udiego
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venerdì 1 giugno 2018
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dogman
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Matteo Garrone, applauditissimo all’ultimo festival di Cannes proprio grazie a Dogman, si ispira liberamente ad uno dei fatti di cronaca più efferati del nostro paese, il delitto del canaro della magliana. Il regista romano decide però di non basare l’opera sull’aspetto più macabro che caratterizzò questa vicenda: qui non c’è traccia dell’agghiacciante racconto dell’assassino, che spiegò come, prima di uccidere la sua vittima, si fosse divertito ad infliggergli qualsiasi tipo di sevizia e tortura, racconto poi smentito dall’autopsia sul cadavere.
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Matteo Garrone, applauditissimo all’ultimo festival di Cannes proprio grazie a Dogman, si ispira liberamente ad uno dei fatti di cronaca più efferati del nostro paese, il delitto del canaro della magliana. Il regista romano decide però di non basare l’opera sull’aspetto più macabro che caratterizzò questa vicenda: qui non c’è traccia dell’agghiacciante racconto dell’assassino, che spiegò come, prima di uccidere la sua vittima, si fosse divertito ad infliggergli qualsiasi tipo di sevizia e tortura, racconto poi smentito dall’autopsia sul cadavere. Garrone usa invece questo avvenimento per contestualizzare una più ampia veduta del degrado sociale che colpisce alcune zone periferiche del nostro paese. Non c’è futuro nel quartiere di Marcello, solo tristezza e desolazione circondano i vari personaggi, ormai lasciati a loro stessi e completamente abbandonati anche dalle istituzioni.
Garrone riesce a trasmettere questa visione dei fatti, restando fedele ad uno stile narrativo sobrio, capace di non scadere mai nello show, che soprattutto la televisione utilizza nel raccontare vicende di questo tipo. In Dogman i personaggi vengono messi davanti allo spettatore così come sono e, grazie ad un minuzioso lavoro di regia, montaggio e fotografia, riescono ad entrare nella pancia del pubblico. Sono gli sguardi, i silenzi, e le espressioni più che le parole a trasmettere i sentimenti e le emozioni dei vari protagonisti.
L’opera è pervasa da quell’atmosfera di solitudine e desolazione, che riesce a rappresentare nel migliore dei modi la condizione sociale di quei luoghi, dove vige solo la legge del più forte, e per sopravvivere, una volta sopraffatto, non potrai far altro che contare su te stesso e sulle tue forze per avere una possibilità di riscatto. Riscatto che Marcello trova solo nel porre fine alla vita di chi ha tormentato la sua e quella dei suoi amici per tanti anni, senza però accorgersi che ormai da tempo ha oltrepassato il punto di non ritorno ed è rimasto solo con le sue speranze e con i suoi cani.
Per concludere, Garrone dimostra di essere un regista essenziale, capace di interpretare le diverse vicende che va a raccontare in modo diretto, senza perdersi in troppi fronzoli o giri di parole. Dogman è un film che ci parla delle persone, dei loro disagi e delle loro difficoltà, senza mai scadere nella retorica o in facili pregiudizi, mostrandoci fatti cruenti senza far mai completamente perdere quel briciolo di umanità e speranza al povero Marcello.
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fabio
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martedì 10 luglio 2018
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un'altra storia di periferia. convenzionale.
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Ispirato da una storia vera, Garrone racconta un mondo: quello della strada; tuttavia non riesce ad andare in profondità.
Si ferma alla superfice: descrive un microcosmo degradato di periferia: droga, criminalità e tutto il campionario di disumanità possibile.
Non convince l'interpretazione del protagonista, buona invece la prova del coprotagonista nella parte del bullo Simone.
Il tutto risulta abbastanza scontato e meccanico; anche il finale di sapore "onirico" non rialza la media di questo film.
Garrone ha indubbie capacità e merita attenzione per il percorso che sta' compiendo ma forse dovrebbe osare qualcosa in più.
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Ispirato da una storia vera, Garrone racconta un mondo: quello della strada; tuttavia non riesce ad andare in profondità.
Si ferma alla superfice: descrive un microcosmo degradato di periferia: droga, criminalità e tutto il campionario di disumanità possibile.
Non convince l'interpretazione del protagonista, buona invece la prova del coprotagonista nella parte del bullo Simone.
Il tutto risulta abbastanza scontato e meccanico; anche il finale di sapore "onirico" non rialza la media di questo film.
Garrone ha indubbie capacità e merita attenzione per il percorso che sta' compiendo ma forse dovrebbe osare qualcosa in più.
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lorenzosegre
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venerdì 24 agosto 2018
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lento, cupo, sporco.
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano.
Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici.
Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona.
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano.
Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici.
Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona. Ma questa persona perde completamente la sua credibilità quando dopo diverse sottomissioni si trova con il coltello dalla parte del manico ( dalla polizia) dove poteva rinchiudere l'uomo che gli stava distruggendo la vita. Poteva confessare di tutti i peccati commessi, delle rapine , della droga di 2 (quasi?) assasinii. Ma niente, da quel momento il regista distrugge la sua creazione della debolezza perfetta e la tramuta in demenza.
Costui non confessa nessuno dei crimini effettuati dal criminale che sarebbe potuto restare a vita in carcere.
Esce e chiede la sua parte del bottino (ripeto da debole a demente, il personaggio non poteva aspettarsi la sua parte vedendo i fatti avvenuti prima). Non riceve i soldi e quindi
vuole che il delinquente si scusi ( ma come si fa a credere a una cosa simile? poteva finire in un solo modo da quando lo aveva rinchiuso in una gabbia)
Quindi il regista ha creato il demente perfetto con fatica e indecisione, facendo stare male l'osservatore che non riesce ( come potrebbe ) a capire se il protagnista è debole o solo stupido. E quando lo si capisce alla fine del film, il regista chiude il sipario non sapendo che farsene di un personaggio a metà. A metà il debole perfetto, a metà il demente perfetto il tutto con una figlia che sembra ami alla follia ma in realtà è solo un pretesto per far sembrare umana una persona che non ha nulla di umano (tranne una scena per salvare un cane e il parlottare con gli amici al ristorante in ogni caso completame).
Audio perfetto, attori impeccabili, fotografia indimenticabile non riescono a risollevare un film che (vuole ?) far star male l'osservatore, farlo sentire in colpa. Fa annaspare
durante i minuti e rende increduli quanto il personaggio da debole diventa demente. E se cercate di stare male o provate piacere nel vedere un uomo che non riesce a parlare e non riesce ad agire come se fosse legato allora questo è il film per voi.
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flyanto
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lunedì 21 maggio 2018
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un uomo semplice e buono che è costretto a vendica
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"Dogman", del regista Matteo Garrone, è ispirato liberamente alla storia del 'Canaro' della banda della Magliana, l'uomo che verso la fine degli anni '80, alla periferia di Roma, si vendicò di un amico uccidendolo dopo lunghe ed atroci torture. Nel film il personaggio porta il nome di Marcello e, divorziato e con una bambina a cui è molto legato, è titolare di un negozio di toelettatura per cani. Egli é un uomo fondamentalmente solo e buono, amante degli animali, frequenta svariati amici del quartiere periferico e disagiato in cui vive con cui gioca delle partite a pallone e trascorre le serate in discoteca o in qualche locale a bere.
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"Dogman", del regista Matteo Garrone, è ispirato liberamente alla storia del 'Canaro' della banda della Magliana, l'uomo che verso la fine degli anni '80, alla periferia di Roma, si vendicò di un amico uccidendolo dopo lunghe ed atroci torture. Nel film il personaggio porta il nome di Marcello e, divorziato e con una bambina a cui è molto legato, è titolare di un negozio di toelettatura per cani. Egli é un uomo fondamentalmente solo e buono, amante degli animali, frequenta svariati amici del quartiere periferico e disagiato in cui vive con cui gioca delle partite a pallone e trascorre le serate in discoteca o in qualche locale a bere. Tra essi vi è un ex pugile cocainomane e violento che con la sua prepotenza dà parecchio fastidio a tutti. Quando quest'ultimo, dopo innumerevoli soprusi, mette seriamente nei guai il protagonista a seguito di una rapina, Marcello decide di vendicarsi uccidendolo barbaramente.
Tutta la violenza del reale fatto di cronaca avvenuto decenni fa, qui non è rappresentata, pertanto, la pellicola non mostra alcuna immagine eccessivamente raccapricciante e sanguinolenta. Essendo, appunto, liberamente ispirato al fattaccio del 'Canaro', Matteo Garrone ha preso più che altro spunto al fine di raccontare la storia di un personaggio residente in un luogo disagiato ed abitato da persone con una condotta ai limiti , e non , della legalità. Ciò, dunque, che più interessa al regista è descrivere la figura del personaggio di Marcello in sè: un individuo quasi poetico, di indole sicuramente buona, un buon padre di famiglia molto legato alla propria figlia con cui divide il suo amore per gli animali e la comune passione delle immersioni subacquee. Un personaggio che quasi 'stona' nello squallida e povera periferia di non si sa esattamente quale città (non viene specificato) dove regnano solo la desolazione, la violenza ed il crimine. Persona semplice e fiduciosa nel prossimo, ma anche parecchio sola, Marcello verrà ovviamente ingannato da chi è più scaltro, fatto oggetto di svariati soprusi e soprattutto spogliato di ogni suo bene e, cioè, della libertà personale (in quanto dovrà scontare un anno di carcere) e della conseguente possibilità di incontrarsi con la figlioletta, nonchè della sua attività di accudire i cani che, a seguito degli eventi, ne risentirà negativamente. Un ritratto che l'attore Marcello Fonte, almeno sinora poco conosciuto, impersona ottimamente al punto da meritarsi giustamente la Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes in questi giorni dove il film è stato presentato in concorso. Grazie, infatti, alla sua postura di uomo mingherlino quasi indifeso, alla sua parlata semplice e diretta e, soprattutto, alle sue espressioni del viso, degli occhi in particolare che, spalancati come quelli di un bambino ingenuo guardano con stupore gli avvenimenti intorno a lui e si illuminano, invece, quando è al cospetto della figlia, il film, peraltro molto ben girato e fotografato, deve molto del suo valore.
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themoon
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lunedì 28 maggio 2018
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una terra ai confini del buio
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Un'ambientazione così reale da diventare surreale,un protagonista così semplice da diventare complicato.Garrone entra nelle profondità della terra dei fuochi mostrandoci ancora una volta il randaggismo degl'uomini,senza filtri,senza colori,senza effetti,poche parole, solo il volto del degrado attraverso un personaggio inoffensivo e disperato.
Un film che attraversa il contempraneo mondo di pasolini.
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