cinefoglio
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venerdì 25 gennaio 2019
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istantanea di se la strada potesse parlare
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Una lunga e lenta passeggiata, mano nella mano, sotto un cielo di colori autunnali, dove il cuore di uno è velo per l’altra, quando gli occhi non indagano il profondo ma semplicemente guardano, un contatto visivo costante che sussurra fiducia incondizionata.
Se la Strada Potesse Parlare è uno di quei film che, in sospeso in un dramma familiare, pennellano ed accarezzano la visione con una storia d’amore semplice, tanto essenziale quanto il contesto in cui prende vita.
Tra fotografie storiche alla Spike Lee, estremizzazioni cristiane ed una clandestinità a cielo aperto, Barry Jenkins (che ci deliziò con il suo Moonlight già tre anni fa), ci descrive una rarefatta Harlem, dove la rivendicazione sociale, ancorché politica, è tanto presente da contagiare una giovane coppia, il cui unico errore fatale è stato difendersi da un assalto mentre compravano delle sigarette.
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Una lunga e lenta passeggiata, mano nella mano, sotto un cielo di colori autunnali, dove il cuore di uno è velo per l’altra, quando gli occhi non indagano il profondo ma semplicemente guardano, un contatto visivo costante che sussurra fiducia incondizionata.
Se la Strada Potesse Parlare è uno di quei film che, in sospeso in un dramma familiare, pennellano ed accarezzano la visione con una storia d’amore semplice, tanto essenziale quanto il contesto in cui prende vita.
Tra fotografie storiche alla Spike Lee, estremizzazioni cristiane ed una clandestinità a cielo aperto, Barry Jenkins (che ci deliziò con il suo Moonlight già tre anni fa), ci descrive una rarefatta Harlem, dove la rivendicazione sociale, ancorché politica, è tanto presente da contagiare una giovane coppia, il cui unico errore fatale è stato difendersi da un assalto mentre compravano delle sigarette.
L’intera vicenda si articola intorno al giovane ventiduenne “Fonny”, a cui da la vita Stephan James, e ad una aggraziata quanto resiliente “Tish”, interpretata da KiKi Layne. Una storia di coppia il cui arco trova origine nell’ingenuità dell’infanzia che, poco a poco, subisce un'evoluzione dettata dal destino, nella semplice affermazione di un sentimento che è sempre stato lì in attesa, e che dovrà aspettare aldilà di un vetro per parecchio tempo ancora.
L’intero film ci suggerisce due approcci essenziali: uno legato agli accadimenti del presente, (forse un po’ artefatti), del “tener duro” e della lotta contro un’ingiustizia senza fondamenti, ma inevitabile quanto il compromesso (non solo nella qualità dei dialoghi) con la quale si scenderà a patti; il secondo, immancabilmente più trasportante, racconta (o quasi suggerisce), in un tempo e in un colore “antecedente”, la purezza e la veridicità dell’amore, la nascita (o la sua consapevolezza) e le tappe fondamentali, incorniciate in primi piani pittorici, con un velluto musicale degno della nomination.
La pellicola nella sua interezza si dimostra godibile ed apprezzabile, difficile da digerire nelle sequenze più discorsivo, ma appagante nel momento in cui il testo cede il posto alla toccante colonna sonora di Nicholas Britell e ai monologhi visivi.
Un’opera che sfugge nella comunicazione verbale, ma che si installa nel ricordo sensoriale in modo irremovibile, diretto da una narrazione quanto mai dinamica e vorticosa ma mai frenetica ed impaziente.
24/01/2019
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[+] un cinema elegante e di grande impegno civile
(di antonio montefalcone)
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michelecamero
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domenica 3 febbraio 2019
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c'è sempre un sud più a sud di un altro sud.
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C’è sempre un SUD più a Sud di un altro SUD. Sembra questa infatti la lezione che si potrebbe ricavare da questo bel film che mi sento di consigliare pur nella consapevolezza che avrà pochi spettatori. Mi pare infatti di ascoltare già le osservazioni più superficiali che gli verranno mosse: buio, lento, triste, con troppi primi piani soprattutto dei due protagonisti, riscattato tuttavia da belle musiche di atmosfera, quelle giuste per un certo genere di pellicola! Tratto da un romanzo di James Baldwin scrittore afroamericano fra i più noti sostenitori delle rimostranze della gente di colore, il film ne mutua i toni di denuncia e rivendicazione con uno sguardo pessimista e sfiduciato ed un finale in fondo da perdenti.
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C’è sempre un SUD più a Sud di un altro SUD. Sembra questa infatti la lezione che si potrebbe ricavare da questo bel film che mi sento di consigliare pur nella consapevolezza che avrà pochi spettatori. Mi pare infatti di ascoltare già le osservazioni più superficiali che gli verranno mosse: buio, lento, triste, con troppi primi piani soprattutto dei due protagonisti, riscattato tuttavia da belle musiche di atmosfera, quelle giuste per un certo genere di pellicola! Tratto da un romanzo di James Baldwin scrittore afroamericano fra i più noti sostenitori delle rimostranze della gente di colore, il film ne mutua i toni di denuncia e rivendicazione con uno sguardo pessimista e sfiduciato ed un finale in fondo da perdenti. Ci viene raccontata una storia che vede protagonisti due ragazzi di colore che si conoscono da sempre e da sempre hanno saputo di essere innamorati coltivando il sogno di una loro famiglia felice e per bene. Il sogno viene interrotto dalla stupidità, l’arroganza, l’odio di un poliziotto bianco disposto ad accuse false pur di far male ad un negro, sapendo di farla franca, perché i neri non hanno abbastanza denaro per potersi difendere, né possono contare su giudici ben disposti e/o almeno culturalmente onesti. Alla fine, per ridurre i danni ai minimi termini, devono accettare il carcere, con tutte le sue brutture, assumendosi colpe per reati mai commessi per i quali patteggiano nella speranza di uscire prima e vivere uno scampolo di vita secondo i programmi precedenti. Sanno tuttavia che non sarà più come prima, nonostante, come nel caso della storia raccontata sullo schermo, la forza del sentimento non li abbia mai abbandonati. La vicenda è ambientata negli anni ’60 e ci si chiede se qualcosa sia cambiato, nutrendo dubbi al proposito dinanzi alle immagini televisive di campioni di colore del football americano che, in segno di protesta, all’inno nazionale si inginocchiano invece che impettirsi sull’attenti. Strano Paese gli USA, esportatori di democrazia nel mondo, ma che fanno fatica a riequilibrare la propria società in termini di giustizia, equità e parità razziale. D’altro canto però consentono anche che qualche bravo regista afroamericano, come appunto Jenkins, cresca e faccia di questi film. Non siamo tutti uguali, nemmeno all’interno del SUD del Mondo!
MiCam
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gabriella
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domenica 24 febbraio 2019
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ballata soul
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Subito dopo la visione del film, mi sono detta, che finché esisterà un’ingiustizia cieca, un’ignobile intolleranza e un meschino ingranaggio che crea vittime innocenti, la bellezza non basterà a salvare il mondo. Anni 70, quartiere di Harlem, Tish e Alonzo sono due giovani che si amano e vogliono costruirsi un futuro insieme, lei ha scoperto di essere incinta, ma il destino avverso incastra il ragazzo con la falsa accusa di stupro ai danni di una donna bianca, dimostrare la propria innocenza sarà un’impresa impossibile. La bellezza cui ho accennato è dominante nel lavoro di Barry Jenkins, tutto il film è inondato della bellezza dei due protagonisti, della loro purezza , della loro innocenza e della loro semplicità, ma sopratutto dal loro tenero amore, un amore che ci viene generosamente mostrato in morbidi primissimi primi piani, nella lentezza dei loro gesti, dilatati all’infinito, perché non esiste un futuro per loro, le inquadrature stringono, chiudono su di loro, sul loro spazio tempo, il regista abbraccia i due innamorati ,cerca di proteggerli ,li svela nei loro sentimenti più profondi , mentre il mondo fuori svela la sua cattiveria, i suoi pericoli e la sua bruttezza.
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Subito dopo la visione del film, mi sono detta, che finché esisterà un’ingiustizia cieca, un’ignobile intolleranza e un meschino ingranaggio che crea vittime innocenti, la bellezza non basterà a salvare il mondo. Anni 70, quartiere di Harlem, Tish e Alonzo sono due giovani che si amano e vogliono costruirsi un futuro insieme, lei ha scoperto di essere incinta, ma il destino avverso incastra il ragazzo con la falsa accusa di stupro ai danni di una donna bianca, dimostrare la propria innocenza sarà un’impresa impossibile. La bellezza cui ho accennato è dominante nel lavoro di Barry Jenkins, tutto il film è inondato della bellezza dei due protagonisti, della loro purezza , della loro innocenza e della loro semplicità, ma sopratutto dal loro tenero amore, un amore che ci viene generosamente mostrato in morbidi primissimi primi piani, nella lentezza dei loro gesti, dilatati all’infinito, perché non esiste un futuro per loro, le inquadrature stringono, chiudono su di loro, sul loro spazio tempo, il regista abbraccia i due innamorati ,cerca di proteggerli ,li svela nei loro sentimenti più profondi , mentre il mondo fuori svela la sua cattiveria, i suoi pericoli e la sua bruttezza. La strada, testimone muto e impotente, che conserva i segreti, i baci , le passeggiate sotto la pioggia con il cuore colmo di promesse e di fiducia, che però finiscono lì, su quella strada senza via di uscita. Non è tuttavia un film privo di difetti, nonostante le buone intenzioni, alcuni personaggi sono un po' troppo caricati ( vedi madre e sorelle di Alonzo), l’intervallare con flasback non aiuta la fluidità della narrazione, però è un film in cui non si può non rimanere addolorati, indignati per le cose che non vanno mai nella giusta direzione, nonostante l’impegno, l’onestà, la buona volontà e lo sforzo di un sorriso, nonostante tutto.
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felicity
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lunedì 29 giugno 2020
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impostato, militante e privo di spontaneità
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Quella di Se la Strada Potesse Parlare è una storia tutto sommato semplice, adattata senza grande profondità e visibilmente amputata con l’avvicinarsi del finale.
Nonostante questo, però, i ritmi lentissimi e qualche inspiegabile scelta di montaggio la dilatano decisamente più di quanto sarebbe necessario, lasciando nel metraggio finale almeno una ventina di minuti di troppo.
Se la strada potesse parlare è un film che si smarrisce nella sua stessa foga di puntare il dito, di denunciare a voce alta i soprusi. Alle volte tutto s'incastra perfettamente, altre qualcosa s'inceppa.
I feticci di questo regista ci sono tutti: le palette cromatiche molto insistite, gli intensi primi piani dei protagonisti, un modo molto personale di seguire anche emotivamente i protagonisti con la cinepresa.
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Quella di Se la Strada Potesse Parlare è una storia tutto sommato semplice, adattata senza grande profondità e visibilmente amputata con l’avvicinarsi del finale.
Nonostante questo, però, i ritmi lentissimi e qualche inspiegabile scelta di montaggio la dilatano decisamente più di quanto sarebbe necessario, lasciando nel metraggio finale almeno una ventina di minuti di troppo.
Se la strada potesse parlare è un film che si smarrisce nella sua stessa foga di puntare il dito, di denunciare a voce alta i soprusi. Alle volte tutto s'incastra perfettamente, altre qualcosa s'inceppa.
I feticci di questo regista ci sono tutti: le palette cromatiche molto insistite, gli intensi primi piani dei protagonisti, un modo molto personale di seguire anche emotivamente i protagonisti con la cinepresa. Tutti questi elementi non riescono mai a incastrarsi alla perfezione e, soprattutto nelle fasi iniziali del film, danno un che di posticcio e artificioso al film.
Attori assai bravi, Jenkins gira bene, la storia ha una sua dignità, eppure le premesse non vengono pienamente realizzate.
Se la strada potesse parlare è un po’ moscio, un po’ pastorizzato, non potendo beneficiare su un conflitto reale, giacché né le tensioni familiari né socio-ambientali sono debitamente esplorate, per tacere dei dissidi di coppia.
Tutto è esemplare ma senza allungamento, paradigmatico ma non radicale, insomma, è una via di mezzo.
Rimane un compitino onestamente eseguito, con qualche caduta di stile, qualche oleografia black, qualche momento estatico.
Se la strada potesse parlare conferma Jenkins come cineasta dell’immagine, che ad essa si riferisce e su di essa lavora per raccontare le sue storie: identitarie, sentimentali e politiche, certo, ma sempre scritte nel luogo dell’inquadratura, in un continuo invito alla visione attiva e critica, perché non è dall’enunciazione della storia ma dalla lettura visiva che si accede all’essenza intima di ciò che si sta guardando.
Alla fine, nell’ultimo incontro carcerario, gli amanti sono ancora separati ma l’inquadratura passa fluidamente dall’una all’altro e si allarga in campo medio: le due voci sono ora diventate tre.
Nella ripresa cristallizzata della famiglia c’è la contingenza di un’ingiustizia, ormai introiettata, ma anche una consapevolezza maggiore: quella di un legame, una nuova relazione trina, un sentimento che batte una violenza e lo fa sempre dentro l’immagine.
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