Language Lessons

Lo schermo di un computer si accende sul lussuoso salotto di una villa a Oakland, in California. La voce di un uomo spiega a Cariño, insegnante di spagnolo in Costa Rica, che il pacchetto di lezioni a distanza appena comprato sarà a beneficio di suo marito Adam, che sta per svegliarsi. Adam e Cariño inizieranno dunque a sentirsi regolarmente, ogni lunedì, affinché Adam possa riscoprire quello spagnolo che non parla da tempo. Tra una lezione e l'altra si fa strada però la vita vera, con i suoi improvvisi dolori e croniche complicazioni. L'uomo e la donna approfondiranno il rapporto ben oltre i freddi confini della teleconferenza.

La corsa alla realizzazione del primo grande film sulla pandemia diventerà senza dubbio un filone cinematografico florido nei tempi a venire, e Language lessons è un riuscito esempio della sua forma primordiale, quella realizzata durante il lockdown e dunque soggetta alle limitazioni del caso.

Natalie Morales e Mark Duplass sono sanitariamente inappuntabili, con due soli personaggi in scena, ciascuno al sicuro dentro l'inquadratura digitale del suo computer. Ma invece di offrire un commento diretto sugli eventi e sulle esperienze del 2020, costruiscono con sensibilità e intelligenza una piccola parabola sull'amicizia e sulle insidie di una comunicazione solo virtuale, che coglie appieno lo stato d'animo collettivo senza dover citare alcun virus.

Approfittare dei mesi di sosta forzata per girare un "instant movie" che sfrutti le circostanze del momento è un'idea venuta a molti, ma non tutti possono vantare un'intesa come quella che lega i due protagonisti di Language Lessons, né un'esperienza pari a quella di Duplass nel cinema spontaneo e sperimentale (grazie alle radici nel movimento indipendente "mumblecore" assieme al fratello Jay). Ci sono una complicità, una naturalezza e un'autenticità particolarmente toccanti nelle performance di Morales e Duplass, messe a nudo in modo ancor più fondamentale dalla semplicità della messa in scena.

Di fatto siamo di fronte alla versione ultra-attuale e hi-tech di un romanzo epistolare, con le sequenze scandite dai brevi video messaggi tra i due, e un rapporto che imperterrito si insinua prima all'interno di uno scambio professionale, e poi nelle difficoltà di due persone lontane a gestire ciò che accade quando il portatile si chiude.

Attraverso un grande dramma personale, Language lessons condensa anche lo stato d'animo globale dell'anno 2020, tanto in termini emotivi - è un film che parla di apertura, fiducia, elaborazione del lutto - quanto nella grammatica comunicativa che è diventata imperante per noi tutti: studiare le persone attraverso l'arredamento delle case in una videoconferenza, inquietarsi per un prolungato periodo "offline" di qualcuno, cercare la verità oltre le basse risoluzioni di una webcam e dei microfoni che funzionano male.

Forse più che essere una delle prime opere sul periodo della pandemia, l'esordio alla regia di Morales è uno degli ultimi esempi di "desktop movie" per come lo intendevamo, quel genere di racconto che vive interamente negli schermi di un computer (come Searching o Unfriended) e che non sarà più lo stesso ora che ci siamo finiti dentro anche noi, senza più il semplice filtro dei social media. Che sia così o meno, Language lessons rivendica la sua dignità cinematografica con una piccola e sentita finestra di umanità che rifiuta di lasciarsi chiudere. 