Una lunga e lenta passeggiata, mano nella mano, sotto un cielo di colori autunnali, dove il cuore di uno è velo per l’altra, quando gli occhi non indagano il profondo ma semplicemente guardano, un contatto visivo costante che sussurra fiducia incondizionata.
Se la Strada Potesse Parlare è uno di quei film che, in sospeso in un dramma familiare, pennellano ed accarezzano la visione con una storia d’amore semplice, tanto essenziale quanto il contesto in cui prende vita.
Tra fotografie storiche alla Spike Lee, estremizzazioni cristiane ed una clandestinità a cielo aperto, Barry Jenkins (che ci deliziò con il suo Moonlight già tre anni fa), ci descrive una rarefatta Harlem, dove la rivendicazione sociale, ancorché politica, è tanto presente da contagiare una giovane coppia, il cui unico errore fatale è stato difendersi da un assalto mentre compravano delle sigarette.
L’intera vicenda si articola intorno al giovane ventiduenne “Fonny”, a cui da la vita Stephan James, e ad una aggraziata quanto resiliente “Tish”, interpretata da KiKi Layne. Una storia di coppia il cui arco trova origine nell’ingenuità dell’infanzia che, poco a poco, subisce un'evoluzione dettata dal destino, nella semplice affermazione di un sentimento che è sempre stato lì in attesa, e che dovrà aspettare aldilà di un vetro per parecchio tempo ancora.
L’intero film ci suggerisce due approcci essenziali: uno legato agli accadimenti del presente, (forse un po’ artefatti), del “tener duro” e della lotta contro un’ingiustizia senza fondamenti, ma inevitabile quanto il compromesso (non solo nella qualità dei dialoghi) con la quale si scenderà a patti; il secondo, immancabilmente più trasportante, racconta (o quasi suggerisce), in un tempo e in un colore “antecedente”, la purezza e la veridicità dell’amore, la nascita (o la sua consapevolezza) e le tappe fondamentali, incorniciate in primi piani pittorici, con un velluto musicale degno della nomination.
La pellicola nella sua interezza si dimostra godibile ed apprezzabile, difficile da digerire nelle sequenze più discorsivo, ma appagante nel momento in cui il testo cede il posto alla toccante colonna sonora di Nicholas Britell e ai monologhi visivi.
Un’opera che sfugge nella comunicazione verbale, ma che si installa nel ricordo sensoriale in modo irremovibile, diretto da una narrazione quanto mai dinamica e vorticosa ma mai frenetica ed impaziente.
24/01/2019
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antonio montefalcone
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mercoledì 6 febbraio 2019
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un cinema elegante e di grande impegno civile
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Dopo il successo di 'Moonlight', tre Oscar nel 2017 tra cui miglior film, Barry Jenkins scrive e dirige l'adattamento da James Baldwin, 'If Beale Street Could Talk'. La sceneggiatura è molto dignitosa e interessante, anche se non manca di limiti e debolezze, alternando momenti più efficaci ad altri meno, e l'opera diventa coinvolgente e induce all'immedesimazione soprattutto dalla forza che va vibrare la giusta fusione di dialoghi, musica, assonanze cromatiche e interpretazioni (attori/ici eccellenti, su tutti Regina King). Jenkins torna a guardare alla comunità afroamericana con una notevole dose di realismo e verosimiglianza, riempiendola di atmosfere vagamente incantate e calde, e restando attento a piccolissimi dettagli e particolari (in apparenza anche irrilevanti) soltanto per aprirsi all'universale con grande naturalezza, sensibilità e senso lirico.
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Dopo il successo di 'Moonlight', tre Oscar nel 2017 tra cui miglior film, Barry Jenkins scrive e dirige l'adattamento da James Baldwin, 'If Beale Street Could Talk'. La sceneggiatura è molto dignitosa e interessante, anche se non manca di limiti e debolezze, alternando momenti più efficaci ad altri meno, e l'opera diventa coinvolgente e induce all'immedesimazione soprattutto dalla forza che va vibrare la giusta fusione di dialoghi, musica, assonanze cromatiche e interpretazioni (attori/ici eccellenti, su tutti Regina King). Jenkins torna a guardare alla comunità afroamericana con una notevole dose di realismo e verosimiglianza, riempiendola di atmosfere vagamente incantate e calde, e restando attento a piccolissimi dettagli e particolari (in apparenza anche irrilevanti) soltanto per aprirsi all'universale con grande naturalezza, sensibilità e senso lirico. Notevole è anche la cura compositiva e pittorica della forma e dell'immagine (seppur sfiorando un formalismo estetizzante fin troppo calcolato). Nel complesso, quindi, tra pregi e difetti, rimane in sé un'opera emozionante, che ricalca la scia della precedente pellicola e ne amplifica la portata tematica e il quadro sociale. Un cinema elegante e di grande impegno civile.
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