writer58
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mercoledì 14 marzo 2018
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frammenti di un discorso amoroso
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Raramente ho visto un film che presenta valori estetici così alti e, nel contempo, pare creare una barriera all’identificazione dello spettatore, quasi fosse un meccanismo che seduce l’occhio e respinge il cuore. La sensazione è identica a quella suscitata da alcuni film di Greenaway –peraltro molto differenti e non assimilabili all’ultima fatica di Paul Thomas Anderson-: scenografie impeccabili, costruite con uno stile raffinato, una fotografia satura, inquadrature pittoriche, esterni dai colori chiari e interni dove predominano le tonalità bordeaux e i colori caldi dei mobili e dei vestiti.
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Raramente ho visto un film che presenta valori estetici così alti e, nel contempo, pare creare una barriera all’identificazione dello spettatore, quasi fosse un meccanismo che seduce l’occhio e respinge il cuore. La sensazione è identica a quella suscitata da alcuni film di Greenaway –peraltro molto differenti e non assimilabili all’ultima fatica di Paul Thomas Anderson-: scenografie impeccabili, costruite con uno stile raffinato, una fotografia satura, inquadrature pittoriche, esterni dai colori chiari e interni dove predominano le tonalità bordeaux e i colori caldi dei mobili e dei vestiti.
Un film costruito come il suo protagonista: formalmente perfetto, accurato, elegante, controllato. Il sarto Reynolds Woodcock è uno degli stilisti più rinomati dell’Inghilterra degli anni ’50: la sua casa veste esponenti della casa reale, della nobiltà e del jet set mondiale. I suoi vestiti sono un emblema e un segno distintivo dell’eleganza esclusiva. E’ un uomo perfezionista, dominato da esigenze di controllo, incapace (apparentemente) di slanci, che convoglia tutta la sua energia pulsionale nella creazione di modelli di tendenza, lasciando alle relazioni affettive solo le briciole del suo investimento. Vive relazioni effimere con donne che lascia quando richiedono maggiore impegno nella relazione.
In questo universo chiuso e autoreferenziale s’inserisce Alma, cameriera di un ristorante che viene “riscattata” da Reynolds e trasformata in una delle sue modelle. La relazione tra i due protagonisti, inizialmente con Alma in una posizione fortemente sottomessa, evolve in modo sorprendente, fino a trasformarsi in un rapporto di dipendenza in cui lo stilista si mostra inerme e indifeso, accettando di mettersi in una posizione subalterna.
Il gioco relazionale tra i due protagonisti (con la sorella di Reynolds, socia della maison, nella veste della testimone della supremazia dello stilista e, in seguito, del ribaltamento delle posizioni) è descritto in modo algido e figurativamente rigoroso. L’escamotage di Alma (che non ho intensione di spoilerare) determina un rovesciamento dei ruoli e del potere all’interno della coppia e attiva nello stilista un nucleo oscuro, una necessità di essere accudito che rivela la persistenza di un conflitto irrisolto con la figura materna.
“il filo nascosto” è un film che coniuga nel suo sviluppo il thriller psicologico con la rappresentazione della patologia amorosa. Paola Casella richiama, nella sua recensione, il film di Truffaut “La mia droga si chiama Julie”, anche se il riferimento mi pare imperfetto. Truffaut ha un approccio più romantico, più passionale, meno attento all’estetica della confezione. Il film di Anderson, anche se magnifico sul piano delle immagini, degli spazi e della tessitura –non solo dei vestiti- rimane imprigionato in una bolla che pare togliere ossigeno ai personaggi, li colloca su un terreno intermedio tra il formalismo, il narcisismo la regressione e la manipolazione, priva i protagonisti, pur eccellenti nella loro performance, di movimento e dinamicità, li confina in un esercizio di stile iconograficamente splendido ma mortifero e opaco.
In sintesi: una proposta che ha veicolato suggestioni estetiche rilevanti strameritando l'Oscar per i costumi, ma allo stesso tempo un'opera che mi ha lasciato freddo e lievemente infastidito.
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(di jackbeauregard)
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cinelady
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venerdì 23 febbraio 2018
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il misterioso fascino dell’eleganza
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In attesa della cerimonia di consegna degli Oscar, ho guardato questo film, candidato a sei premi, senza aver visto prima il trailer e conoscendo poco o niente della trama. In particolare, sapevo solo che avrebbe raccontato la storia di uno stilista nella Londra degli anni Sessanta. Mi aspettavo quindi un classico film che parlasse dell’ambiente della moda, e inizialmente è così: ci vengono introdotti ordinariamente il protagonista, Reynolds Woodcock, un personaggio quantomeno maniacale e ossessionato dalla perfezione del proprio lavoro, scapolo ma con varie relazioni alle spalle e ossessionato da una madre ormai deceduta, e il suo ambiente di lavoro, che è poi anche la casa in cui vive con un’assistente, denominata «spina nel fianco», che solo in seguito scopriremo essere sua sorella.
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In attesa della cerimonia di consegna degli Oscar, ho guardato questo film, candidato a sei premi, senza aver visto prima il trailer e conoscendo poco o niente della trama. In particolare, sapevo solo che avrebbe raccontato la storia di uno stilista nella Londra degli anni Sessanta. Mi aspettavo quindi un classico film che parlasse dell’ambiente della moda, e inizialmente è così: ci vengono introdotti ordinariamente il protagonista, Reynolds Woodcock, un personaggio quantomeno maniacale e ossessionato dalla perfezione del proprio lavoro, scapolo ma con varie relazioni alle spalle e ossessionato da una madre ormai deceduta, e il suo ambiente di lavoro, che è poi anche la casa in cui vive con un’assistente, denominata «spina nel fianco», che solo in seguito scopriremo essere sua sorella. La sua routine quotidiana subisce una svolta dopo l’incontro con Alma, una cameriera si presume di umili origini. Subito ci aspettiamo che Alma sarà eletta a nuova musa e amante di Reynolds, e in effetti è così, ma la ragazza, a differenza delle precedenti, non è disposta a ricoprire un ruolo di contorno nella vita dell’artista, e sarà disposta a tutto pur di rimanere al centro della sua attenzione.
Ed è quando lo spettatore capisce questo che il film vira di tono e la storia si trasforma in un sottile thriller psicologico, che vede al centro una sorta di duello silenzioso tra le personalità dei due protagonisti. Silenzioso perché ogni atto in questo film avviene nel segno della grazia e dell’eleganza. Come quando, durante una cena che dovrebbe essere una piacevole sorpresa, scoppia un litigio tra i due amanti, i quali sì alzano il tono della voce, ma rimangono praticamente fermi, sicuri di se stessi ma misteriosi nel loro agire. Perché, come nei propri abiti Reynolds nasconde sempre dei messaggi, tutti i personaggi del film sembrano celare nel proprio animo i loro sentimenti più profondi, come la sorella, che sempre austera ad un certo punto confessa inaspettatamente di tenere ad Alma.
Al centro di una variegata gamma umana c’è Woodcock, interpretato da un ottimo Daniel Day-Lewis, che sembra piegare tutti gli altri personaggi alla sua volontà, disdegnando i costumi dell’alta società ma esigendo regole di comportamento precise da chi vive a stretto contatto con lui, come la colazione che va consumata in un ritualistico silenzio. Ma la vera forza del film è l’Alma di una sorprendente Vicky Krieps, che rispettosa si insinua nella vita dello stilista, sottomettendosi in parte alle sue regole, ma sempre con l’intento di elaborare una strategia per romperle. «Voglio conoscerlo con i mei metodi», afferma lei stessa, l’unica a percepire fin da subito che il grande Reynolds Woodcock, sotto una rigida inflessibilità, nasconde un’insospettabile fragilità, e a capire che, per diventare una parte fondamentale della sua vita, deve sfruttare questa fragilità, che emerge in maniera naturale solo sporadicamente, e sostituirsi alla salvifica ma evanescente figura materna.
Le sue azioni e quelle degli altri personaggi sono messe in risalto da ambienti e costumi progettati alla perfezione, con una particolare attenzione per i dettagli esplicitata anche nelle inquadrature, mentre luci delicate e soffuse mettono in risalto espressioni appena accennate, specchio di anime misteriose che vogliono rimanere tali e giocare tra di loro a quel gioco enigmatico che è l’amore, forse a volte solo inscenato (come il matrimonio tra Barbara Rose e il ricco industriale straniero). Insomma, “Il filo nascosto” è un film che cattura lo spettatore, anzi lo imprigiona tra le sue maglie, tra i fili sottili su cui camminano i suoi personaggi, attraverso un coinvolgimento che passa sia attraverso la storia che le immagini e rende il film arte allo stato puro.
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[+] un'anomala storia di passione e misterioso dolore
(di antoniomontefalcone)
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vanessa zarastro
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sabato 3 marzo 2018
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amore perverso tra narcisisti
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Il tema centrale del film Il filo nascosto, a mio avviso, è il difficile compito di amare da parte di due persone narcisiste che non riescono a uscire da se stessi, ad avere un rapporto autentico con l’altro, a non averne rispetto. Ciò che il film mostra è un avvicendarsi di bisogni tra un uomo adulto e già di mezza età, e una ragazza molto giovane, determinata ma anche capricciosa. Sembra che si alternino fasi in cui lui ha un ruolo paterno quasi educativo nei confronti della giovane sprovveduta, a momenti in cui lei si sacrifica in una sorte di martenage, di accudimento, di vestale della sua salute a tutti i costi. Lui è insopportabile nel suo aver tutto sotto controllo, nell’essere pieno di fisime e di fobie, con un rapporto morboso con la sorella non sposata Cyrill (una strepitosa Leslie Manville), continua a dedicare tutto il suo prezioso lavoro alla madre che spesso crede di vedere ancora, avvolta nel suo secondo abito da sposa progettato da Reynolds.
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Il tema centrale del film Il filo nascosto, a mio avviso, è il difficile compito di amare da parte di due persone narcisiste che non riescono a uscire da se stessi, ad avere un rapporto autentico con l’altro, a non averne rispetto. Ciò che il film mostra è un avvicendarsi di bisogni tra un uomo adulto e già di mezza età, e una ragazza molto giovane, determinata ma anche capricciosa. Sembra che si alternino fasi in cui lui ha un ruolo paterno quasi educativo nei confronti della giovane sprovveduta, a momenti in cui lei si sacrifica in una sorte di martenage, di accudimento, di vestale della sua salute a tutti i costi. Lui è insopportabile nel suo aver tutto sotto controllo, nell’essere pieno di fisime e di fobie, con un rapporto morboso con la sorella non sposata Cyrill (una strepitosa Leslie Manville), continua a dedicare tutto il suo prezioso lavoro alla madre che spesso crede di vedere ancora, avvolta nel suo secondo abito da sposa progettato da Reynolds. Cyrill, a sua volta, è un’altra vestale della moda, lasciando al fratello tutti gli onori dirige la ditta ma prendendosi lei tutti gli oneri, compreso il dover liquidare le varie fidanzate effimere.
Una fotografia splendida, l’atmosfera londinese dell’inizio degli anni ‘50 ricostruita magistralmente e gli abiti sontuosi, descrivono l’ossessione del creatore, del guru, delsarto amato dalle donne per le quali lui inventa, lasciando talvolta dei bigliettini cuciti nel vestito che personalizzano in qualche modo le sue creazioni.
Daniel Day-Lewis è il “divino Reynolds Woodcok” – ispirato al sarto egomaniaco Charles James – che “partorisce” le sue opere d’arte tra sofferenza e passione maniacale, cercando di elidere ogni distrazione e perfino i leggeri rumori. Vive, come si dice in “casa e bottega”, al piano di sopra del suo raffinato atelier frequentato dalle più importanti donne dell’alta società britannica. Vicky Krieps è Alma Elson, l’insignificante ragazza che fa la cameriera in un locale nel North Yorshire e che lui riesce a trasformare fino a farla diventare perfino seducente. A un certo punto sembrava arrivasse una ribellione delle due donne stufe di essere subordinate alla di lui ossessione della ricerca di perfezionismo, ma purtroppo la storia prende una piega diversa mettendo in evidenza il lato sadomasochista del rapporto tra Reynolds e Alma.
Il film ha una splendida colonna musicale (musiche di Jonny Greenwood) che si alterna a brani di Debussy, Berlioz, Brahms e al Piano Trio n. 2 di Schubert. Alcuni critici lo hanno paragonato a “mostri sacri” come Alfred Hitchkock o Max Ophüls, oltre al Barry Lyndon di Stanley Kubrick. Altri gli hanno trovato come modello il romanzo “Giro di vite” di Henry James del 1898. Girato con tempi lentissimi, che non guastano, ma forse una ventina di minuti in meno avrebbero giovato alla piacevolezza di Il filo nascosto.
L’ottavo lungometraggio dello statunitense Paul Thomas Anderson che ne ha scritto la sceneggiatura, diretto la regia e ne ha fatto anche l’operatore è candidato a sei Oscar 2018 per: miglior film, miglior regia, miglior attore a Daniel Day-Lewis (ha già vinto tre Oscar!), migliore attrice non protagonista a Lesley Manville, miglior costumi a Mark Bridges e migliore colonna sonora a Jonny Greenwood.
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zarar
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lunedì 26 febbraio 2018
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il gioco perverso del dominio
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‘Il filo nascosto’ è un freddo ed estetizzante esercizio di stile costruito sulla storia di una relazione borderline. Reynolds Woodcock, uno stilista di genio senza un briciolo di calore umano, pieno di sé e adorato dalle sue clienti, è fanaticamente dedito alla ricerca di perfezione nel suo lavoro. Dietro alla sua spavalda sicurezza, un lato oscuro: un Edipo non risolto, complicato da un rapporto ambiguo con una sorella /madre che è la sua ombra. Nel suo mondo di raffinata eleganza e perfezione formale non c’è apparentemente posto per una dissipazione di tempo ed energie in turbamenti d’amore; è suo costume usare e gettar via belle donne a ripetizione.
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‘Il filo nascosto’ è un freddo ed estetizzante esercizio di stile costruito sulla storia di una relazione borderline. Reynolds Woodcock, uno stilista di genio senza un briciolo di calore umano, pieno di sé e adorato dalle sue clienti, è fanaticamente dedito alla ricerca di perfezione nel suo lavoro. Dietro alla sua spavalda sicurezza, un lato oscuro: un Edipo non risolto, complicato da un rapporto ambiguo con una sorella /madre che è la sua ombra. Nel suo mondo di raffinata eleganza e perfezione formale non c’è apparentemente posto per una dissipazione di tempo ed energie in turbamenti d’amore; è suo costume usare e gettar via belle donne a ripetizione. Finché incontra Alma, sorridente e un po’ goffa cameriera di provincia, che cattura la sua fantasia, non come oggetto d’amore, piuttosto – perversamente - come crisalide da trasformare in angelica farfalla con i suoi abiti, materia vivente del suo processo creativo. La relazione che pur nasce tra loro non ha per lui altro significato, come le altre che l’hanno preceduta. Ma Alma non è come le altre. Questo legame di totale dominio su di lei l’attrae comunque, come l’attrae l’uomo in sé, ma dopo aver toccato il fondo dell’umiliazione, è lei che prende l’iniziativa: Alma condivide la logica di dominio di lui; ma a patto di giocare lo stesso gioco, di poter rovesciare quando vuole i rapporti di forza. Conservando silenziosa e imperturbabile il suo sorriso carezzevole, con una ferocia equivalente all’egocentrismo assoluto del suo partner, lo riduce - temporaneamente - in una condizione di totale fragilità e abbattimento fisico (come, lo scoprirete da soli…). Ora è lui ad essere del tutto dipendente da lei, a dichiararle amore, a chiederle addirittura di sposarlo. Quando l’uomo ritorna il se stesso intollerabile di prima, Alma non esita a ripetere l’esperimento. E questa volta lui capisce ciò che sta per succedere, ma, sublimazione del suo narcisismo, accetta le regole del gioco da lui stesso iniziato, e riconosce in lei una dominatrice alla sua altezza, capace di creare un rapporto specialissimo sul filo del rasoio, al di fuori e al di sopra della banalità quotidiana . Sarà questo – si immagina - il filo che li terrà legati d’ora in poi, nascosto a tutti tranne che a loro due. Ci sono – naturalmente – tanti tipi di amore, e tutti degni di attenzione e di ‘compassione’ nel senso leopardiano della parola. Ciò che rende questa storia e la sua rappresentazione indigeribile è, a mio parere, una totale mancanza di dimensione umana, anche nei momenti più drammatici. Il film non trasmette emozioni profonde, né stimoli intellettuali più intensi di quelli destati da una partita di scacchi. L’evento che determina uno strappo violento nella disumana perfezione di un sistema tutto imperniato sulla ‘forma’, non ne segna affatto una crisi: la sofferenza è solo fisica, il cambiamento che si determina è solo debolezza psicologica generata dalla sofferenza fisica; l’insieme è solo un’occasione per un temporaneo scambio di ruoli. Il tessuto strappato è ricucito a tempo di record, come il verginale abito da sposa travolto da Reynolds in un momento chiave della storia. Impossibile qualsiasi empatia con questi personaggi (e con questo film che con sovrana e insieme nevrotica indifferenza li racconta). Stupisce dunque il quasi universale consenso di critica e pubblico, espresso in molti casi con un consumato estetismo che gareggia con quello esibito sullo schermo. E’ l’estetismo elevato a valore supremo la chiave del successo del film? C’è da preoccuparsene. Una nota a margine: è un caso che la protagonista femminile si chiami Alma, come la controversa celebre moglie di un altro genio, il compositore Mahler? I due vissero una relazione assai complicata e sottilmente perversa, che ha con questa storia molto in comune.
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(di gabriella)
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tonimais
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domenica 25 marzo 2018
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lavoro, non potrei mai essere un marito fedele
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Non mi sono affatto stupito quando, recatomi alla Galleria d'arte moderna di Roma , ho visto i vestiti delle sorelle Fontana esposti all'ingresso : la moda è una forma d'arte tra le più sublimi, tra le più travolgenti, tra le più violente . Lo stilista compie un vero e proprio atto di possesso, uno stupro nei confronti del femminino che interpreta, manipola, plasma a suo totale piacimento . Lo stilista vede la donna come l'accessorio della sua creazione, la caramella avviluppata da un involucro accattivante, seducente perchè lui l'ha resa tale. Lo stesso vale per le modelle di Picasso ,dee o zerbini : Olga, Therese, Dora, Ines ....
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Non mi sono affatto stupito quando, recatomi alla Galleria d'arte moderna di Roma , ho visto i vestiti delle sorelle Fontana esposti all'ingresso : la moda è una forma d'arte tra le più sublimi, tra le più travolgenti, tra le più violente . Lo stilista compie un vero e proprio atto di possesso, uno stupro nei confronti del femminino che interpreta, manipola, plasma a suo totale piacimento . Lo stilista vede la donna come l'accessorio della sua creazione, la caramella avviluppata da un involucro accattivante, seducente perchè lui l'ha resa tale. Lo stesso vale per le modelle di Picasso ,dee o zerbini : Olga, Therese, Dora, Ines .... finito di essere dee per lui , faceva di tutto per renderle zerbini. Storie di suicidi, follie. Ecco , nel Filo nascosto, la frase : "Lavoro, non potrei mai essere un marito fedele" questo sta a significare : finita la fase ispiratrice la donna cessa il suo scopo, diventa d'intralcio. Ma in questo caso il desiderio di possesso di lui trova il suo bilanciamento nel desiderio di possesso di lei : due soggetti alfa dominanti. Non importa se il prezzo da pagare è "never cursed.....mai maledetto" ( l'etichetta che lei strappa dall'abito nuziale ) . E' proprio nella maledizione , nella loro folle perversione , che alberga l'unicità del loro rapporto.
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eugenio
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venerdì 16 febbraio 2018
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le cuciture dell’anima
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C'è la palese volontà di un esercizio di stile, che prevale sul racconto, sullo svolgimento di una trama fatta di immagini ricercate, sinuose, stilisticamente ineccepibili.
Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson vive di percezione di dettagli, umori, carattere, sguardi e raffinatezza del quotidiani che scivolano via ambigui per tutta la durata della pellicola.
Un sarto ( e che sarto... Reynolds Woodcock, fondatore insieme alla sorella della House of Woodcock, inconfondibile marchio di stile e bellezza, richiesto da reali, stelle del cinema negli anni '50), interpretato magnificamente da Daniel Day Lewis, esplora un amore controverso, borderline, al limite dell'assurdo, con una sua modella, Alma.
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C'è la palese volontà di un esercizio di stile, che prevale sul racconto, sullo svolgimento di una trama fatta di immagini ricercate, sinuose, stilisticamente ineccepibili.
Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson vive di percezione di dettagli, umori, carattere, sguardi e raffinatezza del quotidiani che scivolano via ambigui per tutta la durata della pellicola.
Un sarto ( e che sarto... Reynolds Woodcock, fondatore insieme alla sorella della House of Woodcock, inconfondibile marchio di stile e bellezza, richiesto da reali, stelle del cinema negli anni '50), interpretato magnificamente da Daniel Day Lewis, esplora un amore controverso, borderline, al limite dell'assurdo, con una sua modella, Alma.
La vita controllata e precisa dell'uomo si scontrerà con questa figura hitcockiana che si insinuerà via via nella sua vita, modificandone stile e palesando l'assoluta precarietà del controllo umano sulle azioni da lui accuratamente studiate. Fino all'annientamento totale della personalità in un amore malato e ai limiti del grottesco.
Anderson si concentra dopo l'eccellente "Vizio di forma" sulla figura di un uomo egocentrico rassegnato al passato del fantasma (appunto) della madre defunta e a una vita rigidamente scandita da azioni chirurgicamente ineccepibili, per porre il suo contraltare nell'algida e inizialmente timida Alma, che non solo lo irretisce, ma chiederà sempre di più da quel rapporto fortemente possessivo. E per riuscire nel suo intento, Alma dovrà indebolire l'amato, avvelenarlo, umiliarlo per mostrarne l'evidente debolezza per renderlo suo, sputandogli in faccia la sua vita di illusioni, sepolta nella cenere del passato di una madre morta, nel "filo nascosto"- fantasma appunto- di eleganti abiti alla moda .
La musica che fa da sottofondo alla maggior parte delle scene, non è mai invasiva, l'assoluta determinazione di lei e la maniacalità della coppia sono patologici, come l'amore del resto, nato dalla sofferenza, e originato dalla necessità di essere umani snza leggi, senza regole, senza ipocrisie e senza passato.
Pollice alto.
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ninoraffa
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lunedì 12 marzo 2018
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il filo perso
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Londra, quartieri eleganti, anni cinquanta. Reynolds Woodcock, stilista di principesse e miliardarie, tranquillamente convinto che i suoi modelli siano il centro del mondo, è una divinità superstiziosa solita nascondere capelli o cartigli talismanici nelle sue creazioni; in più si porta dentro un gigantesco complesso di Edipo verso la madre morta. Dirige con debita maniacalità la maison insieme alla sorella Cyril di cui il film dice poco, ma sufficiente a sospettarla altrettanto patologica. Ama decorarsi di belle donne, ma preso dalla perfezione dell’arte sartoriale – e dal suo ego – le cambia spesso, gratificandole di un suo abito a titolo di liquidazione.
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Londra, quartieri eleganti, anni cinquanta. Reynolds Woodcock, stilista di principesse e miliardarie, tranquillamente convinto che i suoi modelli siano il centro del mondo, è una divinità superstiziosa solita nascondere capelli o cartigli talismanici nelle sue creazioni; in più si porta dentro un gigantesco complesso di Edipo verso la madre morta. Dirige con debita maniacalità la maison insieme alla sorella Cyril di cui il film dice poco, ma sufficiente a sospettarla altrettanto patologica. Ama decorarsi di belle donne, ma preso dalla perfezione dell’arte sartoriale – e dal suo ego – le cambia spesso, gratificandole di un suo abito a titolo di liquidazione.
Reynolds incontra Alma, cameriera in un breakfast sulla costa, facendone la sua nuova musa. Come d’abitudine presto si stanca anche di lei, che però anticipa il congedo servendogli per colazione un tè ai funghi. Velenosi. Dopo una notte tra la vita e la morte, l’indomani, già in discreta salute, Reynolds cade letteralmente ai suoi piedi chiedendola in sposa.
Si pente già in luna di miele, rivolgendosi a Cyril in cerca di rimedi. Ma Alma ha sempre i funghi sottomano. Per fortuna di Reynolds, sua moglie, oltre che ottima modella, è anche un genio della farmacologia…
Premio Oscar 2018 per i costumi. Qualche spettatrice ha intravisto affinità tra un modello del sarto londinese e il guardaroba disneyano di Grimilde, ma l’ignoranza del recensore in materia ripara l’Academy da ogni critica.
Buona interpretazione dei tre protagonisti, in particolare quella di Daniel Day-Lewis, ancora una volta maestro nell’incarnare possessioni. Dopo un primo tempo senza sussulti, la seconda parte vira brusca nel thriller psicologico, con Alma follemente lucida nel manipolare il desiderio di cure materne di Reynolds, per ridurlo col suo stesso consenso alla dipendenza da lei. La sana ragazza di campagna getta la maschera acqua e sapone rivelandosi più patologica dei suoi ospiti. La miseria in cui è cresciuta – presumiamo –, le umiliazioni subite dall’amante-mentore e il mancato saluto della principessa del Belgio, suscitano la stregoneria che forse lei stessa ignorava di avere dentro. La storia tra il ricco egocentrico e la ragazza povera, assume quindi forma di gioco perverso in cui Alma cede a Reynolds la parte dell’oggetto assumendo il controllo.
Nel complesso “Il filo nascosto” appare più estetizzante che convincente o coinvolgente, affidandosi alla bravura degli interpreti per puntellare debolezza di personaggi e trama. Alcuni passaggi psicologici sono sbrigativi, Alma rimane inspiegata, non mancano forzature e incoerenze in un storia che più verosimilmente si sarebbe conclusa con un catafalco e un patibolo. Bene la premessa edipica su Reynolds, bene l’effetto sorpresa di Alma, politicamente corretta la rivalsa sociale, obbligata in questi giorni l’inversione dei ruoli col maschio finalmente soccombente… ma l’amanita falloide come terapia di coppia non terminale sembra un’invenzione dubbia e complicata da dosare. Il regista-autore Paul Anderson lascia pure intendere che Alma e Reynolds continueranno praticare il veneficio per spezzare la routine e ritemprarsi, un po’ come per altre coppie la settimana bianca o le vacanze al mare. Il normale masochista di solito si limita a farsi ammanettare e frustare, ma, si sa, nel magico mondo della moda sono tutti un po’ strani.
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jackmalone
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giovedì 12 aprile 2018
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il bisbetico domato
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Nella fodera di un vestito si può nascondere tutto: frasi, monogrammi, persino ciocche di capelli della mamma morta per portare sempre con sé un ricordo della persona amata, come fa il burbero, anaffettivo e ossessivo sarto raffinato e talentuoso dell'alta società londinese. Il filo nascosto è il dolore intimo ed inespresso di una personalità disturbata che non sempre si riesce a nascondere nella trama di una stoffa di lusso. E' il dolore di chi non sa condividere, godere di se stessi e di chi gli sta intorno, di chi sa solo prendere e non riesce a dare nulla agli altri, di chi riempie la sua vita solo delle proprie inutili routines. Quando questo se stesso diventa ridondante il dolore deve venire fuori; si deve mostrare perché è la parte della natura umana più indispensabile alla sopravvivenza, ma per il bisbetico e maniacale sarto serve un espediente: da solo non può farcela.
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Nella fodera di un vestito si può nascondere tutto: frasi, monogrammi, persino ciocche di capelli della mamma morta per portare sempre con sé un ricordo della persona amata, come fa il burbero, anaffettivo e ossessivo sarto raffinato e talentuoso dell'alta società londinese. Il filo nascosto è il dolore intimo ed inespresso di una personalità disturbata che non sempre si riesce a nascondere nella trama di una stoffa di lusso. E' il dolore di chi non sa condividere, godere di se stessi e di chi gli sta intorno, di chi sa solo prendere e non riesce a dare nulla agli altri, di chi riempie la sua vita solo delle proprie inutili routines. Quando questo se stesso diventa ridondante il dolore deve venire fuori; si deve mostrare perché è la parte della natura umana più indispensabile alla sopravvivenza, ma per il bisbetico e maniacale sarto serve un espediente: da solo non può farcela.
Non riuscirà da solo ad acquistare consapevolezza di se stesso; non mostrerà mai il suo lato umano e senza quello nessuno è degno di essere amato. L'amore ha bisogno di fragilità, di complicità, di dipendenza dalla persona amata. Così la compagna, stufa di essere solo una musa ispiratrice , sempre un passo indietro al grande couturier, si affranca dal suo ruolo e, determinata a diventare una vera compagna di vita, comincia a somministrargli piccole dosi di veleno: non troppo; l'amato non deve morire , deve solo star male : vomitare, sentirsi debole, rimanere un pochino di più a letto trascurando il lavoro. Poi guarirà: lei lo curerà amorevolmente, gli dedicherà tutta se stessa , gli farà capire quanto è importante e che , senza di lei potrebbe non farcela. E se questo dura solo per il breve tempo del malessere, fino alla prossima somministrazione di veleno, poco importa. Si ha quasi la sensazione che il sarto stesso abbia capito e accetti consapevolmente questo espediente e che alla fine gli piaccia diventare un pò più umano.
Ambientazioni magnifiche e attori eccellenti ma soprattutto doppiatori eccezionali, specialmente per il ruolo del protagonista in cui il biascicare e l'espressione del linguaggio sempre a denti stretti riproduce perfettamente il filo nascosto.
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samanta
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lunedì 19 marzo 2018
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una noia evidente
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Il film ha la sceneggiatura e la regia di Paul Thomas Anderson che ha un curriculum di regista non eccelso, nel senso che in 22 anni ha diretto 8 film con un buon successo di critica ma spesso non di pubblico (gli ultimi due film The Master e Vizio di forma sono stati dei flop commerciali al box office)).
[Spoiler]La trama del film è imperniata sulla figura Reynolds Woodcock( Daniel Day-Lewis tre volte Oscar) stilista di Londra che ha un atelier che serve l'aristrocrazia e l'alta borghesia aiutato dalla sorella Cyril (Lesley Manville). Reynolds è un egocentrico, nevrotivco e narcisista, assorbito interamente dal lavoro e con la pretesa che tutto il mondo gli giri intorno.
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Il film ha la sceneggiatura e la regia di Paul Thomas Anderson che ha un curriculum di regista non eccelso, nel senso che in 22 anni ha diretto 8 film con un buon successo di critica ma spesso non di pubblico (gli ultimi due film The Master e Vizio di forma sono stati dei flop commerciali al box office)).
[Spoiler]La trama del film è imperniata sulla figura Reynolds Woodcock( Daniel Day-Lewis tre volte Oscar) stilista di Londra che ha un atelier che serve l'aristrocrazia e l'alta borghesia aiutato dalla sorella Cyril (Lesley Manville). Reynolds è un egocentrico, nevrotivco e narcisista, assorbito interamente dal lavoro e con la pretesa che tutto il mondo gli giri intorno. Con le donne ha rapporti conflittuali, dopo un pò le sue amanti ferite dalla sua indiferenza e insofferenza lo lasciano. Un giorno in un ristorante incontra una cameriera Alma (Vicky Krieps) e attirato da lei la conduce all'atelier la utilizza come aiutante e indossatrice e poi diventano amanti, dopo un periodo felice ritornano l'insofferenza e la prepotenza di lui, fatto che induce Alma a vendicarsi e a propinargli a pranzo dei funghi avvelenati, Reynolds sta male ma Alma lo cura amorevolmente e guarito lui si raddolcisce e si sposano. Ma Reynolds però dopo un breve cambiamento ritorno all'egocentrismo di prima e Alma gli propina di nuovo dei funghi velenosi, e di nuovo lo cura, Reynolds intuisce il piano di Alma e in un certo senso sembra acconsentire ad avere un rapporto in cui Alma lo assista e lui si mostra debole con lei.
Il film francamente è noioso, lento, la storia di per sé potrebbe stare in piedi: l'attaccamento al proprio io talvolta può essere infranto dall'amore, ma la vicenda è raccontata in modo non solo balzano: quanto è ridicola Alma che gira nei boschi con un cesto di funghi velenosi (devono averla presa da analoga scena ne L'inganno di Sofia Coppola), ma manca alla regia il nerbo per condurre in modo avvincente una storia d'amore che dovrebbe essere drammatica ma diventa in una storia che si sofferma in modo rallentato su gesti, oggetti, situazioni. I dialoghi sono modesti ad esempio ad un pranzo di gala un commensale si rivolge ad Alma "Venite domani alla festa di Capodanno a .. in vita vostra non vi sarete mai divertita così" Alma "Ma voi non sapete nulla della mia vita" "Il commensale "E' vero" fine del dialogo ... Il film dura oltretutto più di due ore, venti minuti in meno gli avrebbero fatto bene e non è sufficiente a reggere lo spettacolo la buona interpretazione di Day-Lewis (peraltro guastata da un doppiaggio terribile), buona l'interpretazione della sorella, mentre Vicky Krieps fa un'intepretazione anonima e melensa, ottima invece l'ambientazione, le scenografie e gli ambienti realizzati con estrema cura ed eleganza. Hitchcock diceva che il cinema "E' la vita senza la sua parte noiosa" ecco qui hanno messo la parte noiosa e manca la vita.
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filmicus
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martedì 27 marzo 2018
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amor omnia vincit
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Lasciamo stare la parte elogiativa,svolta ampiamente e giustamente nei commenti, e fermiamoci sul contenuto ideologico del film.Il rapporto uomo-donna è un rapporto "velenoso" anzi avvelenato nella misura giusta,tuttavia, per evitare l'esito esiziale.Alla volontà di dominio,di imposizione dell'uomo la donna non riesce a contrapporre validamente nessuna cura intima ed amorosa: non si raggiunge l'equilibrio.Occorre un ulteriore mezzo,antico come il mondo,il filtro amoroso,la pozione magica:la calibrata dose di funghi velenosi.L'uomo comprenderà il senso dell'amore solo dinanzi al proprio crollo,alla visione della morte.Così al protagonista apparirà, in un vestito bianco di sposa, l'immagine della madre,dell'unica donna che ha potuto e voluto dargli amore senza venefici correttivi.
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Lasciamo stare la parte elogiativa,svolta ampiamente e giustamente nei commenti, e fermiamoci sul contenuto ideologico del film.Il rapporto uomo-donna è un rapporto "velenoso" anzi avvelenato nella misura giusta,tuttavia, per evitare l'esito esiziale.Alla volontà di dominio,di imposizione dell'uomo la donna non riesce a contrapporre validamente nessuna cura intima ed amorosa: non si raggiunge l'equilibrio.Occorre un ulteriore mezzo,antico come il mondo,il filtro amoroso,la pozione magica:la calibrata dose di funghi velenosi.L'uomo comprenderà il senso dell'amore solo dinanzi al proprio crollo,alla visione della morte.Così al protagonista apparirà, in un vestito bianco di sposa, l'immagine della madre,dell'unica donna che ha potuto e voluto dargli amore senza venefici correttivi.L'equilibrio è raggiunto:a questo punto sarà l'uomo a volere un po di funghetti sospetti nella frittatina quotidiana e la vita riprende ed anzi continua nella elegante carrozzina per neonati nel verde parco londinese.Amor omnia vincit.Non sappiamo se nel passeggino vi è un maschietto o una femminuccia ma il giuoco dei rapporti uomo-donna inevitabilmente continuerà.Può piacere o no ma il succo del film è questo e gli artisti,come certo è il regista del fim, la fanno in barba a tutti i progressisti del mondo che cercano, giustamente e con fatica, di creare un mondo nuovo per uomini e donne.Ovviamente non intendiamo entrare nelle personali idee del regista che sul punto non conosciamo o potremmo fraintendere.Oltretutto il film potrebbe anche essere una pièce sottilmente ironica,nascosta sotto uno smagliante corredo scenografico ed interpretativo.
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