thomas
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venerdì 10 giugno 2022
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capolavoro assoluto
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L’episodio più importante della Storia della Repubblica, relativo al (probabilmente) più grande politico italiano o è raccontato da un’opera artistica capace di porsi all’altezza della straordinarietà degli eventi, oppure è meglio leggerlo sui libri di storia. Marco Bellocchio firma il Capolavoro della sua esistenza e, con “Esterno notte”, regala ai posteri un documento stupefacente per qualità di approfondimento psicologico, ricostruzione storica, analisi degli avvenimenti. L’idea di raccontare “il caso Moro” da diversi punti di vista (Aldo Moro, Francesco Cossiga, Papa Paolo VI, i brigatisti Adriana Faranda e Valerio Morucci, Eleonora Moro e i suoi figli) è geniale, la capacità di entrare nella profondità della loro psiche è stupefacente.
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L’episodio più importante della Storia della Repubblica, relativo al (probabilmente) più grande politico italiano o è raccontato da un’opera artistica capace di porsi all’altezza della straordinarietà degli eventi, oppure è meglio leggerlo sui libri di storia. Marco Bellocchio firma il Capolavoro della sua esistenza e, con “Esterno notte”, regala ai posteri un documento stupefacente per qualità di approfondimento psicologico, ricostruzione storica, analisi degli avvenimenti. L’idea di raccontare “il caso Moro” da diversi punti di vista (Aldo Moro, Francesco Cossiga, Papa Paolo VI, i brigatisti Adriana Faranda e Valerio Morucci, Eleonora Moro e i suoi figli) è geniale, la capacità di entrare nella profondità della loro psiche è stupefacente. Attraverso un’attenzione assoluta ai dettagli Bellocchio ci dice già tutto dei protagonisti (il lavarsi spesso le mani di Moro è metafora della sua onestà umana e intellettuale, il vedere le macchie sulle proprie da parte di Cossiga è metafora dei suoi sensi di colpa, l’acquisto di una Bibbia per Moro da parte di Adriana Faranda è l’indizio del suo cammino di progressivo distacco dal nucleo più intransigente delle Brigate Rosse, l’inutile irruzione di Eleonora Moro con alcuni appartenenti alle forze dell’ordine in un presunto luogo di detenzione del marito simboleggia l’inutilità degli sforzi della famiglia di ottenerne la liberazione). E attorno alle figure principali di questa tragedia italiana si muovono decine di personaggi più o meno rilevanti, dal Presidente del Consiglio Andreotti (nel film il vero artefice del fallimento di ogni trattativa per liberare Moro) alla moglie dell’appuntato della scorta ucciso in via Fani (incapace per il dolore e l’asprezza del momento di trattenersi a telefono con la moglie di Moro), dall’esangue segretario della DC Benigno Zaccagnini (quasi schiacciato da una situazione più grande di lui) al robotico capo della colonna romana delle BR Mario Moretti (talmente scollegato dalla realtà da parlare solo con slogan e frasi astratte), da Maria Fida Moro (incapace per temperamento di accettare l’inerzia e il tatticismo che stavano condannando a morte il padre) a una pletora di sacerdoti, suore, prelati tutti alla disperata ma inutile ricerca di uno spiraglio idoneo a consentire la liberazione di Aldo Moro. “Esterno notte” è un capolavoro assoluto perché racconta la Storia non soltanto accostando i fatti più importanti con rigore fino a fornire un quadro straordinariamente chiaro degli accadimenti, ma anche perché sa arricchirli con la narrazione di piccoli eventi chiarificatori (bellissima la scena delle mamme che, il giorno della strage di via Fani, corrono a scuola a prendere i propri figli all’uscita, quasi a volerli proteggere da un pericolo latente – è successo proprio così: chi scrive, all’uscita da scuola, alle medie, quel giorno trovò la propria madre ad attenderlo, nonostante il breve tratto per tornare a casa fosse sempre stato in precedenza ricoperto in compagnia degli amici! -). Altro punto di forza del film è la qualità della recitazione: Margherita Buy e Toni Servillo sono straordinari nel raffigurare la determinata forza d’animo di Eleonora Moro e la prudente ma forte volontà di Paolo VI, Fabrizio Gifuni ci consente quasi di “vedere” Aldo Moro ancora vivo e meriterebbe i Premi più prestigiosi, Daniela Marra è una Adriana Faranda sorprendente per la varietà dei registri interpretativi, Fausto Russo Alesi è un Cossiga credibilissimo ogni volta che si perde nel labirinto delle sue emozioni. Marco Bellocchio ha saputo tirare il meglio da tutti, persino i titoli di testa sono stupendi. “Esterno notte” è una delle più grandi opere della Storia del Cinema italiano.
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frascop
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venerdì 10 giugno 2022
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la serie capolavoro di bellocchio
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Marco Bellocchio (1939) affronta la sua prima serie tv tornando sui 55 giorni del sequestro Moro che aveva già affrontato nel 2003. Il trailer è fuorviante, sembra che il maestro piacentino di Bobbio intenda replicare il grottesco del sorrentiniano "Il divo", invece è un film aal cinema in due parti dove ritroviamo il tocco del nostro autore geniale che è unico perchè assomiglia solo a se stesso.
Nelle varie puntate oltre a Moro ci sono vari personaggi che vengono scandagliati: il bipolare Cossiga (Fausto Russo Alessi); il tormentato amico Paolo VI (Toni Servillo) che morirà tre mesi dopo lui; i brigatisti Faranda e Morucci e la moglie di Moro, una Noretta che la Buy rende come meglio non si potrebbe.
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Marco Bellocchio (1939) affronta la sua prima serie tv tornando sui 55 giorni del sequestro Moro che aveva già affrontato nel 2003. Il trailer è fuorviante, sembra che il maestro piacentino di Bobbio intenda replicare il grottesco del sorrentiniano "Il divo", invece è un film aal cinema in due parti dove ritroviamo il tocco del nostro autore geniale che è unico perchè assomiglia solo a se stesso.
Nelle varie puntate oltre a Moro ci sono vari personaggi che vengono scandagliati: il bipolare Cossiga (Fausto Russo Alessi); il tormentato amico Paolo VI (Toni Servillo) che morirà tre mesi dopo lui; i brigatisti Faranda e Morucci e la moglie di Moro, una Noretta che la Buy rende come meglio non si potrebbe. Le serie tv sono cinema puro che consente appunto agli autori di fare drammaturgia, di scavare dentro i personaggi sino a mostrarne l'anima togliendo loro la maschera, cosa che nel contesto di un film di due ore è molto difficile fare. Bellocchio è un maestro, chiunque ami il cinema lo sa, soprattutto adesso che i grandi li abbiamo tutti alle spalle (Bertolucci è l'ultimo scomparso). "I pugni in tasca" e "La Cina è vicina" sono del 1965 e del 1967. Nel 1972 fece "Sbatti il mostro in prima pagina" e poi la sua ricerca si è fatta sempre di più psicanalitica, interiore, esistenziale, come se la realtà italiana lo interessasse meno.
Dai 64 anni in poi, invece, prima con "Buongiorno, notte" e poi con "Il traditore" del 2019, Bellocchio è tornato ad occuparsi della società italiana. Adesso con questa serie, ormai saggio ma sempre inquieto, volge lo sguardo alla nostra "storia" ben sapendo che noi italiani siamo smemorati, a stento ricordiamo quello che è successo un giorno fa. Figuriamoci cosa possiamo ricordare del 1978, dei democristiani, e delle Brigate rosse, dei pazzi sanguinari che incolpavano i comunisti di non aver fatto la rivoluzione e di fare solo parole.
L'estremismo, malattia infantile del comunismo, ha sempre trovato una culla accogliente in Italia, Bellocchio ai miei occhi ha il merito di metterci di fronte certe facce, di mettere a nudo le loro anime, più o meno sporche, costringendoci ad una fatica che non ci piace, fare i conti con la nostra storia, dove c'è la Resistenza, poi l'antifascismo militante che sfocia nelle sanguinarie Brigate rosse (i neneisti esordirono allora) e nello stragismo nero.
L'unico strumento che è mancato a Bellocchio in questo capolavoro è Morricone con la sua musica (immaginiamo quanto lo avrebbero ispirato la figura di Paolo VI o il cardinale Casaroli), mentre la fotografia di Di Giacomo e la Calvelli al montaggio sono il meglio del meglio che si trova in giro. Nella serie sono essenziali le figure secondarie, interpretate tutte da grandi attori, come il poliziotto Spinella di Pier Giorgio Bellocchio e il monsignor Curioni di Paolo Pierobon. Infine ci sono schizzi e intuizioni sublimi da grande cinema d'Autore, come la bambina della brigatista Adriana Faranda sola all'uscita della scuola mentre tutti gli altri genitori si sono precipitati a portare a casa i figli.
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mauro.t
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mercoledì 29 giugno 2022
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un evento chiave nella storia della repubblica
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Bellocchio affronta uno degli eventi più tragici ed emblematici della prima Repubblica. Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro sono narrati in sei episodi (nella serie completa), ciascuno dei quali è la rappresentazione dei fatti secondo un particolare punto di vista. Tutti i personaggi co-protagonisti della vicenda trovano collocazione nel film: la moglie, i figli, Benigno Zaccagnini, Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Paolo VI, Enrico Berlinguer, Bettino Craxi, Steve Pieczenik, oltre ai terroristi Mario Moretti, Valerio Morucci, Adriana Faranda. Il taglio che il regista sceglie è quello della tragedia piuttosto che della cronaca: il film privilegia gli aspetti umani e psicologici della vicenda su quelli istituzionali-investigativi, con risultati spesso efficaci ma disomogenei.
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Bellocchio affronta uno degli eventi più tragici ed emblematici della prima Repubblica. Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro sono narrati in sei episodi (nella serie completa), ciascuno dei quali è la rappresentazione dei fatti secondo un particolare punto di vista. Tutti i personaggi co-protagonisti della vicenda trovano collocazione nel film: la moglie, i figli, Benigno Zaccagnini, Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Paolo VI, Enrico Berlinguer, Bettino Craxi, Steve Pieczenik, oltre ai terroristi Mario Moretti, Valerio Morucci, Adriana Faranda. Il taglio che il regista sceglie è quello della tragedia piuttosto che della cronaca: il film privilegia gli aspetti umani e psicologici della vicenda su quelli istituzionali-investigativi, con risultati spesso efficaci ma disomogenei. I rischi (non sempre evitati da Bellocchio) sono almeno un paio: il primo è che elementi importanti per comprendere una vicenda complessa passino in secondo piano; il secondo è che si cada nella caricatura dei personaggi. Almeno due protagonisti sono ritratti a mio avviso in modo piuttosto maldestro: la figura di Cossiga, la cui sindrome bipolare era nota, è così infelice, codarda e problematica da rasentare il grottesco. Adriana Faranda invece viene disegnata poco verosimilmente come una pasionaria isterica con tratti adolescenziali. Tornando al primo rischio, in questa rappresentazione che privilegia i travagli interiori dei protagonisti perdono peso alcuni fattori fondamentali. Il personaggio di Andreotti, pur risultando tra gli oppositori più decisi contro la trattativa con le BR, ne esce opaco e quasi innocente. I conati di vomito che lo scossero alla notizia del rapimento, da lui stesso confessati, potrebbero essere interpretati come un estremo turbamento per il legame con il rapito, mentre in un contesto più completo denuncerebbero la preoccupazione per ciò che avrebbe potuto emergere dal "processo" alla DC. La cosa meno comprensibile è la scelta di Bellocchio di omettere completamente il memoriale di Aldo Moro. Vero è che, a parte qualche anticipazione nelle lettere, i documenti sono stati trovati dopo la sua morte, ma come sono state messe alcune considerazioni del rapito nel colloquio finale col prete, c’era lo spazio per inserire stralci dei risultati degli interrogatori di Moro. Il memoriale, con le sue rivelazioni circa i rapporti con gli USA, i riferimenti a “Gladio” e le allusioni alle attività poco trasparenti di Andreotti, sono un elemento basilare per comprendere meglio l’intera vicenda. In mancanza di quello, diventano un po’ più deboli gli accenni sulla P2 ai vertici dei servizi segreti, il falso comunicato del lago della Duchessa, le preoccupazioni di Cossiga per le reazioni degli Americani. Aldo Moro è stato rapito e ucciso dalle BR, ma ormai è noto che emissari USA e pezzi della DC non avessero interesse a salvarlo, e che i servizi segreti abbiano potuto agire con consistenti azioni di depistaggio. E’ ovvio che il regista potrebbe rivendicare la libertà di espressione artistica, ma non può ignorare che il film rappresenti un’opera di divulgazione storica. D’altro canto gli va senz’altro riconosciuta l’attenuante della difficoltà di rappresentazione di un caso estremamente complesso, che presenta ancora diverse zone d’ombra. Centrata comunque la figura di Moro come un uomo onesto, democratico e politicamente coraggioso così come la ricostruzione del delicatissimo momento della vita della Repubblica. E a Bellocchio al di là di tutto va attribuito il merito di lasciare un film importante, che consente alle nuove generazioni di approcciare un evento chiave della recente storia d’Italia. Grandissima l’interpretazione di Fabrizio Gifuni nei panni del Presidente e ottima quella di Margherita Buy nella parte di Noretta.
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silvano bersani
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lunedì 23 maggio 2022
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tragedia
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Perché Marco Bellocchio sente la necessità con "Esterno notte" di ripercorrere i luoghi mentali del precedente "Buongiorno notte"? Perché in realtà le due opere si pongono su piani nettamente diversi. Mentre il film precedente scava in modo cupo all'interno del personaggio ispirato alla brigatista Braghetti, mostrando in modo lacerante le ferite nella personalità dell'individuo travolto dal gorgo della storia, il presente "Esterno notte" si presenta come opera corale, come una tragedia greca, dove il male non è più solo un fatto intimo, personale, ma riflette sulla sofferenza e sulle contraddizioni di una intera comunità nazionale.
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Perché Marco Bellocchio sente la necessità con "Esterno notte" di ripercorrere i luoghi mentali del precedente "Buongiorno notte"? Perché in realtà le due opere si pongono su piani nettamente diversi. Mentre il film precedente scava in modo cupo all'interno del personaggio ispirato alla brigatista Braghetti, mostrando in modo lacerante le ferite nella personalità dell'individuo travolto dal gorgo della storia, il presente "Esterno notte" si presenta come opera corale, come una tragedia greca, dove il male non è più solo un fatto intimo, personale, ma riflette sulla sofferenza e sulle contraddizioni di una intera comunità nazionale. Come stridono, sullo sfondo della crudeltà del mero fatto, i siparietti da sabato sera con le canzoncine leggere di Raffaella Carrà! Quello schermo televisivo, sempre acceso, che diventa attraverso i frammenti visivi dell'epoca, lui stesso personaggio ossessivamente presente, mentre i terroristi sono impegnati nelle più banali faccende domestiche, cuocere la minestra, sbarazzare la cucina.Esibizione assoluta della banalità di quel male.
Eppure questo primo episodio della serie sul rapimento di Moro è veramente un luogo obbligato, una piega della storia italiana, sulla quale Bellocchio ci chiama a fare nuovamente i conti, proprio perché è a tratti talmente surreale che noi stessi che quella stagione l'abbiamo vissuta ci chiediamo quanto di ciò che sappiamo è verità storica e quanto è invece narrazione indotta.
Non a caso l'inizio, in quella stanza di ospedale (e non aggiungo altro per non togliere l'effetto straniante di quella scena) è assolutamente surreale. Come volutamente surreale è il titolo del film, perché veramente i fatti importanti, quelli sui quali il regista richiama la nostra attenzione, accadono di notte ed accadono in esterno.
La mano registica di Bellocchio, veramente efficace ed in una condizione di grazia, riconoscibile proprio come nelle sue opere migliori, riesce nel contempo a mostrare i limiti e l'ignavia dei personaggi che girano attorno a questa tragedia, senza renderle figurine caricaturali. E' quasi immediato fare il confronto con "Il Divo" di Sorrentino. Quelle di Sorrentino erano maschere grottesche, questi sono personaggi pirandelliani. Insomma, un film che è necessario vedere, anche a fronte della prospettiva non incoraggiante che sono episodi non autoconclusivi di una serie. Ma credo che quando le esigenze dell'industria cinematografica ci avrà mostrato tutta l'opera nella sua interezza, saremo davanti ad un grande affresco non più riducibile ad una semplice serie a episodi.
Alcune grandi prove d'attore che meritano menzione. Uno il protagonista incarnato da un Fabrizio Gifuni straordinariamente credibile, che in questo primo segmento forse troppo compresso dalle esogenze di sceneggiatura. E l'altra è Margherita Buy, che vediamo finalmente dare corpo ad un personaggio asciutto ed intensamente interpretato, più nei silenzi e negli sguardi taglienti che nelle parole.
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silvano bersani
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lunedì 23 maggio 2022
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tragedia
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Perché Marco Bellocchio sente la necessità con "Esterno notte" di ripercorrere i luoghi mentali del precedente "Buongiorno notte"? Perché in realtà le due opere si pongono su piani nettamente diversi. Mentre il film precedente scava in modo cupo all'interno del personaggio ispirato alla brigatista Braghetti, mostrando in modo lacerante le ferite nella personalità dell'individuo travolto dal gorgo della storia, il presente "Esterno notte" si presenta come opera corale, come una tragedia greca, dove il male non è più solo un fatto intimo, personale, ma riflette sulla sofferenza e sulle contraddizioni di una intera comunità nazionale.
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Perché Marco Bellocchio sente la necessità con "Esterno notte" di ripercorrere i luoghi mentali del precedente "Buongiorno notte"? Perché in realtà le due opere si pongono su piani nettamente diversi. Mentre il film precedente scava in modo cupo all'interno del personaggio ispirato alla brigatista Braghetti, mostrando in modo lacerante le ferite nella personalità dell'individuo travolto dal gorgo della storia, il presente "Esterno notte" si presenta come opera corale, come una tragedia greca, dove il male non è più solo un fatto intimo, personale, ma riflette sulla sofferenza e sulle contraddizioni di una intera comunità nazionale. Come stridono, sullo sfondo della crudeltà del mero fatto, i siparietti da sabato sera con le canzoncine leggere di Raffaella Carrà! Quello schermo televisivo, sempre acceso, che diventa attraverso i frammenti visivi dell'epoca, lui stesso personaggio ossessivamente presente, mentre i terroristi sono impegnati nelle più banali faccende domestiche, cuocere la minestra, sbarazzare la cucina.Esibizione assoluta della banalità di quel male.
Eppure questo primo episodio della serie sul rapimento di Moro è veramente un luogo obbligato, una piega della storia italiana, sulla quale Bellocchio ci chiama a fare nuovamente i conti, proprio perché è a tratti talmente surreale che noi stessi che quella stagione l'abbiamo vissuta ci chiediamo quanto di ciò che sappiamo è verità storica e quanto è invece narrazione indotta.
Non a caso l'inizio, in quella stanza di ospedale (e non aggiungo altro per non togliere l'effetto straniante di quella scena) è assolutamente surreale. Come volutamente surreale è il titolo del film, perché veramente i fatti importanti, quelli sui quali il regista richiama la nostra attenzione, accadono di notte ed accadono in esterno.
La mano registica di Bellocchio, veramente efficace ed in una condizione di grazia, riconoscibile proprio come nelle sue opere migliori, riesce nel contempo a mostrare i limiti e l'ignavia dei personaggi che girano attorno a questa tragedia, senza renderle figurine caricaturali. E' quasi immediato fare il confronto con "Il Divo" di Sorrentino. Quelle di Sorrentino erano maschere grottesche, questi sono personaggi pirandelliani. Insomma, un film che è necessario vedere, anche a fronte della prospettiva non incoraggiante che sono episodi non autoconclusivi di una serie. Ma credo che quando le esigenze dell'industria cinematografica ci avrà mostrato tutta l'opera nella sua interezza, saremo davanti ad un grande affresco non più riducibile ad una semplice serie a episodi.
Alcune grandi prove d'attore che meritano menzione. Uno il protagonista incarnato da un Fabrizio Gifuni straordinariamente credibile, che in questo primo segmento forse troppo compresso dalle esogenze di sceneggiatura. E l'altra è Margherita Buy, che vediamo finalmente dare corpo ad un personaggio asciutto ed intensamente interpretato, più nei silenzi e negli sguardi taglienti che nelle parole.
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