jack beauregard
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martedì 10 settembre 2019
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originalità e coraggio
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Ammetto di aver fatto una certa fatica ad entrare in sintonia con questo film.
Fino ad oltre la metà non sono riuscito a farmene un’idea ben precisa, non capivo se questo continuo inserimento di spezzoni documentaristici, a volte veri, altre volte ricreati ad hoc, altre ancora sbilenchi, ricolorati o mescolati tra finzione e realtà, fosse un tentativo stilistico coraggioso, per gran parte riuscito e funzionale alla storia, oppure se stessi assistendo solo a una confusionaria messa in scena, la cui finalità non era del tutto comprensibile.
Alla fine ha prevalso la prima sensazione e, seppur non raggiungendo apici personali di entusiasmo, devo riconoscere che questi spezzettamenti, oltretutto cronologicamente disordinati e a tratti incoerenti, rispetto alla linearità con cui procede la storia, creano quasi paradossalmente un effetto di dinamicità che arricchisce e movimenta il film in maniera piuttosto originale.
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Ammetto di aver fatto una certa fatica ad entrare in sintonia con questo film.
Fino ad oltre la metà non sono riuscito a farmene un’idea ben precisa, non capivo se questo continuo inserimento di spezzoni documentaristici, a volte veri, altre volte ricreati ad hoc, altre ancora sbilenchi, ricolorati o mescolati tra finzione e realtà, fosse un tentativo stilistico coraggioso, per gran parte riuscito e funzionale alla storia, oppure se stessi assistendo solo a una confusionaria messa in scena, la cui finalità non era del tutto comprensibile.
Alla fine ha prevalso la prima sensazione e, seppur non raggiungendo apici personali di entusiasmo, devo riconoscere che questi spezzettamenti, oltretutto cronologicamente disordinati e a tratti incoerenti, rispetto alla linearità con cui procede la storia, creano quasi paradossalmente un effetto di dinamicità che arricchisce e movimenta il film in maniera piuttosto originale.
Intendiamoci, la funzionalità di questo approccio frammentario è quasi puramente stilistica, perché il film potrebbe reggere tranquillamente anche se fosse stato girato in modo più tradizionale. E questo grazie soprattutto alla magistrale interpretazione di Marinelli che, con sguardo sempre intenso e un po’ perso, al confine tra il sornione e la sorpresa e con un corpo imponente, che si muove costantemente in un mix di impaccio e irruenza, rende credibile e realistico anche sul grande schermo il personaggio letterario nato dalla penna di Jack London. Un personaggio forte e tenero, un’anima pura, mosso da un fuoco interno, che cerca un riscatto sociale con grande determinazione, attraverso lo studio, la cultura, che compie qualsiasi impresa, impara, pensa, ama con la stessa passione e intensità, che cresce e progredisce fino a raggiungere il suo sogno, affermarsi come scrittore, essere finalmente libero, per poi accorgersi di non sapere che farsene di questa libertà, che il fuoco che lo alimentava si è lentamente spento e non gli ha consentito di fare pace con il mondo, con la vita e con se stesso.
Ma a ben vedere il continuo mescolamento tra finzione e immagini più e meno documentaristiche ha anche un’altra funzione, quella di coprire e parzialmente risolvere alcune discutibili scelte narrative, dovute a certi cambi di scena poco curati o troppo sbrigativi (anche se probabilmente voluti), specialmente nei rapporti tra Martin e Elena (interpretata da un’attrice poco espressiva, non all’altezza del ruolo) e a una scansione temporale molto ondivaga e poco coerente: il film che sembra iniziare verso la fine degli anni 50 e, come già accennato in precedenza, procede linearmente, seguendo l’evoluzione del personaggio protagonista, mostra certe sequenze, come quelle delle assemblee sindacali con la presenza di fascisti in camicia nera, che invece fanno pensare a periodi precedenti, oppure come nella parte finale ha un’ambientazione più vicina ai giorni nostri, che poi però non è supportata (ad eccezione che per Martin) da un effettivo cambiamento degli altri personaggi, Elena rimane sempre uguale, così come Maria e il suo bambino.
Anche se il film ruota interamente attorno al personaggio protagonista che compare praticamente in ogni scena oppure è evocato da altri (sempre di lui comunque si parla), i personaggi secondari funzionano piuttosto bene, specialmente quelli solo brevemente accennati (la sorella, il cognato, Nino, Maria, i bambini…). Meno bene quello di lei, come già detto, anche se quando un personaggio non funziona a livello recitativo la colpa è sempre da condividere tra regista e attore. E probabilmente un personaggio che avrebbe meritato un rilievo maggiore è quello di Russ Brissenden, il cui ruolo chiave nell’evoluzione di Martin risulta forse non del tutto chiarito.
Poco altro da aggiungere, oltre al fatto che pure Napoli fa la sua parte.
E’ un film che merita la visione, ha una durata d’autore (oltre le due ore), ma non stanca, ne annoia mai e si eleva dalla media del panorama cinematografico italiano per originalità e coraggio.
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lunedì 9 settembre 2019
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ottimo articolo
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Buonasera, ho ritrovato nel suo articolo un'aderenza sorprendente con quanto da me pensato a riguardo del film di Marcello. Non avendo letto il romanzo di London non so quanto il film sia ben riprodotto. Mi sembra che si dilinghi molto nella parte evolutiva degli insuccessi e poco sulla seconda parte della vita lo trovo poco introspettivo, i movimenti interiori di come arriva a certi autori molte lacune troppe domande uscita dal cinema , che possono essere un bene perché sono di stimolo.
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kimkiduk
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lunedì 9 settembre 2019
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finalmente
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Che bello uscire dal cinema e parlare del film per cercare di capirlo completamente.
Che bello parlarne anche il giorno dopo con chi lo aveva visto e dire di andare a vederlo a chi non c'era ancora stato.
Che bello scoprire uscendo che Martinelli aveva vinto La Coppa Volpi per il migliore attore.
Io purtroppo leggo poco, ma per la prima volta penso leggerò il libro, visto che sicuramente tante cose non possono corrispondere visto l'ambientazione a Napoli e gli spazi temporali che vanno dal fine 1800 al 2000.
Trovo splendido il personaggio, anche se l'accostamento Anarchia, socialismo e libertà va capita nel pensiero di Marcello e non mi è risultata facile.
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Che bello uscire dal cinema e parlare del film per cercare di capirlo completamente.
Che bello parlarne anche il giorno dopo con chi lo aveva visto e dire di andare a vederlo a chi non c'era ancora stato.
Che bello scoprire uscendo che Martinelli aveva vinto La Coppa Volpi per il migliore attore.
Io purtroppo leggo poco, ma per la prima volta penso leggerò il libro, visto che sicuramente tante cose non possono corrispondere visto l'ambientazione a Napoli e gli spazi temporali che vanno dal fine 1800 al 2000.
Trovo splendido il personaggio, anche se l'accostamento Anarchia, socialismo e libertà va capita nel pensiero di Marcello e non mi è risultata facile.
Va capito cosa fondamentalmente non sopportava Martin di quella vita che aveva voluto anche se non per se stesso, ma per l'amata.
Va capito il finale con tante piccole e grandi cose che sono da interpretare e non da vedere solamente.
Film semplice nella sua evoluzione, complessissimo nel suo significato e questo deve fare il grande Cinema.
Sono uscito pieno dalla sala e leggero nell'animo, perchè quando sto bene mi sento così e il Cinema se bello lo può fare.
Da rivedere almeno due volte per cercare di capirlo appieno, perchè ne vale la pena e leggerò anche il libro.
Per chi ama il cinema da non perdere.
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goldy
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domenica 8 settembre 2019
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prevale l'ambizione
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Sono molto contenta che Luca Marinelli sia stato premiato come migliore attore alla mostra di Venezia . La sua intensità di interprete ha una credibilità e un’adesione al personaggio rara.
Il messaggio di Martin è antico quanto la storia dell’uomo e Platone lo ha codificato in modo definitivo con l’immagine della caverna. Riproporre e ricordare il valore della cultura e l’obbligo di estrarre da ognuno di noi il meglio di cui siamo fatti è meritevole e giusto. Un messaggio così fondamentale sta in piedi da solo e non condivido la scelta del regista di ambientare la storia a Napoli e poi (dialetto ridicolo) nell’Italia del Nord , per non parlare dell’appesantimento dei falsh back.
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Sono molto contenta che Luca Marinelli sia stato premiato come migliore attore alla mostra di Venezia . La sua intensità di interprete ha una credibilità e un’adesione al personaggio rara.
Il messaggio di Martin è antico quanto la storia dell’uomo e Platone lo ha codificato in modo definitivo con l’immagine della caverna. Riproporre e ricordare il valore della cultura e l’obbligo di estrarre da ognuno di noi il meglio di cui siamo fatti è meritevole e giusto. Un messaggio così fondamentale sta in piedi da solo e non condivido la scelta del regista di ambientare la storia a Napoli e poi (dialetto ridicolo) nell’Italia del Nord , per non parlare dell’appesantimento dei falsh back. Più che il pregevole desiderio di offrire spunti di riflessione validissimi sembra prevalere l’ambizione del regista di proporre schemi narrativi che si diversifichino da quelli di una narrazione lineare, magari più banali ma più consoni, secondo me, a esaltare la cristallina bellezza del personaggio di cui si è impropriamente imposessato.
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[+] più coraggio che ambizione
(di jack beauregard)
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rossana65
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sabato 7 settembre 2019
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bellissimo film
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E' un film emozionante che tocca il cuore e fa pensare. Peccato che sia così raro per il cinema italiano produrre tali film.
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carloalberto
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sabato 7 settembre 2019
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è un'opera d'arte
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Quella che Pietro Marcello ha realizzato è un’opera esteticamente riuscita che sfiora il capolavoro. Il regista utilizza in modo sapiente, esaltandoli, tutti i mezzi espressivi della settima arte, non sovrappone ma fonde armonicamente nel film, la colonna sonora, con la musica degli anni ottanta e la voce inconfondibile di Daniele Pace e di Teresa De Sio, la grande prosa, recitata in modo magistralmente teatrale da Luca Marinelli e Carlo Cecchi, le immagini della finzione e quelle tratte da filmati di repertorio dell’epoca o da vecchi filmini amatoriali in superotto, il vissuto intimo e familiare del protagonista, deprivato di cultura e di affetti, e la vita corale di un popolo di miserabili e di sconfitti, di diseredati e di lavoratori sfruttati, scene di primi piani di volti che trapassano lo schermo e paesaggi sfumati ripresi in lontananza, ad evocare, insieme, immediatezza e partecipazione all’azione e nostalgia struggente per ciò che, passando fugacemente, non torna.
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Quella che Pietro Marcello ha realizzato è un’opera esteticamente riuscita che sfiora il capolavoro. Il regista utilizza in modo sapiente, esaltandoli, tutti i mezzi espressivi della settima arte, non sovrappone ma fonde armonicamente nel film, la colonna sonora, con la musica degli anni ottanta e la voce inconfondibile di Daniele Pace e di Teresa De Sio, la grande prosa, recitata in modo magistralmente teatrale da Luca Marinelli e Carlo Cecchi, le immagini della finzione e quelle tratte da filmati di repertorio dell’epoca o da vecchi filmini amatoriali in superotto, il vissuto intimo e familiare del protagonista, deprivato di cultura e di affetti, e la vita corale di un popolo di miserabili e di sconfitti, di diseredati e di lavoratori sfruttati, scene di primi piani di volti che trapassano lo schermo e paesaggi sfumati ripresi in lontananza, ad evocare, insieme, immediatezza e partecipazione all’azione e nostalgia struggente per ciò che, passando fugacemente, non torna. L’emotività dello spettatore è raggiunta e coinvolta attraverso lo stimolo di tutti i sensi in gioco nella fruizione filmica, stimolando, contestualmente, la riflessione su alcuni temi che sono stati e restano cruciali per ogni uomo che ambisca ad una maggiore consapevolezza di sé come individuo sociale. Le conclusioni di London, di Eden e di Marcello sono parimenti disperate. La sovrapposizione delle storie e dei luoghi è compiuta. Attraverso la vita di Eden vediamo in parte la vita di London e scorgiamo, forse, quella dell’autore, alla San Francisco di Eden-London si sovrappone la Napoli di Marcello. Le immagini vere degli emigranti che fanno la valigia, serrandola con lo spago, gettano un ponte tra le due realtà. L’individuo schiacciato, in Patria, dalla miseria e dallo sfruttamento, attraversa l’oceano e va in terra straniera, dove troverà un nuovo padrone ad attenderlo. Per il protagonista non v’è riscatto possibile, né la cultura, né l’amore, né il successo, ridanno all’individuo quel che la società gli ha sottratto fin dalla nascita, ossia la libertà, che per Martin Eden si può concretizzare esclusivamente nella creatività e nella realizzazione dell’opera d’arte. Martin Eden riconosce il proprio fallimento di artista e quindi l’esser vissuto invano, proprio perché intimamente convinto che una vita non ha senso se non si appropria di se stessa, autodeterminandosi nella libertà intesa come creatività. Fortunatamente, per i comuni mortali, altri mezzi sussistono per raggiungere lo scopo, anche senza essere artisti, ed altre strade avrebbe potuto seguire lo stesso Martin per vivere una vita felice. Al bivio tra due mondi e tra due modi di vivere all’opposto, quello della cultura disillusa e scettica incarnato dal vecchio poeta mentore e quello degli affetti e del sentimento, rappresentato dalla popolana vedova con due figli che conduce un’esistenza semplice ma serena, Martin sceglie la via che si rivelerà, soltanto a posteriori, essere quella sbagliata. Il tentativo di riscatto dall’ignoranza lo sprofonda in una condizione di amarezza esistenziale ed il ritorno alla scelta iniziale diventa per lui impossibile. Si ripropone l’errore biblico primordiale dell’umanità, l’avere attinto all’albero della conoscenza voltando le spalle all’amore e disobbedendo all’Assoluto, in chiave romantica, con l’eroe, in primo piano, che affronta, titanicamente, il mondo, nello sforzo immane di affermare la propria personalità, ribellandosi alle convenzioni ed ai precetti della società moderna, quale nuovo Assoluto dominante e soggiogante l’individuo, nelle idee del darwinismo sociale di Spencer, di cui Martin è un avido lettore, e nelle più moderne scienze della sociobiologia e della psicologia evoluzionistica. Ma se per l’individuo rimane sempre una strada alternativa da percorrere, la conoscenza, l’amore o l’arte, per il popolo, invece, il destino sembra segnato. L’annuncio di una guerra, che è già stata, ne preannuncia un’altra, che si farà, come afferma, in un cameo, lo storico Giordano Bruno Guerri, proprio grazie al popolo.
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[+] 'e stelle, 'e criature, ' ffemmene
(di fabiofeli)
[ - ] 'e stelle, 'e criature, ' ffemmene
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loland10
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sabato 7 settembre 2019
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sogni e delusioni
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“Martin Eden” (2019) è il quinto lungometraggio del regista casertano Pietro Marcello.
“Grazie per aver salvato nostro figlio”.
“Non ti basta la bajour per scrivere? La luce si paga”
“Vieni resta qui torniamo a fare le cose di prima....”.
Film di sconquasso narrativo con sperimentazioni varie, documentazioni reali, fotografia in filigrana, personaggi scontrosi e mistificazioni storiche.
Film di grande spavento e lettura sotto le righe con la storia minima e massima che si conoscono ma non si capiscono; il velleitarismo do un cinema semplice nasconde il grande coraggio per un ‘racconto’ epico in cui viene toccato tirato il secolo breve con immagini di mare, di interni, di comizi, di ballo, di vie, di campagne, di treni e di luoghi di cui conosciamo poco o niente.
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“Martin Eden” (2019) è il quinto lungometraggio del regista casertano Pietro Marcello.
“Grazie per aver salvato nostro figlio”.
“Non ti basta la bajour per scrivere? La luce si paga”
“Vieni resta qui torniamo a fare le cose di prima....”.
Film di sconquasso narrativo con sperimentazioni varie, documentazioni reali, fotografia in filigrana, personaggi scontrosi e mistificazioni storiche.
Film di grande spavento e lettura sotto le righe con la storia minima e massima che si conoscono ma non si capiscono; il velleitarismo do un cinema semplice nasconde il grande coraggio per un ‘racconto’ epico in cui viene toccato tirato il secolo breve con immagini di mare, di interni, di comizi, di ballo, di vie, di campagne, di treni e di luoghi di cui conosciamo poco o niente. Un miscuglio con ricordi e reali, vivi e morti che danno risalto ad un’opera forte e suggestiva.
Surreale e voluminosa, sognante e pregnante, rarefatta e corporale: una storia in un film dove il documentarismo (usato dal regista, una sua passione) fa qualcosa e di altro, a parte. Sembra di vedere un racconto a vari livelli con scene e inquadrature veramente efficaci e di rara bellezza, con un’anima e un fondo intenso dello scritto. Certo non lineare, ma con i tempi che si incontrano casualmente non conoscendosi (il primissimo novecento, il post guerra, gli anni del boom e gli anni ottanta): teche senza sarlo e ritratti senza parenti.
Tratto liberamente dal romanzo omonimo di Jack London e sceneggiatura dello stesso regista con Maurizio Braucci (già collaboratore in “Bella e perduta”, 2015). La storia è stata spostata in una Napoli sospesa e in un non ben definito lasso di tempo. Tutto è tempo nello scorrere con pensieri, incontri, passati, foto e movimenti durante un andirivieni del novecento dove il nostro Martin ne vede tante con l’agonia sulle spalle di essere ignorante del tutto prima di inizia a leggere.
Il suo scopo, poi, è scrivere e come scrittore di essere pubblicato. Invia racconti su racconti, plichi su plichi e con la stessa dicitura ‘rispedito al mittente’ li riceve indietro; la sua forza morale franava ma ogni volta si ricaricava. La sconfitta rendeva forte la voglia di riscrive ancora.
Acquista con i pochissimi soldi una macchina da scrivere di seconda mano e diventa il suo continuo bagaglio vero e importante.
Gli piace viaggiare, col poco che ha, e vuole tenersi lontano dal cognato che non recepisce mai il messaggio di una cultura.
Il film ha una prima porte poderosa, incisiva, fluttuante e intensa. La commozione sincera si stratifica in parecchie vicende del nostro Martin che vuole arrivare a sapere e conoscere. L’incontro con la famiglia di Elena è casuale. Salva da una lite il fratello e viene ringraziato da tutti i familiari. Costretto a rimanere a pranzo conosce la ragazza. Famiglia borghese e con una certa dose di cultura. In essa arrivano incontri e scontri poderosi. Martin, un ex marinaio, conosce i suoi limiti e vorrebbe realizzare i suoi sogni. In questo contrasto intenso il film argomenta, in modo rarefatto, languido e con passione repressa, lo sfogo interiore del ragazzo popolano e privo di ogni nerbo culturale.
Elena gli consiglia di tornare a scuola. Ma da un libro iniziale di Baudelaire la carica inizia. I suoi versi e le sue parole colpiscono, come alcune argomentazioni filosofiche di Herbert Spencer (teorico del darwinismo sociale) e il sentore politico del,pensiero socialista. Ma non tutti sono dalla sua parte. Elena gli dice di ‘scrivere altro’. Secondo lei è troppo duro, reale, colpi allo stomaco continui. E Martin si arrabbia: le fa vedere i luoghi che conosce e le persone misere che fanno fatica a sradicare la loro quotidianità. Elena vuole tornare a casa. Il suo mondo ‘bello e lineare’, di una borghesia pulita fa a pugni con certe scene. Il girare il set dall’altra parte. Martin e Elena due mondi casuali che sognano a loro modo ma il ragazzo ne prende coscienza e non risparmia nessuna nemmeno chi pensa di averlo aiutato.
Si sente in odore di arrivo, pensa di avere il coltello dalla parte del manico, crede di poter rovesciare le convenzioni classiche, sfoga il suo dire contro una cultura che non c’è. Il fervore della novità e del suo vero narrare riempiono le bocche di molti e, lui, inizia a rendersi conto quasi di essere messo da parte. E la cultura diventa arma (affilata) a doppio taglio. E il nostro Martin sembra girare a vuoto. E il resoconto finale è amaro: non c’è vittoria. In vita l’odore della medaglia è lontana. E anche di cui scrivi non sono proprio contenti.
La morte a qualcuno darà il suo. Ecco che Jack London da oltre un secolo aveva intuito è capito ciò che l’uomo riceverà in cambio di quello che professa.... Torto e ragione quasi combaciano.
Ecco che l’incontro casuale (sul treno) con una donna, di nome Maria (Carmen Pommella), e i suoi due figli (“il marito me l’ha portato via il Signore”) appianerà certe cose per crearne altre. Una popolana senza nulla gli darà quasi conforto. Ma quando il mondo si rovescia e il successo arride al suo nome....Maria in un secondo tempo dirà a Martin “torna a fare le cose di prima”. Torna con la speranza dentro e il tuo sogno da conquistare. Ma oramai Martin Eden è fuori da se stesso, dal suo nome e da quello che ha vissuto. Le origini e ciò che hai perduto per sempre. Un vittoria (presunta) ti piacerà ma ti potrò anche distruggere (definitivamente).
Gli oggetti, i piccoli materiali, le cose minime, i fogli, il poco denaro, le stanze adombrate, l’essenziale in tavola, la nave che parte, le lacrime e i fazzoletti bianchi che si scorgono dal molo; le valigie e lo spago, le rughe e il coltello, le liti e i pugni, le lettere e la luce della notte, i vicoli e le miserie, il primo assegno e la spesa; ecco si arriva a pulire il piatto con il pane, una ‘scarpetta’ di odore di sugo per ‘togliere la povertà’ come dice Martin a casa di Orsini durante un invito a pranzo.
Gli oggetti, i piccoli materiali, le cose minime, i fogli, il poco denaro, le stanze adombrate, l’essenziale in tavola, la nave che parte, le lacrime e i fazzoletti bianchi che si scorgono dal molo dalle immagini arrugginite annerite dai fumi del tempo. Passati decenni e decenni quando andare oltreoceano era un successo. Il resto solo speranza di riportare qualcosa.
Un vivo mondo fatto di nessuna certezza e quando pensi che un traguardo è vicino ecco a fianco appoggiarsi il riso di una sconfitta (di rapporti, di idee e di vita familiare).
L’umiltà di chi parte ha il volto arrabbiato, scontroso e ignorante di un Martin qualsiasi; ma la postura narrativa è non solo scrivere il reale ma di renderlo utile.
Luca Marinelli(Martin Eden): è scomposto, stralunato, corposo, assente e scostante; il vivo attento tra un guizzo poetico e una cultura che non arriva a nessuno; intenso e vibrante, quasi costruisce da se il personaggio; tra sogno e realtà, tra delusione cocente e presente solitudine.
Carlo Cecchi (Russ Brissenden): usa la classe teatrale per uno scontro e un dialogo, tra una vita espansa e la morte di ogni pensiero. Messo lì non per caso, mentore per una recitazione costante.
Jessica Cressy (Elena Orsini): tenera, dolce, avvolgente, severa e lontana. Una gracilità che nasconde un desiderio che ha e non sa cogliere.
Fotografia: efficace, intristita, sfocata, in filigrana, piatta e piena di cenere con brace.
Musica: variopinta e scostante, generosa e con canzoni ‘dialettali’ (come non riconoscere ‘Voglia 'e turnà” con la voce di Teresa De Sio)
Regia diPietro Marcello: documentata, sativa, misurata e intensa; quando la passione si commisura con la forza di un quadro in movimento.
Voto: 8½/10 (****) -cinema implosivo-
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solveig
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sabato 7 settembre 2019
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occasione sprecata
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Per prima cosa, non posso non sottolineare una scorrettezza artistica evidente : se si scrive “liberamente tratto da “ allora per coerenza si deve cambiare titolo, mettere “Martin Eden - Liberamente tratto da Martin Eden” è un po' come volere tutti i vantaggi di trarre un film da un libro, senza sopportarne i rischi. Come la scelta di trasporre il libro a Napoli, niente da dire, ma allora chiamiamolo Gennaro; scusate ma sentire” Ao Martin Eden guagliò” proprio no eh...Di che stiamo parlando: di un romanzo che non è solo un romanzo, di uno di quei libri memorabili e unici, che segnano la vita e l'immaginario di chiunque lo legga, una storia meravigliosa, potente, tragica , infinitamente piena di verità, sentimento, capacità di arrivare al senso ultimissimo delle cose e della vita.
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Per prima cosa, non posso non sottolineare una scorrettezza artistica evidente : se si scrive “liberamente tratto da “ allora per coerenza si deve cambiare titolo, mettere “Martin Eden - Liberamente tratto da Martin Eden” è un po' come volere tutti i vantaggi di trarre un film da un libro, senza sopportarne i rischi. Come la scelta di trasporre il libro a Napoli, niente da dire, ma allora chiamiamolo Gennaro; scusate ma sentire” Ao Martin Eden guagliò” proprio no eh...Di che stiamo parlando: di un romanzo che non è solo un romanzo, di uno di quei libri memorabili e unici, che segnano la vita e l'immaginario di chiunque lo legga, una storia meravigliosa, potente, tragica , infinitamente piena di verità, sentimento, capacità di arrivare al senso ultimissimo delle cose e della vita. E di una storia d'amore come poche ne sono state raccontate.
In questo contesto il film ci consegna una regia stanca e dimessa, incapace di costruire i passaggi narrativi con chiarezza e credibilità, infarcita di errori alle volte inspiegabili, facendo fare a Martin Eden spesso la figura della macchietta ( il pubblico in sala ha riso spesso, e questo, in una storia,cosi, non è accettabile). Tutta la parte relativa a rapporto di Martin Eden ( che è poi l'alter ego di London) con Spencer e il socialismo, è trattato in modo confuso e fuorviante; la storia d'amore con Elena ( Ruth nel romanzo ) che nel libro ha un ruolo grandissimo e commovente (come dimenticare il suo “morire per lei...si, morire per lei..”) è appena abbozzata e mai sviluppata a dovere.
Non mi ha nemmeno convinto il passaggio di Eden alla notorietà: di punto in bianco lo vediamo in una palazzo lussuoso, con la segretaria, il viso stravolto e l'atteggiamento da star disincantata con le occhiaie da drogato, una sorte di via di mezzo tra Scarface e un borghese annoiato, ma senza essere stati resi partecipi, intimamente, del suo percorso di trasformazione. Bella, oggettivamente, la scena in cui rifiuta il tentativo di riavvicinamento, interessato, della ragazza: lì il protagonista raggiunge livelli di disperata intensità. Ma il finale veramente mi ha deluso: nel film il protagonista, subito dopo aver rifiutato al ragazza, si uccide, ma nel libro -ed è il nocciolo della tragicità della storia - Martin Eden, disilluso dalla falsità del mondo borghese, tenta la carta del ritorno all'indietro: lascia tutto e si imbarca come semplice marinaio in una barca verso i mari del sud, vuole tornare a essere quello di una volta, eppure, al contatto con il mondo popolare delle origini, scopre con sgomento che non è più uno dei loro e anzi ne viene rifiutato, perchè , volente o nolente, nel frattempo si è acculturato, ha studiato, in altre parole, è un Altro.
Questa impossibilità di tornare indietro, questo essere straniero ovunque, tra i borghesi come tra i proletari, è lo scacco definitivo della sua vita, e allora decide per il suicidio.Avere sorvolato su questo aspetto è, a mio avviso , un peccato imperdonabile del regista, perchè toglie il cuore pulsante della storia.Per quanto concerne gli attori, Marinelli è indubbiamente assai bravo, la ragazza, pur fotogenicamente molto espressiva, ha una voce davvero inascoltabile.Con un po' di lavoro e attenzione in più, credo, si sarebbe potuto fare un lavoro assai migliore. Peccato.
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[+] proprio napoli
(di kimkiduk)
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[+] martin a napule'
(di giannaccio)
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vanessa zarastro
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sabato 7 settembre 2019
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arrivismo e individualismo
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Presentato in questi giorni al Festival di Venezia, il film “Martin Eden” è una trasposizione della vicenda narrata da Jack London nel suo omonimo romanzo, trasposta in Italia nel golfo partenopeo, in un periodo pre-bellico non esattamente precisato, perché in alcuni punti ci sono la televisione e la macchina da scrivere Olivetti e si vedono alcuni edifici costruiti palesemente negli anni ‘50/’60 che si alternano alle immagini degli anni Dieci e Venti con i vestiti da primi del Novecento, in altri punti sono mostrate le truppe fasciste. Tutte queste immagini, come fossero paesaggi, rappresentano le variazioni nella storia di un uomo che si fa da sé.
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Presentato in questi giorni al Festival di Venezia, il film “Martin Eden” è una trasposizione della vicenda narrata da Jack London nel suo omonimo romanzo, trasposta in Italia nel golfo partenopeo, in un periodo pre-bellico non esattamente precisato, perché in alcuni punti ci sono la televisione e la macchina da scrivere Olivetti e si vedono alcuni edifici costruiti palesemente negli anni ‘50/’60 che si alternano alle immagini degli anni Dieci e Venti con i vestiti da primi del Novecento, in altri punti sono mostrate le truppe fasciste. Tutte queste immagini, come fossero paesaggi, rappresentano le variazioni nella storia di un uomo che si fa da sé.
Martin è un marinaio che ha iniziato a salpare a 11 anni, e salva da un pestaggio Arturo, un giovane rampollo di buona borghesia. Così lui lo invita a sua casa dove conosce la sorella Elena (interpretata da Jessica Cressy) e della quale si invaghisce, e tutta la sua famiglia. Rimane affascinato da tutto, dalla raffinatezza, dalla cultura, non ha mai visto da vicino un quadro, non ha mai visto tanti libri, non ha mai ascoltato un concerto a pianoforte. Elena è rappresentata come una ragazza studiosa così tanto acculturata da parlare con l'accento francese.
Immediatamente Martin sente fortemente di voler far parte di quel mondo e la raffinata ragazza diventa, non solo la sua ossessione amorosa, ma il simbolo dello status sociale cui Martin ambisce. Elena gli presterà dei libri di grammatica e i romanzi da leggere, così Martin si butta nella lettura e nello studio in modo martellante. Rimane particolarmente affascinato da Edmund Spenser, poeta britannico di modeste origini, e alla fine, si compra una vecchia macchina da scrivere e comincia a comporre poesie, poi a scrivere racconti.
Elena lo segue nei suoi progressi, ma continua a suggerirgli di iscriversi a scuola di riprendere lì da dove aveva interrotto (alle scuole elementari).
Sembrerebbe che ognuno sia artefice del proprio destino, che tempo e volontà possano ribaltare condizioni avverse, che duro lavoro e abnegazione vengano premiati. Purtroppo non è così semplice, Martin si deve anche mantenere e ha anche un brutto carattere: viene allontanato da casa dal cognato con cui si rifiuta di lavorare, trova ospitalità in campagna da una giovane e paffuta vedova (Carmen Pommella) che vive con i suoi due bambini e che si prenderà cura di lui. I suoi manoscritti inviati a varie case editrici sono immancabilmente rispediti al mittente.
Martin incontrerà un personaggio-chiave Russ Brissenden (Carlo Cecchi), che diventerà in qualche misura suo mentore, spingendolo ad abbracciare la fede nel socialismo. Senza voler entrare troppo nel racconto dettagliato, Russ lo condurrà a riunioni sindacali e politiche con le bandiere rosse, ma Martin ha fede solo in se stesso e nel valore dell’individuo.
Stacchi con primi piani simbolici, sono alternati alle varie scene, ai flash back e ai film di repertorio, come ad esempio un pezzo dell’anarchico Errico Malatesta durante la manifestazione a Savona del 1° maggio 1920. Sono i pensieri e i desideri di Martin, è il suo universo, affascinato dalla cultura borghese all’inizio, ma sempre più disgustato da essa a mano a mano che la raggiungerà. Belle sono le ricostruzioni ambientali dell’inizio del Novecento e notevole è l’armoniosa colonna sonora.
Devo confessare che non ho una particolare simpatia per Luca Marinelli perché è un attore che recita sempre sopra le righe, sempre esagerato, ma sono andata a vedere lo stesso questo film perché pensavo fosse più sobrio interpretando una parte che credevo più positiva rispetto alle sue solite - come ad es. lo zingaro in “Jeeg Robot” del.
Purtroppo mi sbagliavo. Per due terzi del film, in effetti, è così ed ero contenta di ricredermi, ma poi da quando Martin Eden raggiunge il successo, il “mostro” che è in lui fuoriesce con tutta la gigioneria di cui lui è capace. Trasmette un’incredibile antipatia per il suo personaggio, recita urlando e il film, a mio aviso, si rovina sul finale.
Il regista, alla sua prima opera di fiction dopo tanti validi documentari, ben rappresenta il senso dell’ideologia che infuocava gli animi nel secolo scorso, il ruolo della cultura di massa, il rapporto tra individuo e società, tra socialismo e individualismo, fino alla lotta di classe e all’ipocrisia di certi ambienti.
Riferendosi al libro di Jack London così spiega lo stesso regista insieme al co-sceneggiatore Maurizio Braucci: «Il romanzo degli autodidatti e di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione, restandone in parte deluso - e anche - il ritratto di un artista di successo che smarrisce fatalmente il senso della propria arte».
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(di fabiofeli)
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lbavassano
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venerdì 6 settembre 2019
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l'importanza del tradimento
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È così che il cinema può nutrirsi proficuamente della letteratura, tradendola, violentandola, per donare nuova vita al senso più profondo della scrittura, traducendo la forza delle parole in quella della immagini. È in ciò che Pietro Marcello conferma il proprio straordinario talento, donando profondità alla storia, amplificandola, accostando materiali diversi, visivi, ma anche sonori, proseguendo nella ricerca stilistica che già ci aveva stupito ed emozionato in quel capolavoro inarrivabile che resta "La bocca del lupo"
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