Gorgona

Sull'isola di Gorgona, che si trova a 19 miglia dalle coste della Toscana, c'è un penitenziario del tutto particolare che è concepito come una colonia agricola dove i detenuti svolgono diverse attività come quella, per esempio, di coltivare l'orto, fare il pane oppure occuparsi del bestiame. Sul posto non c'è praticamente nulla; non esistono infatti negozi, ristoranti, automobili. Con il mare grosso poi è irraggiungibile. L'unica residente è Luisa Citti, discendente di una delle famiglie che hanno vissuto nel luogo dall'Ottocento. Nella casa di reclusione c'è il direttore Carlo Mazzerbo che dialoga con i detenuti che, oltre alle diverse attività che svolgono, sono in frequente contatto, per esempio, con un educatore e un istruttore volontario di un corso di musica. A Gorgona però non possono essere ammessi chi fa parte della criminalità organizzata né chi ha problemi di tossicodipendenza.

Sembra un film fermo nel tempo. Gorgona però non è, soltanto, né un documentario carcerario, né sul luogo.

Emergono piuttosto le persone che si trovano lì. I volti, le attività quotidiane già raccontano molto della loro storia, integrata poi dai racconti davanti la telecamera. Tra loro ci sono Vincenzo Palumbo con il padre Antonio o il russo Rustam Zagirov. C'è chi si trova lì per rapina, chi per omicidio. Lo sguardo di Antonio Tibaldi sembra trasparente, un esempio di 'cinema del reale' dove il legame tra le diverse storie con Gorgona prendono forma autonomamente davanti l'obiettivo della telecamera.

In realtà la presenza di un regista sul luogo provoca una rottura in una monotonia quotidiana che appare immutabile, un po' come quella mostrata dallo stesso Tibaldi in (S)Comparse sulle riprese di Terraferma di Emanuele Crialese a Linosa. Un conto è la vita di tutti i giorni che scorre in modo indifferenziato, un conto è una presenza esterna che costringe non solo i detenuti ma tutti coloro che lavorano nel carcere a mostrarsi. Un esempio è nel servizio di una tv sulle attività che vengono svolte nella vigna.

C'è una vera e propria intervista da parte del giornalista che sembra entrare quasi con irruenza nell'intimità dell'interlocutore soprattutto nel momento in cui gli chiede quanto guadagna. Tibaldi probabilmente l'ha mostrata apposta per contrapporla invece al suo metodo, tra la pura osservazione ma anche con un tentativo di accorciare la distanza. Non è complice, ma è comunque vicino. La vita lì dentro e lì fuori scorre come si vede, per esempio, dalla macellazione del bestiame (oggi il mattatoio è stato chiuso definitivamente) o dall'immagine di Luisa Citti al cimitero.

Ma nelle foto di famiglia, nell'immagine di Putin sul muro, emergono tutti i frammenti di memoria, tutte le possibili storie da mostrare per prendere una forma più compiuta come quelle, per esempio, dell'immigrato messicano che pensa che sua madre è stata rapita da un UFO in WALT. We Are Living This o dei due gemelli ebrei ortodossi di Brooklyn accumulatori di ogni genere di oggetti in Thy Father's Chair, due documentari firmati da Tibaldi rispettivamente nel 2021 e nel 2015.

Premiato come miglior documentario al 63° Festival dei Popoli, Gorgona porta dentro la realtà dell'isola-carcere con la giusta discrezione, il necessario equilibrio. Il documentario, il cinema, sono però soltanto un passaggio temporaneo. Ciò che sembra contare, per Tibaldi, è mostrare un'esperienza che resterà per sempre. Dietro ogni inquadratura, ogni gesto che magari si ripete più volte nel corso delle giornate, c'è un rapporto che si è costruito proprio nel tempo delle riprese che, giustamente, sceglie di stare ai limiti del fuori-campo. 