Mormorare mentre scrive il diario: l'ultima incarnazione del Cavaliere Oscuro, interpretato da Robert Pattinson, suona come una preoccupazione: “Devo scegliere con cura i miei obiettivi. È una grande città. Non posso essere ovunque”.
Batman sta impazzendo? No, ma sta attraversando una strada che gli fa fare i conti con gli angoli spigolosi dell’anima, in questo "The Batman" che Matt Reeves ha diretto da una sceneggiatura che ha scritto con Peter Craig.
"The Batman" appare diverso, non nuovo. Né una storia delle origini né un'avventura d'azione convenzionale (sebbene ci sia un sacco di azione violenta), il concetto che fa da tappeto elimina la dualità Batman/Bruce Wayne a favore di un uomo al limite, mascherato per la maggior parte del film, che mette in discussione ossessivamente la propria identità, il proprio scopo e le tattiche di vigilanza in una città che vede solo corruzione e malavita.
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Mormorare mentre scrive il diario: l'ultima incarnazione del Cavaliere Oscuro, interpretato da Robert Pattinson, suona come una preoccupazione: “Devo scegliere con cura i miei obiettivi. È una grande città. Non posso essere ovunque”.
Batman sta impazzendo? No, ma sta attraversando una strada che gli fa fare i conti con gli angoli spigolosi dell’anima, in questo "The Batman" che Matt Reeves ha diretto da una sceneggiatura che ha scritto con Peter Craig.
"The Batman" appare diverso, non nuovo. Né una storia delle origini né un'avventura d'azione convenzionale (sebbene ci sia un sacco di azione violenta), il concetto che fa da tappeto elimina la dualità Batman/Bruce Wayne a favore di un uomo al limite, mascherato per la maggior parte del film, che mette in discussione ossessivamente la propria identità, il proprio scopo e le tattiche di vigilanza in una città che vede solo corruzione e malavita. Ma, a tratti, c'è vero cinema in "The Batman”: Matt Reeves suddivide accuratamente le sequenze d'azione e, quando arrivano, sono sia visivamente lucide che temibilmente eccitanti e spericolate. Reeves lavora meravigliosamente con il direttore della fotografia Greig Fraser, che illumina come un maestro, creando un fascino sinistro da interni ultraterreni ed esterni perennemente umidi, riportandoci negli occhi i battiti di Blade Runner. Insieme con tutti i collaboratori del design, in questa visione organica dell'inferno urbano, in cui il mondo sotterraneo è l'unico mondo, lui e Reeves trasformano "The Batman" in un film di gangster a tutto tondo che si avvicina al film noir. Tutta quell'atmosfera ha bisogno di attori veri, altrimenti sono solo immagini suggestive su uno schermo. Quell'incrollabile introspezione e l'intelligenza penetrante dell'attore sono indispensabili. Il signor Pattinson non ha bisogno dell'eroismo standard per tenerci preoccupati sul destino dell'eroe. Ci vuole un po' per capire l'entità dell'angoscia di Bruce , ma quasi tutto richiede un po' di tempo in un film che dura cinque minuti in meno di tre ore.
Colin Farrell è irriconoscibile ma divertente nei panni dello sfigurato Pinguino, proprietario di un club infestato dalla mafia, John Turturro è Carmine Falcone, un virtuoso mafioso. Andy Serkis è l'onnipresente maggiordomo, Alfred, che teme giustamente per la sanità mentale di Bruce, mentre Jeffrey Wright è James Gordon, come sempre un pilastro della probità nel dipartimento di polizia di Gotham City. E poi c’è Selina, una Catwoman atipica e che di Catwoman ha ben poco, solo la sua inclinazione ad accogliere i randagi suggerisce la migliore battuta del film. Mentre Batman entra nel suo appartamento, un trio di felini gira intorno ai suoi piedi. Aspetta un colpo, poi due, e dice: "Hai un sacco di gatti". Per un breve momento, gli dei dell'arguzia sorridono a Gotham.
Sottolineato e troppo lungo, "The Batman" trae i suoi riferimenti da fonti diverse come i film noir, il death metal scandinavo e il genere pulp di serial killer da giardino. La performance di Pattinson evoca a tratti il Callaghan di Clint Eastwood. È difficile credere che una tale serietà possa risultare divertente, e infatti non lo è per niente. Lo spettatore è chiamato a scendere nel patto di accettare i termini dell'impegno narrativo: il tono malinconico e il ritmo onirico, interrotti da spasmi d'azione e da un fantastico set in un centro cittadino sempre più allagato. Il film dura almeno venti-trenta minuti in più del necessario, anche se i suoi ultimi tratti sono arricchiti dalla inquietudine della performance del signor Dano in quello che equivale a uno spettacolo personale: l'Enigmista che fornisce la soluzione al suo io malvagio. E se il pessimismo prevalente sembra indebitamente profondo, Batman lo tempera con tutte le speranze che chiunque potrebbe ragionevolmente raccogliere nelle sue circostanze, o nelle nostre dopo quasi tre ore sulla poltrona.
Perché ora, quasi tutto ciò che otteniamo dai film in franchising di fumetti, anche dai migliori, è una sorta di malinconia applicata, tale che l'oscurità ha a malapena un significato. Da Thanos, con il suo guanto ingioiellato del potere e della vendetta che distrugge la Terra, a Joker, il tormentato imbroglione il cui dolore per tutta la vita fornisce una comoda scusa per le sue azioni omicide, all'Enigmista di Batman, tutti questi personaggi ci agitano il male in faccia come un fazzoletto puzzolente, come se fosse un odore che prima semplicemente non eravamo riusciti a cogliere. Ma forse sentiamo che non c'è più niente da inventare. Discutere di film adattati dai fumetti in modo significativo è diventato impossibile. Non importa quello che dici, le tue ali sono bloccate tra i due cerchi di "Sei superficiale, vuoi solo divertirti" e "Dai, è solo intrattenimento". È un gioco finale dell'infinito che non riusciamo a vincere. E questo è il grande peccato di The Batman.
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