andrea s.
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domenica 22 novembre 2020
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la ricerca della verità
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La storia dell’unico giornale americano ad aver messo in discussione la “verità” del governo circa il possesso delle armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq. Nessuno sembra dubitare delle fonti ufficiali dell’amministrazione volte a creare un clima politico e popolare favorevole ad una guerra che viene giustificata con prove dubbie e scopi umanitari. Mentre i grandi media e quotidiani nazionali si limitano a leggere le veline del governo, un giornale, il solo, guidato da un direttore consapevole del ruolo dell’informazione come cane da guardia della democrazia, decide di indagare e scavare nel profondo di quello Stato che sta piano piano costruendo la propria verità.
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La storia dell’unico giornale americano ad aver messo in discussione la “verità” del governo circa il possesso delle armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq. Nessuno sembra dubitare delle fonti ufficiali dell’amministrazione volte a creare un clima politico e popolare favorevole ad una guerra che viene giustificata con prove dubbie e scopi umanitari. Mentre i grandi media e quotidiani nazionali si limitano a leggere le veline del governo, un giornale, il solo, guidato da un direttore consapevole del ruolo dell’informazione come cane da guardia della democrazia, decide di indagare e scavare nel profondo di quello Stato che sta piano piano costruendo la propria verità. In un dramma asciutto, secco e con una dose non eccessiva di inevitabile retorica, vediamo muoversi i protagonisti verso la ricerca della vera verità per smascherare le notizie prodotte ad arte dal sistema al fine di convincere il mondo circa la bontà di un’azione militare che pochi illuminati sanno essere poco nobile e suicida. A nulla serve il ricordo degli errori del passato (il Vietnam), perché si sa, la Storia è cattiva maestra o meglio, un libro aperto ignorato. A nulla servono le competenze degli analisti che sanno bene cosa accadrà all’indomani dello sfaldamento di una regione del mondo in cui covano tensioni centenarie tra gruppi rivali (la Storia non insegnerà nulla, anni dopo, neanche alla vigilia dell’attacco alla Libia). Alla fine i piccoli dell’informazione avranno ragione e ai giganti non rimarrà che chiedere scusa. L’unica domanda che il film non si pone è perché si sia voluta quella guerra. Ma anche questa, si sa, è un’altra Storia o forse, più semplicemente, è il segreto di Pulcinella.
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sellerone
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domenica 1 novembre 2020
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non conta ciò che è vero ma chi lo dice
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Un film che rivela qualcosa che si sapeva già ma fa comodo non puntualizzare. L'America, ma tutte le nazioni, si muovono per riscuotere vantaggi di qualsiasi tipo, non ci sono paladini del mondo, ma solo dei propri interessi. Questa è la triste verità che questo film fa emergere attraverso il racconto di uno dei tanti episodi che avvalorano questa tesi.
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mauro@lanari
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domenica 12 maggio 2019
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o conflitto d'interessi o "false flag"
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Se "Vice" di McKay racconta cose già note al mond'intero, non cita mai il deep state (o i deep states) al di sotto dei pupari di facciata alla Casa Bianca (inclusi Obama e Hillary Clinton), rivolge lo sguardo al passato più o meno lontano della storia statunitense quasi volesse distrarci dall'emergenze più recenti, globali e terribili, invece "Shock and Awe" affront'il medesimo tema da una prospettiv'assai diversa e non così conosciuta: la collusione del sistema mediatico yankee (o planetario?) con le panzane di Cheney escluso lo staff redazionale del "Knight Ridder", la cui controinformazione è stata metodicament'insabbiata dagl'altri organi di stampa e televisivi.
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Se "Vice" di McKay racconta cose già note al mond'intero, non cita mai il deep state (o i deep states) al di sotto dei pupari di facciata alla Casa Bianca (inclusi Obama e Hillary Clinton), rivolge lo sguardo al passato più o meno lontano della storia statunitense quasi volesse distrarci dall'emergenze più recenti, globali e terribili, invece "Shock and Awe" affront'il medesimo tema da una prospettiv'assai diversa e non così conosciuta: la collusione del sistema mediatico yankee (o planetario?) con le panzane di Cheney escluso lo staff redazionale del "Knight Ridder", la cui controinformazione è stata metodicament'insabbiata dagl'altri organi di stampa e televisivi. Certo Spielberg l'avrebbe filmato di gran lunga meglio, tuttavia nel 2017 ha diretto "The Post" dove s'è prodigato con cura certosina per evitare tale argomento ripiegando addirittura sul Vietnam. E Reiner ha inserito nella blacklist pure "The Post". Al che sorge un problema e s'insinua un dubbio:
a) conflitto d'interessi: quanto possono essere obiettive le stroncature dei quotidianisti a questo lungometraggio?
b) penso foss'inimmaginabile un film di Reiner esteticamente tanto brutto. Fors'il deep state controll'anche Hollywood e "Shock and Awe" rientra nella categoria "false flag", una propaganda sotto mentite spoglie funzionale a depistare la nostr'attenzione proprio quanto i succitati "Vice" e "The Post"? Ammetto la mia ignoranza: qualcuno sa dirmi s'è già stato prodott'un film sul nuovo punto caldo geopolitico, l'Ucraina, con annesso ritiro di Trump dal trattato INF sull'armi nucleari?
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mauro@lanari
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lunedì 15 aprile 2019
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conflitto d'interessi o "false flag"?
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Se "Vice" di McKay racconta cose già note al mond'intero, non cita mai il deep state (o i deep states) al di sotto dei pupari di facciata alla Casa Bianca (inclusi Obama e Hillary Clinton), rivolge lo sguardo al passato più o meno lontano della storia statunitense quasi volesse distrarci dall'emergenze più recenti, globali e terribili, invece "Shock and Awe" affront'il medesimo tema da una prospettiv'assai diversa e non così conosciuta: la collusione del sistema mediatico yankee (o planetario?) con le panzane di Cheney escluso lo staff redazionale del "Knight Ridder", la cui controinformazione è stata metodicament'insabbiata dagl'altri organi di stampa e televisivi. Certo Spielberg l'avrebbe filmato di gran lunga meglio, tuttavia nel 2017 ha diretto "The Post" dove s'è prodigato con cura certosina per evitare tale argomento ripiegando addirittura sul Vietnam.
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Se "Vice" di McKay racconta cose già note al mond'intero, non cita mai il deep state (o i deep states) al di sotto dei pupari di facciata alla Casa Bianca (inclusi Obama e Hillary Clinton), rivolge lo sguardo al passato più o meno lontano della storia statunitense quasi volesse distrarci dall'emergenze più recenti, globali e terribili, invece "Shock and Awe" affront'il medesimo tema da una prospettiv'assai diversa e non così conosciuta: la collusione del sistema mediatico yankee (o planetario?) con le panzane di Cheney escluso lo staff redazionale del "Knight Ridder", la cui controinformazione è stata metodicament'insabbiata dagl'altri organi di stampa e televisivi. Certo Spielberg l'avrebbe filmato di gran lunga meglio, tuttavia nel 2017 ha diretto "The Post" dove s'è prodigato con cura certosina per evitare tale argomento ripiegando addirittura sul Vietnam. E Reiner ha inserito nella blacklist pure "The Post". Al che sorge un problema e s'insinua un dubbio: a) conflitto d'interessi: quanto possono essere obiettive le stroncature dei quotidianisti a questo lungometraggio? b) penso foss'inimmaginabile un film di Reiner esteticamente tanto brutto. Fors'il deep state controll'anche Hollywood e "Shock and Awe" rientra nella categoria "false flag", una propaganda sotto mentite spoglie funzionale a depistare la nostr'attenzione proprio quanto i succitati "Vice" e "The Post"? Ammetto la mia ignoranza: qualcuno sa dirmi s'è già stato prodott'un film sul nuovo punto caldo geopolitico, l'Ucraina, con annesso ritiro di Trump dal trattato INF sulle armi nucleari?
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mauro@lanari
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giovedì 11 aprile 2019
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conflitto d'interessi
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Se "Vice" di McKay racconta cose già note al mond'intero, non cita mai il deep state (o i deep states) al di sotto dei pupari di facciata alla Casa Bianca (inclusi Obama e Hillary Clinton), rivolge lo sguardo al passato più o meno lontano della storia statunitense quasi volesse distrarci dall'emergenze più recenti, globali e terribili, invece "Shock and Awe" affront'il medesimo tema da una prospettiv'assai diversa e non così conosciuta: la collusione del sistema mediatico yankee (o planetario?) con le panzane di Cheney escluso lo staff redazionale del "Knight Ridder", la cui controinformazione è stata metodicament'insabbiata dagl'altri organi di stampa e televisivi. Certo Spielberg l'avrebbe filmato di gran lunga meglio, tuttavia nel 2017 ha diretto "The Post" dove s'è prodigato con cura certosina per evitare tale argomento ripiegando addirittura sul Vietnam. E Reiner ha inserito nella blacklist pure "The Post". Al che sorge un problema di conflitto d'interessi: quanto possono essere obbiettive le stroncature dei quotidianisti a questo lungometraggio?
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mauro@lanari
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giovedì 11 aprile 2019
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dove spielberg non ha osato
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Sicuramente Spielberg l'avrebbe filmato di gran lunga meglio, però nel 2017 ha diretto "The Post", in cui ha evitato con cura certosina tale argomento per invece ripiegare addirittura sul Vietnam.
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