umane e abbastanza credibili.
Resta una storia con alcuni passaggi forzati o incerti, soprattutto tra il protagonista, la moglie e la figlia, ma in cui non si può fare nessun grande rimprovero né alla regista né al cast, e anzi si può lodare la delicatezza con cui si affronta le difficoltà umane, dando loro spessore e riuscendo a ottenere scene che perlopiù colpiscono senza stuccare.
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