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lucascialo
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mercoledì 22 agosto 2018
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quando una zona degradata genera mostri
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Matteo Garrone continua a proporre film riusciti, non capolavori, ma convincenti. Nella fattispecie, ci racconta in maniera verosimile (in un quartiere più simile a Ostia e nei giorni nostri) uno dei delitti più efferati della cronaca italiana: la vicenda del canaro della Magliana. Relativa al "canaro" Pietro De Negri, che uccise in maniera efferata il suo aguzzino, l'ex pugile dilettante Giancarlo Ricci nel 1988. Protagonisti del film sono invece Marcello, nel ruolo del canaro, e Simone, ex pugile cocainomane e bullo di quartiere. I due vivono in simbiosi nelle loro avversità, mentre la gente del quartiere è stanca per l'atteggiamento violento e irrispettoso del secondo. Mentre Marcello fa con amore il suo lavoro, ed è affettuosissimo, da padre separato, con la figlia.
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Matteo Garrone continua a proporre film riusciti, non capolavori, ma convincenti. Nella fattispecie, ci racconta in maniera verosimile (in un quartiere più simile a Ostia e nei giorni nostri) uno dei delitti più efferati della cronaca italiana: la vicenda del canaro della Magliana. Relativa al "canaro" Pietro De Negri, che uccise in maniera efferata il suo aguzzino, l'ex pugile dilettante Giancarlo Ricci nel 1988. Protagonisti del film sono invece Marcello, nel ruolo del canaro, e Simone, ex pugile cocainomane e bullo di quartiere. I due vivono in simbiosi nelle loro avversità, mentre la gente del quartiere è stanca per l'atteggiamento violento e irrispettoso del secondo. Mentre Marcello fa con amore il suo lavoro, ed è affettuosissimo, da padre separato, con la figlia. Tra i due però gli equilibri si spezzano, portando alla catastrofe un universo fatto di degrado ed equilibri fragili. Da alcuni anni, la periferia romana e quella napoletana sono costantemente attenzionate dal cinema italiano. Con storie che prendono spunto dai fatti di cronaca. Sebbene questi ultimi finiscano per superare la finzione stessa. Dogman ci mostra egregiamente come un contesto degradato possa trasformare in mostri anche le persone umili. Non c'è alcun happy ending. Solo un finale crudo, senza sconti, definitivo, senza speranze. Pellicola premiata al Festival di Cannes.
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davesan
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giovedì 18 ottobre 2018
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un borghese piccolo, vendicatore
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Una delle caratteristiche tradizionali dei western è lo scenario. Il palco di norma è una cittadina in legno con saloon, locande, bar e parcheggio per cavalli. Anche Dogman è racchiuso quasi tutto in uno scenario a misura di panoramica. Una sorta di tableau vivant attraente per colori e atmosfere. Il fatto che si tratti di un contesto suburbano, considerando il filtro registico, diventa quasi marginale. Pensiamo a come grandi scrittori o registi, abbiano già ritratto realtà periferiche. Arricchendole di poesia, senza mitigarne la durezza. La periferia di Garrone è un palcoscenico da esplorare. All'interno del quadro si raccontano i personaggi. Marcello, proprietario di una boutique per cani, la sua famiglia e i suoi amici.
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Una delle caratteristiche tradizionali dei western è lo scenario. Il palco di norma è una cittadina in legno con saloon, locande, bar e parcheggio per cavalli. Anche Dogman è racchiuso quasi tutto in uno scenario a misura di panoramica. Una sorta di tableau vivant attraente per colori e atmosfere. Il fatto che si tratti di un contesto suburbano, considerando il filtro registico, diventa quasi marginale. Pensiamo a come grandi scrittori o registi, abbiano già ritratto realtà periferiche. Arricchendole di poesia, senza mitigarne la durezza. La periferia di Garrone è un palcoscenico da esplorare. All'interno del quadro si raccontano i personaggi. Marcello, proprietario di una boutique per cani, la sua famiglia e i suoi amici. Poi ci sono i cattivi. Un balordo faccendiere che ruba soldi ai negozianti per comprarsi la coca. Il suo finanziatore e aiutante, sarà, neanche a dirlo, Marcello. Nemici amici, sin quando Simoncino, il balordo, non decide di utilizzare il negozio del Nostro come collegamento per svuotare il locale vicino. Dopo essersi accollato la colpa, Marcello passerà del tempo in prigione, ma alla fine punirà il suo aguzzino. La trama, in questo senso è lineare, ma dentro ci troviamo i sentimenti dei personaggi. Il loro modus di agire con la propria famiglia. Marcello è una persona di buon cuore, così come tutta la comunità. Imprenditori locali, un po’ intrallazzoni, ma alla fine brave persone. Simoncino rappresenta invece l’ala brutale della periferia Romana. Difficilissimo da abbattere, recidivo e prepotente. Una sorta di “Terminator” italico. Definizione che si addice a un individuo terrificante, quanto grottesco. Le scene con la madre lo rendono a tratti, quasi comico. Considerato l’episodio di cronaca cui è ispirato, il lavoro di Garrone tende a sublimare la ferocia. C’è poco di ferino in Marcello. Un uomo esasperato che si abbandona a un gesto estremo, senza rasentare la drammaticità sconcertante de “Un borghese piccolo piccolo”. Apparendo, per questo, abbastanza eloquente da coinvolgere la platea.
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nigel mansell
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sabato 12 gennaio 2019
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dogman di matteo garrone (dic.18)
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La sala del cineforum, dove assisto solitamente alla proiezione serali infrasettimanali, è gestita dalla società operaia di mutuo soccorso. Si respirano sensazioni da carbonari della cultura: ormai, noi appassionati del cinema in sala, saremo costretti a nasconderci nelle catacombe. Alcuni ragazzi di sinistra, fricchettoni, sinistroidi radical chic, tanti professori, che ai tempi della scuola mi parevano inetti ed incapaci ma che ora riconosco come dei veri intellettuali, forse qualche ex combattente. E sono molti gli anziani. Hanno degli sconti particolari, e forse gli conviene venire lì, piuttosto che accendere il riscaldamento a casa. A volte sono rumorosi, non capiscono e devono farse ripetere le battute, o semplicemente si addormentano, e capita che russino pure.
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La sala del cineforum, dove assisto solitamente alla proiezione serali infrasettimanali, è gestita dalla società operaia di mutuo soccorso. Si respirano sensazioni da carbonari della cultura: ormai, noi appassionati del cinema in sala, saremo costretti a nasconderci nelle catacombe. Alcuni ragazzi di sinistra, fricchettoni, sinistroidi radical chic, tanti professori, che ai tempi della scuola mi parevano inetti ed incapaci ma che ora riconosco come dei veri intellettuali, forse qualche ex combattente. E sono molti gli anziani. Hanno degli sconti particolari, e forse gli conviene venire lì, piuttosto che accendere il riscaldamento a casa. A volte sono rumorosi, non capiscono e devono farse ripetere le battute, o semplicemente si addormentano, e capita che russino pure.
Una vecchia, dietro di me, prima dello spegnersi delle luci: Ma è un film di cani? Sì sì ho sentito che ci sono i cani… Ah non è quel film di cani… vabbè!
Mi ha sempre attratto questa storia di qualche decennio fa. Mi ricordo che ne lessi su La Stampa, mentre prendevo il sole al lago. D’estate, i giornali danno molto più spazio alle altre notizie, mettendo finalmente in secondo piano la politica, tanto quei lazzaroni sono tutti al mare a godere di ciò che durante l’anno ci hanno estorto. Penso che fosse l’occasione, per ripercorre i fatti, in quanto il Canaro usciva di galera. Nell’articolo c’era dovizia di tutti i truculenti particolari. Approfondendo poi le cose, scoprì che molto se le era inventato il Canaro, sia perché tossicodipendente, sia per le sue manie di protagonismo, ma anche perché è sicuramente vittima di qualche tara mentale.
Il film è ottimo. La vicenda è stata riportata ai nostri giorni e prende ispirazione dal fatto di cronaca, senza volerne fare una trasposizione puntuale.
Ottima la fotografia del degradato litorale laziale, dei cieli tristi e delle spiagge abbandonate per la stagione invernale, che non fanno che rafforzare la miseria della vita dei protagonisti.
Marcello Fonte, il Canaro, è superlativo. Doveroso il premio di miglior attore vinto a Cannes.
Bravo Garrone a raccontare la vita da vuoti a perdere dei protagonisti, sottomessi nei confronti del bullo del quartiere ma anche della vita stessa, che li premia soltanto con piccole e magre soddisfazioni: la partita a calcetto, il pranzo tra amici in riva al mare…
Il Canaro, prima sottomesso, poi emarginato dalla piccola comunità, vuole trasformarsi in eroe. Così, infine abbattuto l’enorme tiranno, e caricatolo sulle sue spalle come una fiera uccisa ad un safari, vorrebbe riacquistare la fiducia degli amici che gli avevano voltato le spalle. Ma rimane solo, disperato su di una spiaggia deserta, con il suo fatiscente negozio, il suo furgone dipinto a mano, la sua vita da prendere a calci, come una lattina contorta per strada. Solo la graziosa figlia pare essere l’unico aspetto positivo della sua vita maledetta.
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psicosara
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martedì 5 novembre 2019
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il cielo (grigio) in una stanza
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Un uomo che porta il cadavere di un altro uomo come un trofeo, seguito dal suo fedele amico (ormai solo un cane gli è amico), E’ Marcello, con la morte in spalla, che vuole consegnare il suo atto di giustizia agli altri. Intorno a lui la più deserta periferia, palazzi invecchiati e un lido grigio e offuscato. E’ terra di frontiera, una terra di nessuno perché non c’è uno sceriffo che imprigioni il “cattivo” prevaricatore. Il paesaggio in locandina rimanda forse ai paesaggi acquitrinosi di "Blade Runner” ma qui al posto della fantascienza, c’è una vera periferia decrepita, in riva al mare tra un negozio di toilette per cani (‘Dogman’ appunto), una trattoria e un Compro oro.
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Un uomo che porta il cadavere di un altro uomo come un trofeo, seguito dal suo fedele amico (ormai solo un cane gli è amico), E’ Marcello, con la morte in spalla, che vuole consegnare il suo atto di giustizia agli altri. Intorno a lui la più deserta periferia, palazzi invecchiati e un lido grigio e offuscato. E’ terra di frontiera, una terra di nessuno perché non c’è uno sceriffo che imprigioni il “cattivo” prevaricatore. Il paesaggio in locandina rimanda forse ai paesaggi acquitrinosi di "Blade Runner” ma qui al posto della fantascienza, c’è una vera periferia decrepita, in riva al mare tra un negozio di toilette per cani (‘Dogman’ appunto), una trattoria e un Compro oro.
Marcello (Marcello Fonte) è un uomo mite che chiama ‘amore’ qualsiasi cane che accudisce nel suo negozio di toelettatura Dogman. E’ un uomo capace di sentimenti profondi, rivolti in primo luogo alla sua figlioletta Alida (con cui sogna di fare un giorno bellissimi viaggi in mari lontani) e, ovviamente agli animali con cui lavora: li lava, li pettina, si prende cura amorevolmente di loro.
Marcello ha un amico soltanto, il violento Simone (Edoardo Pesce) o Simoncino come lo chiama lui, che è un ex pugile che ama solo la sua moto: il suo carattere prepotente e violento è diventato un problema anche per gli abitanti di un quartiere degradato come quello in cui la vicenda si svolge.
Marcello è talmente ingenuo da acconsentire al piano scriteriato di Simone (rapinare un negozio del vicinato) e da scontare, al suo posto, un anno di galera; poi, una volta uscito di prigione, non può far altro che constatare che l’amico non gli ha riservato né riconoscenza né metà del bottino. Inoltre, l'affetto che tutti in passato gli riservavano, è ormai tramutato in disprezzo, essendo Marcellino considerato un "infame". Scontato un anno di prigione, una volta uscito e tornato al suo lavoro, Marcello si troverà davanti dunque il disprezzo della gente e la strafottente indifferenza di Simone. A quel punto, Marcello si trasforma da vittima a carnefice, ordisce una vendetta su Simone, vorrebbe semplicemente umiliarlo, o meglio farsi chiedere scusa per i patimenti sofferti per causa sua. Ma qualcosa va per il verso sbagliato e Marcello uccide Simone. Così egli pensa di ottenere finalmente il rispetto degli ex-amici (che vede giocare in un campo di calcetto); con uno sforzo sovrumano, portando sulle spalle il pesante corpo semi-carbonizzato di Simone, da esibire come un trofeo a un pubblico plaudente, Marcello potrà finalmente ottenere il suo riscatto. Ma il tutto si rivela come una inutile illusione. Il suo trionfo è circondato da una cornice di puro nulla: deposto il cadavere al centro della desolata piazza deserta, si troverà di fronte soltanto a una disperata e angosciosa solitudine.
Il film Dogman è ispirato al fatto di cronaca nera realmente accaduto a Roma nel 1988: Pietro De Negri, detto il Canaro della Magliana per via dell'attività di toelettatore di cani in via della Magliana 253 salì alla ribalta per il brutale omicidio dell'ex pugile dilettante Giancarlo Ricci.
Il delitto del Canaro, colpì per la sua particolare efferatezza, poiché la vittima, a quanto dichiarò l'assassino stesso, sarebbe stata torturata per ben sette ore prima di essere finita, anche se in seguito l'autopsia smentì questa versione chiarendo che le mutilazioni erano state inferte post-mortem
Matteo Garrone (regista di Dogman) ha rilasciato una dichiarazione sul personaggio che ha voluto raccontare nel suo film: “ … un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente".
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kimkiduk
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martedì 22 maggio 2018
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come pensavo
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Film buono, ma non come viene descritto ed esaltato.
La storia è vera e già mi chiedo come mai se successa negli anni 80 è stata riletta e riportata ai nostri giorni. Liberamente tratta si dice e quindi va bene ma a me non piace.
Il film è decisamente bello scenograficamente ma si notano pecche nella sceneggiatura decisamente "altalenante" senza ricostruire in un crescendo una rabbia scoppiata nella follia (dovuta all'uso di droga).
La Magliana ha acquisito il mare e anche questo può essere opinabile nella ricostruzione libera del fatto.
L'interpretazione "del canaro" se pur importante non ne fa un capolavoro che merita una Palma d'Oro, anche se, per l'attore in sè e per sè, può anche essere meritato.
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Film buono, ma non come viene descritto ed esaltato.
La storia è vera e già mi chiedo come mai se successa negli anni 80 è stata riletta e riportata ai nostri giorni. Liberamente tratta si dice e quindi va bene ma a me non piace.
Il film è decisamente bello scenograficamente ma si notano pecche nella sceneggiatura decisamente "altalenante" senza ricostruire in un crescendo una rabbia scoppiata nella follia (dovuta all'uso di droga).
La Magliana ha acquisito il mare e anche questo può essere opinabile nella ricostruzione libera del fatto.
L'interpretazione "del canaro" se pur importante non ne fa un capolavoro che merita una Palma d'Oro, anche se, per l'attore in sè e per sè, può anche essere meritato. Ma qui il discorso, se di critica si tratta, deve essere cinematografico e sinceramente non mi ha entusiasmato.
Per il resto Garrone sa fare cinema e quindi non è criticabile in questo, ma certamente non posso essere in sintonia con molti che definiscono Dogman un film importante.
Marcello ha qualche cosa di Pasoliniano certo, ma solo qualcosa e il realismo tentato non si avvicina molto al neorealismo.
Da vedere ma non da strapparsi i capelli.
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carlosantoni
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martedì 22 maggio 2018
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fare i conti con la barbarie quotidiana
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Garrone osserva e descrive lo sfascio della nostra società. Uno sfascio sociale, morale, ambientale. La realtà che ci descrive con occhio lucido e senza retorica non è quella pur grave del declino, ma ormai quella di uno stato di decomposizione: non è ammesso nutrire speranza, ogni gioco è fatto ed è irreversibile. E nonostante tutto non c’è catarsi, né possibilità di risarcimento materiale e morale.
Questo il messaggio che traspare dal suo coinvolgente “Dogman”, ma a ben vedere anche dal precedente “Reality”, la cui descrizione della parabola morale e pseudoculturale del nostro vivere quotidiano non è meno disarmante.
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Garrone osserva e descrive lo sfascio della nostra società. Uno sfascio sociale, morale, ambientale. La realtà che ci descrive con occhio lucido e senza retorica non è quella pur grave del declino, ma ormai quella di uno stato di decomposizione: non è ammesso nutrire speranza, ogni gioco è fatto ed è irreversibile. E nonostante tutto non c’è catarsi, né possibilità di risarcimento materiale e morale.
Questo il messaggio che traspare dal suo coinvolgente “Dogman”, ma a ben vedere anche dal precedente “Reality”, la cui descrizione della parabola morale e pseudoculturale del nostro vivere quotidiano non è meno disarmante.
Da molti è stata messa in rilievo l’eccellente qualità della fotografia, ed è vero: quei toni cupi, terragni, sotto un cielo spesso imbronciato e piovigginoso, spesso ancora notturno, esaltano benissimo l’idea del messaggio che Garrone vuol dare; così come l’uso a spalla della mdp, che segue i personaggi, spesso affondando i primi e primissimi piani, coglie appieno l’emotività di certe scene, a volte intensissima.
Notevole e spaesante la location, di massimo degrado urbano, il giusto contesto a un degrado sociale e morale.
Stupenda la scena iniziale, col cane feroce che ringhia ferocemente, in attesa di essere lavato, mentre gli altri cani, nelle loro gabbie, osservano attoniti: metafora della vicenda umana che da lì in avanti verrà narrata. E grande la trovata delle immersioni da sub di Marcello in compagnia di sua figlia: come a dirci che c’è sì ancora un mondo diverso da quello consueto, pieno di squallore, un mondo pieno di bellezza da poter osservare in santa pace: solo che sta sott’acqua, e quasi mai è alla nostra portata, ma che se si vuole, si può provare a raggiungere.
Bravissimo Marcello Fonte, appena premiato a Cannes come migliore attore protagonista, perfetto nell’interpretare il ruolo di un povero borgataro dall’animo semplice e sensibile, costretto a subire infinite angherie e a vivere di un lavoro modesto e di piccoli sotterfugi e illegalità, pur di poter accudire sua figlia e i suoi cani: certe lunghe sequenze sul suo sguardo indifeso (mentre è in guardina sotto interrogatorio, mentre alla fine della storia riflette su ciò che ha appena fatto…) parlano più di cento frasi.
Ma bravissimo anche Edoardo Pesce, nel ruolo imbarazzante e difficile di Simone, l’energumeno violento e amorale, splendidamente truccato da pugile suonato, che sa rendere splendidamente l’idea di un bestione tanto aggressivo quanto privo d’intelligenza.
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michelecamero
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venerdì 1 giugno 2018
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film di contenuti, da vedere.
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Ispirandosi ad un fatto di cronaca realmente accaduto un paio di decenni orsono ed anche più, Garrone ha realizzato un film asciutto, secco, privo persino di commento musicale e con una fotografia quasi incolore tendente al grigio ed al bianco e nero interrotti di tanto in tanto da macchie di coloe (la cromatura della motocicletta del bullo, le maglie del calcetto) che tuttavia non sparano mai lo schermo, non staccandosi dai toni smorzati di cui si è servito per fermare anche visivamente con la storia rappresentata, il degrado di una umanità (chissà quanto consapevolmente) dolente. Un film che per certi versi riporta il cinema ad una delle sue finalità originarie, vale a dire quella di raccontare storie, lasciando allo spettatore il compito di ricostruirle per proprio conto andando al di là delle immagini e della narrazione che gli è stata proposta, facendosi guidare dalla propria sensibilità e dai propri strumenti di lettura per cogliere nei vari personaggi i tratti psicologici, quelli umorali, quelli comportamentali all'interno dello scenario urbano in cui si muovono che qui è uno scenario di degrado, di grande bruttezza e desolazione in cui persino il mare è scuro, di urbanizzazione disordinata, abbandonata, labirintica.
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Ispirandosi ad un fatto di cronaca realmente accaduto un paio di decenni orsono ed anche più, Garrone ha realizzato un film asciutto, secco, privo persino di commento musicale e con una fotografia quasi incolore tendente al grigio ed al bianco e nero interrotti di tanto in tanto da macchie di coloe (la cromatura della motocicletta del bullo, le maglie del calcetto) che tuttavia non sparano mai lo schermo, non staccandosi dai toni smorzati di cui si è servito per fermare anche visivamente con la storia rappresentata, il degrado di una umanità (chissà quanto consapevolmente) dolente. Un film che per certi versi riporta il cinema ad una delle sue finalità originarie, vale a dire quella di raccontare storie, lasciando allo spettatore il compito di ricostruirle per proprio conto andando al di là delle immagini e della narrazione che gli è stata proposta, facendosi guidare dalla propria sensibilità e dai propri strumenti di lettura per cogliere nei vari personaggi i tratti psicologici, quelli umorali, quelli comportamentali all'interno dello scenario urbano in cui si muovono che qui è uno scenario di degrado, di grande bruttezza e desolazione in cui persino il mare è scuro, di urbanizzazione disordinata, abbandonata, labirintica. Un mondo fatto di soprusi subiti o inflitti, cui ad un certo punto ci si ribella singolarmente, nella assoluta mancanza di fiducia nella giustizia ma anche coerentemente con una cultura borgatara e sottoproletaria, nell'intento probabilmente di liberare tutti, non solo se stesso. Un mondo privo del senso vero dell'amicizia, del rispetto, della compassione, pieno di solitudine, quella tenera che lega il "canaro" a tutti i cani (significativa la sequenza in cui, rischiando in proprio, torna sui luoghi del furto eseguito dal bullo con un complice, al solo scopo di salvare una cagnetta), quella che accompagna la strana relazione tra i due protagonisti (senza scomodare per questo la storia del rapporto tra vittima e carnefice), ma anche quella che si intravede avvolgerà tutti i personaggi nel prosieguo delle loro vicende personali. Ci si chiede infatti cosa ne sarà di quel tenero sentimento che lega padre e figlia dopo la consumazione di quanto accadrà. Un film forte, da vedere in cui lo spettatore resta legato alla poltrona per tutta la durata, nel quale Garrone ha avuto l'intelligenza di risparmargli scene cruente in eccesso che non avrebbero aggiuto nulla al senso vero delle sue scelte autoriali.
michelecamero
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lorenzo segre
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venerdì 24 agosto 2018
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audio perfetto, attori impeccabili, fotografia indimenticabile non riescono a risollevare un film che (vuole ?) far star male l'osservatore
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano. Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici. Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona. Ma questa persona perde completamente la sua credibilità quando dopo diverse sottomissioni si trova con il coltello dalla parte del manico ( dalla polizia) dove poteva rinchiudere l'uomo che gli stava distruggendo la vita.
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano. Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici. Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona. Ma questa persona perde completamente la sua credibilità quando dopo diverse sottomissioni si trova con il coltello dalla parte del manico ( dalla polizia) dove poteva rinchiudere l'uomo che gli stava distruggendo la vita. Poteva confessare di tutti i peccati commessi, delle rapine , della droga di 2 (quasi?) assasinii. Ma niente, da quel momento il regista distrugge la sua creazione della debolezza perfetta e la tramuta in demenza. Costui non confessa nessuno dei crimini effettuati dal criminale che sarebbe potuto restare a vita in carcere. Esce e chiede la sua parte del bottino (ripeto da debole a demente, il personaggio non poteva aspettarsi la sua parte vedendo i fatti avvenuti prima). Non riceve i soldi e quindi vuole che il deinquente si scusi ( ma come si fa a credere a una cosa simile? poteva finire in un solo modo da quando lo aveva rinchiuso in una gabbia) Quindi il regista ha creato il demente perfetto con fatica e indecisione, facendo stare male l'osservatore che non riesce ( come potrebbe ) a capire se il protagonista è debole o solo stupido. E quando lo si capisce alla fine del film, il regista chiude il sipario non sapendo che farsene di un personaggio a metà. A metà il debole perfetto, a metà il demente perfetto il tutto con una figlia che sembra ami alla follia ma in realtà è solo un pretesto per far sembrare umana una persona che non ha nulla di umano (tranne una scena per salvare un cane e le riunioni con gli amici al ristorante completamente inutili).
Audio perfetto, attori impeccabili, fotografia indimenticabile non riescono a risollevare un film che (vuole ?) far star male l'osservatore, farlo sentire in colpa. Fa annaspare durante i minuti e rende increduli quanto il personaggio da debole diventa demente. E se cercate di stare male o provate piacere nel vedere un uomo che non riesce a parlare e non riesce ad agire come se fosse legato allora questo è il film per voi.
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markwillis
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lunedì 28 maggio 2018
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furba messinscena per ingenui
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Che una storia possa essere compassionevole, nulla da eccepire. Che dai un premio del genere ad una figurazione speciale, altra storia. Che la Giuria potesse essere o non essere al corrente dei fatti di cronaca, non cambia il fatto su come la Rai possa aver barattato le candidature per ovvi interessi di mercato, dati i pacchetti non indifferenti in un bacino come Cannes. A questo punto, nonostante si trasponga una storia, seppur toccante ma del tutto incoerente per contesto (Castelvolturno) e riferimenti alle funzioni, non so come, catalogate come contemporanee (in quella fogna, solo lui lo sa), al massimo premi la Regia o la fotografia, tanto per accontentare l'azienda.
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Che una storia possa essere compassionevole, nulla da eccepire. Che dai un premio del genere ad una figurazione speciale, altra storia. Che la Giuria potesse essere o non essere al corrente dei fatti di cronaca, non cambia il fatto su come la Rai possa aver barattato le candidature per ovvi interessi di mercato, dati i pacchetti non indifferenti in un bacino come Cannes. A questo punto, nonostante si trasponga una storia, seppur toccante ma del tutto incoerente per contesto (Castelvolturno) e riferimenti alle funzioni, non so come, catalogate come contemporanee (in quella fogna, solo lui lo sa), al massimo premi la Regia o la fotografia, tanto per accontentare l'azienda. La giuria non si chiederà mai, cosa ci faccia ai giorni nostri in un caravanserraglio pasoliniano per muli, mucche e pecore di una ipotetica ed astratta periferia romana, un locale di bulli, un compro oro e un timido toelettatore per la Dudu, demiurgo di un crimine efferato, al quale uno come John Doo di Seven laverebbe i calzini. Solita storia, da un lato il cattivone e dall'altra il tenerone. Sopra l'arena, la volta plumbea che presagisce la minaccia imminente. Bella mossa. Un bel campetto, na corsia per na corsetta in moto e ti saluto. Mica la produzione voleva impazzire, quasi quasi era indecisa se girare a Portopalo o sull'Isola che non c'è. A Ostia ai casamonica nauseano le testate e al Testaccio vige il divieto di transito per i cani sopra i 7 chili, quindi che si fa? Ma chi a Cannes conosce la Magliana com'era nell'80 e com'è adesso? Puoi dirgli che è come la location di Gatto Nero Gatto Bianco e magari ci crede pure. Gli mostri una baraccopoli con uno che va a spasso con quattro cani e una zecca in braccio sotto il temporale, fa lo stesso. Questa è la Magliana e la piazzetta è dove la Banda si dondola sull'altalena, credimi, vengono da Monteverde Vecchio a farsi mettere i bigodini al cane oltre che tosare il gregge al pascolo di un pastore bosniaco in fuga dal 95. Può essere pura astrazione ma, le funzioni devono seguire il passo che l'antropologia culturale segna nel nostro tempo. Garrone ha detto "ai nostri giorni". Che vuol dire? L'astrazione avviene anche in Dogville che raccoglie in se secoli di ipocrisie, pregiudizi e violenze di ogni genere. E Lars ti disegna pure il cane, lo vedi solo alla fine. Allora premi con la Palma il concetto atemporale dello spazio, circoscritto dalle gerarchie vigenti ma, non il solito gergo caratteriale e bloccato dall'ennesima replica seriale da Gomorra ad oggi. Dieci anni...ne abbiamo piene le @@!...E' l'insieme di tutte queste incongruenze a convincermi del fatto che, consegnare ad un caratterista una targa di rilievo nell'albo d'oro di una rassegna rinomata come Cannes, crea solo imbarazzo su cosa sia il mestiere tecnico dell'attore, del suo stesso retroterra e del percorso che dovrebbe ma che non sarà mai all'altezza di intraprendere, percorso ridotto alla prescrizione della ricetta coatta del famigerato degrado, unico pretesto per giustificare il nuovo neorealismo non avendo altre idee da sperimentare sul panorama globale o quanto meno su un tessuto nazionale da revisionare e al servizio di un'industria contemporanea (parolona). Ci si chiederà in seguito come potrà mai quell'attore dar credito in futuro al premio ricevuto attraverso altre prove. Non saprei proprio quali. Lo stesso vale per Pastorelli e molti altri. Non vi è dubbio che Dogman ha molte chances agli Oscar e potrebbe anche vincere. All'Academy in fondo, conoscere i fatti della Magliana o Mafia Capitale non è che gliene freghi più di tanto. Questa è, fine a se stessa, una storia per certi versi struggente, cruda, umana, tutto qui. Ma, vincere come miglior film è una cosa, acclamare un caratterista a livello internazionale che impasta gli stessi sottotitoli, quando uno come Proietti s'è fatto il mazzo in teatro per 50 anni e Palmares sul quale incidono nome come, Volontè, Gassman, Tognazzi, Giannini e Mastroianni, ripeto, è pericoloso per l'intero vivaio. I giovani si faranno l'idea che è tutta questione di culo e curva sud, faticare è inutile.
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giulio andreetta
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mercoledì 22 luglio 2020
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capolavoro di matteo garrone
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Capolavoro di Matteo Garrone, che in questa pellicola mette a nudo una realtà di periferia, relegata ai margini della vita civile, in quel Sud che indubbiamente è al centro dell'interesse estetico del regista (basti pensare anche a Gomorra). Protagonista è un uomo, separato dalla moglie e con una figlia piccola, sui quarant'anni. Gestisce un negozio di toelettatura per cani, che gli consente a malapena di sopravvivere. Per 'arrotondare' accetta di collaborare a qualche furto e allo spaccio di droga, ma un giorno... Un film che riesce realmente a comunicare un senso di claustrofobica desolazione e allo stesso tempo di infinita empatia per le disavventure di questo eroe del quotidiano.
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Capolavoro di Matteo Garrone, che in questa pellicola mette a nudo una realtà di periferia, relegata ai margini della vita civile, in quel Sud che indubbiamente è al centro dell'interesse estetico del regista (basti pensare anche a Gomorra). Protagonista è un uomo, separato dalla moglie e con una figlia piccola, sui quarant'anni. Gestisce un negozio di toelettatura per cani, che gli consente a malapena di sopravvivere. Per 'arrotondare' accetta di collaborare a qualche furto e allo spaccio di droga, ma un giorno... Un film che riesce realmente a comunicare un senso di claustrofobica desolazione e allo stesso tempo di infinita empatia per le disavventure di questo eroe del quotidiano. La sensazione che per certi individui condannati dal destino non possa esistere alcuna via di fuga, ma solo l'esacerbante lacerazione del dolore è suscitata con maestria da Garrone, che si muove completamente a suo agio dietro la macchina da presa. Si tratta di un film che certamente segna una tappa importante nella formazione artistica di questo regista, e che lo pone ad un livello di cinematografia internazionale. Non è tanto la trama in sé a stupire, quanto alcune possibili letture e interpretazioni della pellicola, che però si rendono evidenti solo a visione ultimata. L'attore protagonista, Marcello Fonte, è geniale nel dipingere la timidezza del personaggio, per mezzo di una recitazione meravigliosa. Sottili sfumature caratteriali e psicologiche vengono tratteggiate come meglio non si potrebbe, con intuizioni geniali per quel che riguarda il lavoro dell'attore. Insomma, Dogman è a tutti gli effetti un capolavoro, anche considerando una potente tensione emotiva che si viene a creare gradualmente nello spettatore e l'imprevedibilità di alcune trovate narrative. Buone le prove offerte dagli altri attori.
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