
Il film di Nadine Labaki ci impone di osservare ciò che accade nel mondo tutti i giorni, sotto i nostri occhi. Da giovedì 11 aprile al cinema.
di Claudia Catalli
Zain è un bambino che ne ha viste troppe. Così tante da voler denunciare i genitori per averlo messo al mondo. Il sottinteso è che nessuno, da quel momento in poi, si è mai occupato di lui. Zain è uno dei bambini che crescono nelle baraccopoli libanesi, nel cuore gli batte la voglia di volersi ribellare a un destino ingiusto. Non sa che allontanandosi di casa finirà peggio, non immagina i terribili incontri che lo attendono, ma è proprio in questo suo candido non sapere che sta tutta l'essenza di un viaggio insieme di formazione, esplorazione, scoperta, confronto costante con la fame e il dolore. Imparerà a crescere malgrado tutto e tutti, il piccolo Zain. A farsi grande e uomo, a badare a un bambino ancora più sfortunato e affamato di lui, a sopravvivere contando solo sulle proprie esigue risorse.
Nadine Labaki ha la forza delle grandi narratrici. Con mano matura e consapevole alla sua terza prova dietro la macchina da presa non si spaventa a raschiare il fondo dell'oscurità, ma firma un dramma sociale di spessore di cui si fa avvocatessa - ritagliandosene anche il ruolo.
Senza timore di risultare retorica sceglie di raccontare le disavventure esistenziali quanto emotive di un ragazzino come quei tanti di cui ignoriamo, o fingiamo di ignorare, l'esistenza. Ecco allora che Cafarnao diventa un commovente grido di denuncia, un film fondamentale per ricordare ciò che accade nel mondo tutti i giorni sotto i nostri occhi, per raccontare i tanti Zain sparsi in giro per il pianeta.
Se poi accanto alla denuncia vibra il pathos di una storia carica di umanità che sa toccare ed emozionare fino in fondo, allora il film diventa indimenticabile. Come gli occhi magnetici del piccolo Zain.