Steven Knight rompe di nuovo le regole con un film che assicura parecchie sorprese. Al cinema.
di Roy Menarini
Ormai quello della critica è un lavoro improbo. Complice il terrore degli spoiler da parte dei lettori e la passione per i colpi di scena di molti film contemporanei, diventa macchinoso analizzare un'opera senza poter discutere le svolte che la trama propone. Limitiamoci dunque a dire che Serenity (guarda la video recensione) di Steven Knight di sorprese ne assicura parecchie, e che il mélange di generi cinematografici appare a dir poco disinvolto. Questo per dire che chi, dopo aver visto lo stereotipato trailer, avesse pensato al solito noir citazionista e deciso di snobbare il film perché già sicuro di dove sarebbe andato a parare, farebbe meglio a ripensarci.
L'accoglienza di Serenity è stata - inutile negarlo - fredda quando non isterica, se pensiamo alla distribuzione internazionale e alle reazioni della critica (probabilmente decisive per lo scarso appeal del film verso il pubblico).
Eppure, pur essendo qua e là un enorme pasticcio, Serenity si prende molti rischi, così come li fa prendere ai suoi personaggi, chiamati a lavorare "doppiamente" sul proprio arco narrativo e sul destino che li attende nella narrazione. E qui torna un po' in gioco il tema del cinema contemporaneo. Questo divertente UFO, che parte come un thriller, si trasforma in un post-noir anni Ottanta (come quelli di Lawrence Kasdan), e poi prende il volo per lidi inattesi, altro non è in fondo che il fallo di reazione di un creativo come Steven Knight, cui evidentemente stanno strette tutte le regole industriali. I suoi lavori da sceneggiatore e regista oscillano sempre tra totale disubbidienza (Locke) e sottile gioco sugli stereotipi (Allied, superbamente diretto da Robert Zemeckis). In questo caso, invece, le due anime - quella neoclassica e quella sperimentale - sembrano fondersi: e non solo come estetica o come narrazione, ma proprio testualmente, come meccanismo di racconto che regola ciò che accade in Serenity.