ashtray_bliss
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giovedì 15 agosto 2019
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vinterberg narra la tragedia del kursk.
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C'è tanta convinzione ma anche sentimento nel film di Vinterberg, poca poetica, retorica o eloquenza e molta voglia di raccontare i fatti, altamente drammatici, realmente accaduti con un tono asciutto, realistico e verosimile. Spinto forse da un bisogno di denunciare, in un certo senso, quella politica spesso legata da vincoli ideologici che devia l'opinione pubblica, mistifica e occulta la verità e le criticità usando un linguaggio comunicativo volutamente vago e neutrale ed evitando dirette e nette prese di posizione. Una politica che si delinea criminalmente apatica di fronte allo svolgersi di una lenta ma probabilmente evitabile tragedia umana che pagarono con la propria vita a ben 118 persone.
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C'è tanta convinzione ma anche sentimento nel film di Vinterberg, poca poetica, retorica o eloquenza e molta voglia di raccontare i fatti, altamente drammatici, realmente accaduti con un tono asciutto, realistico e verosimile. Spinto forse da un bisogno di denunciare, in un certo senso, quella politica spesso legata da vincoli ideologici che devia l'opinione pubblica, mistifica e occulta la verità e le criticità usando un linguaggio comunicativo volutamente vago e neutrale ed evitando dirette e nette prese di posizione. Una politica che si delinea criminalmente apatica di fronte allo svolgersi di una lenta ma probabilmente evitabile tragedia umana che pagarono con la propria vita a ben 118 persone. Padri, figli, mariti, marinai, cittadini abbandonati, letteralmente, dallo Stato, quello stesso Stato che servivano diligentemente e per il quale alla fine sono morti.
Vinterberg decide giustamente di non seguire il sentiero dei filoni catastrofici americani e di non puntare sugli effetti speciali e la spettacolarizzazione della tragedia umana che inevitabilmente porta con sè aspetti di ricatto morale, ma appropriandosi della storia sceglie di raccontarla in modo coerente e veritiero da più punti di vista: quello dei marinai sopravvissuti e in attesa di salvataggio, quello delle famiglie a terra in attesa di chiarimenti, notizie, aggiornamenti sulla situazione dei loro cari e quello dei politici e militari, russi ed europei che collaborarono nelle missioni di ricerca e soccorso nel tentativo di evitare quella che sarebbe divenuta una delle più tragiche perdite di vite all'alba del 21o secolo.
Vinterberg opta per una ricostruzione fedele ai fatti realmente accaduti, benchè adattata dal romanzo A Time to Die, e dotata di un senso di grande rispetto nei confronti di chi quel dramma lo ha vissuto e vi è morto, ma è sopratutto motivato, spinto dalla voglia di evidenziare come la tragedia del Kursk non fosse solo un mero avvenimento nefasto, un tragico incidente di quelli che sin troppo spesso accadono, ma il risultato di una serie di scelte sbagliate. Scelte, ritardi, tentennamenti da parte del governo, e per estensione di uno stato, fallimentare che attuò coscientemente una politica di mistificazione e si mobilitò troppo tardi e con troppo pochi mezzi a disposizione. E' il racconto di un'ego smisurato, quello di una politica e nazione intera, che preferisce seppellire nel profondo del mar di Barents i suoi uomini piuttosto che ammettere le proprie debolezze organizzative, amministrative, decisionali nonchè il fatto di non disporre di attrezzature ed equipaggiamento adeguato a quel particolare tipo di soccorso. Infatti, entrambi i tentativi russi di agganciare il vascello fallirono miseramente mentre il mondo intero guardava verso la Russia col fiato sospeso e con mal riposta speranza in attesa di un soccorso a lieto fine che non arrivò mai. Gli aiuti, o almeno le proposte, non sono tardate ad arrivare da GB e Norvegia ma hanno dovuto affrontare il muro invalicabile della Russia, la sua ostinazione a voler fare tutto da sola, a non piegarsi o abbassarsi agli occidentali ed accettare il loro prezioso aiuto. E quando politici e militari capirono di non aver altra scelta era ormai troppo tardi, la pagina nera della storia era già stata scritta.
Il film in questione funge quindi fa da conduttore per trasmettere tutta la rabbia, lo sdegno, l'incredulità del mondo, e delle famiglie delle vittime personalmente coinvolte, davanti all'inefficienza e alla mistificazione portata avanti dal governo russo ma è anche un valido conduttore di emozioni (positive e costruttive), dinamiche famigliari che poco hanno da spartire coi gelidi salotti di militari e comandanti.
Kursk di Vinterberg mette al centro il sentimento e l'emozione umana scaturita sopratutto dal senso di appartenenza ad una famiglia e ad un stretto, quasi fraterno, gruppo di amici e colleghi coi quali resta accesa quela fievole luce di umanità e speranza che caratterizza il genere umano. I legami tra padre e figlio, tra marito e moglie, la solidarietà e lo humor tra compagni in grado di alleggerire la tensione e il dramma sono i veri pilastri sui quali fa leva Kursk anche se bisogna ammettere che non sempre riesce a connettere sul piano empatico protagonisti e spettatori, nemmeno durante i momenti salienti della pellicola. Ma non c'è nulla da ridire riguardo la messa in scena, ineccepibile, del dramma che si consuma sullo schermo. Dalle riprese adeguatamente claustrofobiche all'interno degli angusti spazi del sottomarino nucleare, al momento dell'esplosione che lo affondo nel mar di Barents, fino alla rappresentazione umana e verosimile delle dinamiche all'interno del piccolo gruppo di superstiti (23 in tutto) in attesa del salvataggio e della loro personale lotta per la sopravvivenza. Ben calibrate sono anche le scene e le dinamiche all'esterno del sottomarino e specialmente quelle che vedono militari e capi della marina coordinarsi, scontrarsi, discutere sul da fare. Meno incisive, le sequenze che vedono mogli e parenti delle vittime, indignate dal trattamento, dalla mancanza di rispetto e mistificazione della verità da parte degli emissari governativi.
Nel complesso si tratta quindi di un'opera curata, una ricostruzione storica fedele agli eventi e rispettosa nei confronti di vittime e parenti, un film ambizioso ma non sensazionalistico che trova la sua forza narrativa non nella spettacolarizzazione del dramma come avviene spesso nei disaster movie d'oltreoceano, ma nella denuncia, seppur velata, di quel impasse e stallo governativo e burocratico che pregiudicò il coordinamento delle operazioni di salvataggio e fece perdere tempo prezioso ale nazioni che si offrirono volontarie per trarre in salvo i marinai nel minor tempo possibile. I contrattempi e la lentezza della macchina statale, nonchè l'ego accecante di una nazione tanto grande quanto piegata dalla crisi economica e incapace di adempiere i suoi doveri fecero in modo che si scrivesse l'ennesima pagina nera della storia. Una sconfitta umana e nazionale che resta nell'immaginario collettivo come una colpa imperdonabile sulla coscienza di freddi burocrati e militari.
Empaticamente il film non riesce sempre nel suo intento, e non ci sente mai pienamente coinvolti nel dramma che si consuma sullo schermo e che tragicamente emula quello vero, ma visivamente e narrativamente si tratta di un solido prodotto che corre su due binari paralleli, quello subacqueo e quello sulla terra ferma, dove in entrambi i sensi corrono sentimenti ed emozioni che variano dalla speranza alla rabbia, dall'angoscia alla rassegnazione per quella che poteva essere una tragedia mancata ma non fu. Un film imperfetto forse, ma doloroso e necessario per mantenere viva la memoria collettiva.
Da vedere per ricordare, per non dimenticare. Voto: 2,5/5.
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[+] fedele e rispettosa trasposizione della tragedia
(di antonio montefalcone)
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angelo umana
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giovedì 7 settembre 2023
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uniti fino alla fine
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Bambini festanti e spose che salutano la partenza per un'esercitazione del sommergibile a propulsione nucleare K-141 Kursk e in grado di lanciare missili a testata nucleare, orgoglio della nazione, che riprende il mare in agosto del 2000 dopo 10 anni di cantiere. Scena di giubilo, navi e sirene che lo accompagnano per un viaggio, orgoglio del Paese che lo aveva varato anni prima e che voleva mostrare la propria forza e capacità tecnologica, apparentemente all'avanguardia ma solo mostrata al mondo esterno. La sera prima della partenza c'era stato un matrimonio tra un marinaio e la sua fidanzata, canti di giubilo e bevute di valorosi soldati, 107 in tutto tra ufficiali e marinai si imbarcarono per l'impresa (“uniti fino alla fine” è scritto nel manifesto del film).
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Bambini festanti e spose che salutano la partenza per un'esercitazione del sommergibile a propulsione nucleare K-141 Kursk e in grado di lanciare missili a testata nucleare, orgoglio della nazione, che riprende il mare in agosto del 2000 dopo 10 anni di cantiere. Scena di giubilo, navi e sirene che lo accompagnano per un viaggio, orgoglio del Paese che lo aveva varato anni prima e che voleva mostrare la propria forza e capacità tecnologica, apparentemente all'avanguardia ma solo mostrata al mondo esterno. La sera prima della partenza c'era stato un matrimonio tra un marinaio e la sua fidanzata, canti di giubilo e bevute di valorosi soldati, 107 in tutto tra ufficiali e marinai si imbarcarono per l'impresa (“uniti fino alla fine” è scritto nel manifesto del film).
Poi la partenza, ogni marinaio al suo posto … istruiti, competenti, preparati. Da soli in fondo al mare, uno scoppio devastante, qualcosa non ha funzionato: il disastro. Comincia la loro lenta agonia malgrado tutti i tentativi dei marinai stessi, e quelli di riportarlo in superficie da parte di un sottomarino norvegese di salvataggio che però non lo riesce ad agganciare. E' la Russia, e guarda caso c'era già Putin, divenuto presidente in marzo del 2000 (chissà se con Gorbacev o perfino con Eltsin le cose sarebbero andate così).
Sulla terraferma tra i familiari ignari si spargono le prime voci dell'incidente, non confermate apertamente dagli alti ufficiali della marina e dalle autorità, solo risposte né chiare nè veritiere, “segreti di stato”, segreti su un disastro da celare di fronte alle altre nazioni. La Gran Bretagna, la Francia, gli Usa si offrono per aiutare la riemersione coi loro mezzi, ma nessun intervento è accettato dai comandi russi: il Kursk sembra un grosso animale “insabbiato” a 108 metri in fondo al mare di Barents, situato nel mar Glaciale Artico a nord della Norvegia e della Russia.
Colin Firth nella parte di un ammiraglio americano che offre i suoi aiuti, declinati, Thomas Vinterberg il regista (Il Sospetto e Festen sono altri suoi film molto apprezzati), Matthias Schoenaerts recita la parte del marinaio più coraggioso tra le vittime (nella realtà questo fu Dimitry Kolesnikov che riuscì a lasciare messaggi scritti, poi ritrovati, nel sommergibile allagato e buio), Léa Seydoux nella parte di sua moglie. Il loro bambino, che appare ad inizio del film-documento mentre prova quanto tempo riesce a stare sott'acqua, e che rifiuterà gli omaggi di qualche generale perché il papà non può più tornare.
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