evak.
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venerdě 5 gennaio 2018
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opera di rara ed elegante poesia
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Questo non è il solito film. Questa è un'opera cinematografica alla quale raramente si assiste.
Stile, linguaggio e fotografia in perfetta sintonia.
Prove attoriali al di sopra dell'eccellenza.
Una regia maestra.
Endre e Mària. Due corpi mancanti di qualcosa.
Un pò lontano dalla vita e una paralisi fisica ad un braccio lui. In un mondo tutto suo e una paralisi emotiva lei.
Due cervi. Le loro anime.
Ciò che di giorno risulta mancante, li va a trovare di notte in un sogno. Un sogno comune. Identico.
Le catene dei corpi e della mente si spezzano. La libertà del desiderio si compie.
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Questo non è il solito film. Questa è un'opera cinematografica alla quale raramente si assiste.
Stile, linguaggio e fotografia in perfetta sintonia.
Prove attoriali al di sopra dell'eccellenza.
Una regia maestra.
Endre e Mària. Due corpi mancanti di qualcosa.
Un pò lontano dalla vita e una paralisi fisica ad un braccio lui. In un mondo tutto suo e una paralisi emotiva lei.
Due cervi. Le loro anime.
Ciò che di giorno risulta mancante, li va a trovare di notte in un sogno. Un sogno comune. Identico.
Le catene dei corpi e della mente si spezzano. La libertà del desiderio si compie.
La regia non lascia nulla al caso. Anche i silenzi attraversano i discorsi. Così come le piccole cose sulle quali si sofferma diventano parte del tutto.
I colori freddi della fotografia fanno emergere le sfumature delle gabbie nelle quali la realtà può condurre e il sensibile desiderio di abbandonarle.
Il significante e il significato di Michel Foucault. Forma e contenuto.
Mai scontato, mai eccessivo e senza cadere in un romanticismo banale, il film rifugge dal manierismo per raggiungere un'eleganza inarrivabile. Tra surrealismo, razionalità, essenza del desiderio ed umorismo è senza dubbio un capolavoro che il cinema e noi ci meritiamo.
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[+] interessante storia d'amore, anomala e onirica
(di antoniomontefalcone)
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valterchiappa
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domenica 7 gennaio 2018
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perche' l'amore diventi realta'
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L’anima ha il colore blu e risiede in un bosco innevato. Il corpo è rosso di sangue che sgorga in stanze oscure. Colori che non riescono a fondersi. Due spiriti predestinati, quelli di Endre (Morcsányi Géza) e Maria (Alexandra Borbély), incapaci di incontrarsi: occhi che si osservano a distanza, corpi fra cui si interpongono distanze orizzontali o che giacciono su piani diversi.
Un uomo e una donna paralizzati. Maria, con un’infanzia presumibilmente difficile da cui non sa staccarsi, è un’anima bambina. Il suo mondo, governato da una memoria autistica, si racchiude in un’algida perfezione dove i millimetri hanno valore e la polvere va rimossa.
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L’anima ha il colore blu e risiede in un bosco innevato. Il corpo è rosso di sangue che sgorga in stanze oscure. Colori che non riescono a fondersi. Due spiriti predestinati, quelli di Endre (Morcsányi Géza) e Maria (Alexandra Borbély), incapaci di incontrarsi: occhi che si osservano a distanza, corpi fra cui si interpongono distanze orizzontali o che giacciono su piani diversi.
Un uomo e una donna paralizzati. Maria, con un’infanzia presumibilmente difficile da cui non sa staccarsi, è un’anima bambina. Il suo mondo, governato da una memoria autistica, si racchiude in un’algida perfezione dove i millimetri hanno valore e la polvere va rimossa. Vive al buio, si rifugia nell’ombra, il rosso che gira altrove non entra nella sua stanza blu. L’amore che ha dentro non diventa contatto, non si traduce in parola.
Endre, offeso nel corpo, chiuso nella stanza da cui non esce mai, ha relegato le pulsioni alla prospettiva distante e angolata della sua finestra e allo sguardo che inevitabilmente si posa sugli elementi dell’attrazione femminile.
Si incontrano in un luogo simbolico, un macello, dove vita e morte, gelo e sangue convivono. A quei cuori che non sanno parlarsi la regista Ildikò Enyedi costruisce un mondo fatto solo per loro, un bosco incantato che magicamente ricorre nei sogni di entrambi. Li trasforma in cervi, l’animale, che si contrappone alla cieca forza generatrice del toro. Fra la neve, nel freddo il maschio, maestoso, carezza col muso la giovane cerbiatta, cerca cibo per lei.
Finalmente uniti in un mondo onirico, i cuori oscurati che hanno cercato la luce in un raggio di sole ora la trovano negli occhi dell’altro. L’ostacolo da superare sarà riportare quel sogno nel mondo reale, farlo diventare vita. Il viaggio di Maria, forte della testarda determinazione che solo i cuori innamorati sanno avere, è la conquista della corporeità, del contatto, del calore.
Difficile raccontare l’amore e la sua difficoltà in maniera più poetica. Un cinema fatto di dettagli infinitesimi: punte dei piedi che si ritraggono nell’ombra, visi che vanno a bagnarsi nel sole, minuscoli oggetti che dialogano fra loro, rapidi gesti delle mani, briciole rapidamente spazzate via. Un cinema fatto di inquadrature eloquenti più delle parole, dalle distanze perfettamente misurate, in cui ostacoli, opachi o traslucidi, sono collocati a frapporsi tra le figure. Un cinema fatto di cromatismi contrastanti, ma mai esasperati, nel segno di una delicatezza di tocco impareggiabile. Parte di tanta tenerezza è anche il sorriso che la svelata ingenuità di Maria sa destare, utile contrappunto nel filo drammaturgico all’iniziale freddezza. Sacrosanto l’Orso d’oro all’ultimo Festival internazionale del cinema di Berlino.
La mano felicissima di Ildikò Enyedi viene assecondata dalla straordinaria recitazione di Alexandra Borbély e Morcsányi Géza, i due protagonisti. Poche parole a disposizione. La luce che la regista richiede si accende gradatamente sui loro volti, sui sorrisi timidamente accennati, negli sguardi che si illuminano fino a sfavillare.
Perché l’amore diventi carne, sarà necessario spingersi fino alle estreme destinazioni del viaggio: sposare il sangue. Questo il destino dei grandi amori. Ma, giunti alla meta, allora il sonno sarà placido: non c’è più bisogno di sognare.
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[+] l'importanza dei dettagli
(di jackbeauregard)
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angeloumana
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sabato 13 gennaio 2018
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anche le corazze si aprono
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La difficoltà di due adulti di arrivare all'amore, questo è il nòcciolo del film Corpo e Anima, le corazze e armature che vietano a molti adulti che le loro anime comunichino. Una curiosità resta: è quella di sapere il significato del titolo ungherese A testrol és a lélekrol. In relazione a ciò cito le parole di Cristina Piccino del Manifesto, che ha scritto: (qst film è) “un bel modo per iniziare il nuovo anno cinematografico 2018, nonostante il doppiaggio, a cui ci si deve rassegnare visto che il pubblico per film come questo è quello che preferirebbe le versioni originali”.
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La difficoltà di due adulti di arrivare all'amore, questo è il nòcciolo del film Corpo e Anima, le corazze e armature che vietano a molti adulti che le loro anime comunichino. Una curiosità resta: è quella di sapere il significato del titolo ungherese A testrol és a lélekrol. In relazione a ciò cito le parole di Cristina Piccino del Manifesto, che ha scritto: (qst film è) “un bel modo per iniziare il nuovo anno cinematografico 2018, nonostante il doppiaggio, a cui ci si deve rassegnare visto che il pubblico per film come questo è quello che preferirebbe le versioni originali”.
Le due anime in questione sono Maria, la giovane nuova addetta al controllo qualità in una ditta di macellazione carni, e il più maturo Endre, direttore finanziario della stessa ditta. L'una precisa, metodica, quasi maniacale nel lavoro e nella sua vita in solitudine, per niente avvezza a relazioni amorose con l'altro sesso. Quando si fà all'idea di avvicinarsi all'uomo - nel modo semplice e diretto che la sua inesperienza le detta - consulta il suo psicologo per l'infanzia che frequenta già da bambina, tenta di scoprire com'è l'amore osservando gli altri, tenera e inesperta vede due che si baciano in un parco pubblico, e questo sguardo è inquietante e comico assieme. Si lascia un po' andare al suono e alle parole di una canzone che la venditrice di dischi le propone: don't tempt me … please, pare di cogliere nella voce flautata della cantante. L'altro, guardingo e avveduto, dice di aver messo da parte l'amore e le relazioni da molto tempo, solo una volta lo vediamo a letto con una prostituta (come non pensare, per entrambi, ai protagonisti maschili di Le vite degli altri e di Still Life...). Però osserva molto la nuova assunta nel luogo di lavoro, ne è incuriosito mentre lei se ne stà preferibilmente nell'ombra e da sola.
Scopriranno di fare da tempo un identico sogno: due cervi che si guardano a distanza in un bosco innevato, un paesaggio silenzioso e purissimo, come l'ambiente immaginario (e onirico, dunque) in cui i due vivono: Maria è dotata di ottima memoria (non sempre utile, dice a un tratto), immagina che due suoi pupazzetti interpretino le scene dei loro incontri impacciati in ufficio, fa loro ripetere le rare parole che si sono detti di presenza Solo qualche avvicinamento avviene tra i due animali in questi sogni, ma molto discreto, di più: molto rispettoso del rispettivo spazio. E' la stessa “tecnica” che adotta Endre, ha il modo giusto per aprire lentamente l'armatura che Maria si è costruita a sua difesa. Un'altra che l'ha saputa capire è l'anziana e colta di vita donna delle pulizie della ditta, le suggerisce come una signorina può ancheggiare un poco per rendersi più attraente, ma senza esagerare.
Orso d'oro a Berlino 2017 al 62enne regista Ildikò Enyedi e candidato all'Oscar come miglior film straniero, 4 stelle su 5 di critica e pubblico su MyMovies ma … è chiaro che molti non lo vedranno. Vedranno piuttosto film di genere più “facile”, non impegnativi (ma questo non lo è, basta solo un po' di pazienza nei 116 minuti e tutto accade), più reclamizzati e dotati di grossi produttori alle spalle (tipo Weinstein?), quelle visioni che poi fanno constatare come gli incassi e il pubblico siano drammaticamente diminuiti nel 2017, almeno in Italia. Ultima nota: nei titoli di coda è detto che nessun danno al solo scopo di riprese è stato fatto agli animali, dove i corpi dei bovini sono mostrati con abbondanza di particolari, la macelleria era reale ma la visione è un motivo in più per non mangiar carne!
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zarar
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lunedě 8 gennaio 2018
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la forza di chi dŕ corpo a metafore e sogni...
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Quello che dà un tono assolutamente inusuale e spiazzante a questo film è l’idea straordinaria di dare corpo – per così dire – ad una serie di metafore del nostro tempo relative alla nostra condizione e ai rapporti interpersonali. Diciamo che viviamo in un macello di società, che sopportiamo con cinismo e indifferenza, pena venirne schiacciati? Ebbene, il film è ambientato in un macello, che esibisce ad ogni momento la straziante sofferenza dell’animale di fronte all’indifferenza tranquilla, al tran tran, alle battute di operai e impiegati.
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Quello che dà un tono assolutamente inusuale e spiazzante a questo film è l’idea straordinaria di dare corpo – per così dire – ad una serie di metafore del nostro tempo relative alla nostra condizione e ai rapporti interpersonali. Diciamo che viviamo in un macello di società, che sopportiamo con cinismo e indifferenza, pena venirne schiacciati? Ebbene, il film è ambientato in un macello, che esibisce ad ogni momento la straziante sofferenza dell’animale di fronte all’indifferenza tranquilla, al tran tran, alle battute di operai e impiegati. Diciamo che ci sentiamo ingabbiati nel nostro corpo, handicappati, bloccati quando vorremmo disperatamente comunicare? Ebbene dei due personaggi principali, Endre, un dirigente del macello, è un tipo legnoso, rigido come un palo, bloccato nei movimenti da un braccio morto; Mária, l’ispettrice per la qualità nella stessa struttura, ha comportamenti autistici al limite di una seria patologia, tanto da essere continuamente bersaglio di aperta derisione. C’è il disperato per amore che dice: “mi sento morire?” e in quel momento vediamo Maria che si sente veramente morire… Diciamo, accanto ad un’anima gemella, che condividiamo i nostri sogni? Ebbene, Endre e Mária scoprono ‘casualmente’ il fatto mirabolante di condividere immagine per immagine, sfondo per sfondo i loro sogni, sogni stupendi di cervi che vagano liberamente e si inseguono e si incontrano in un paesaggio appena innevato di foreste intatte, in un’atmosfera lattiginosa che suggerisce infanzia e purezza, ‘anima’, come dice il titolo del film, un onirico assolutamente poco freudiano, che non scopre i demoni, ma le più autentiche aspirazioni dell’essere. E’ la percezione di questa voluta, insistita, prepotente trasposizione che chiama in causa le verità profonde che nascondiamo dietro metafore di cui non sentiamo nemmeno più la forza, che cattura lo spettatore, che gli fa sentire l’autenticità e la verità in una trama apparentemente assurda e che lo mette in profonda consonanza con i personaggi. Senza avvertire incongruenze o dissonanze, sentiamo la tensione e persino la suspence di un processo lento e drammatico, ma anche buffo, anche tenero, anche poetico, di recupero della percezione consapevole dell’altro, dell’empatia, del contatto spontaneo e naturale, nell’attesa di uno scioglimento che dia corpo alla felice agile anima del sogno. Immagini, inquadrature, atmosfere di grande forza, che dicono assai più delle parole. Da vedere.
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mauridal
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lunedě 5 marzo 2018
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cuori e vetrate infranti
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Un corpo , specie quello umano ha un linguaggio, un modo di parlare a sé e agli altri , e in questo film il linguaggio dei corpi del maschio e della femmina dialogano sul tema dell’amore ,. ,Infatti i due protagonisti , lui dirigente e lei una “diligente dipendente,” addetta al controllo qualità, dello stesso mattatoio dove entrambi lavorano , una sorta di fabbrica dove si macellano buoi e mucche in maniera tecnologicamente precisa , non conoscendosi conducono una condizione di solitaria esistenza , vivono una vita anaffettiva e i loro corpi comunicano un senso di blocco di statica paura ,dove lui è proprio bloccato in un braccio paralizzato , e lei mostra un blocco di relazione e di comunicazione con tutti.
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Un corpo , specie quello umano ha un linguaggio, un modo di parlare a sé e agli altri , e in questo film il linguaggio dei corpi del maschio e della femmina dialogano sul tema dell’amore ,. ,Infatti i due protagonisti , lui dirigente e lei una “diligente dipendente,” addetta al controllo qualità, dello stesso mattatoio dove entrambi lavorano , una sorta di fabbrica dove si macellano buoi e mucche in maniera tecnologicamente precisa , non conoscendosi conducono una condizione di solitaria esistenza , vivono una vita anaffettiva e i loro corpi comunicano un senso di blocco di statica paura ,dove lui è proprio bloccato in un braccio paralizzato , e lei mostra un blocco di relazione e di comunicazione con tutti. Il corpo dei due per buona parte della storia non esiste se non per la ordinaria sussistenza ,dormire, mangiare ,lavorare. Intanto le loro anime lavorano nella mente e soprattutto nei sogni notturni. Pur venendo in contatto, sfiorandosi sul posto di lavoro i due non si riconoscono, e solo per un caso, ad opera di un test psicologico effettuato per la fabbrica da una disinibita psicologa, i due scoprono di sognare l’identica scena , che poi è la scena iniziale del film , ovvero una grande foresta innevata con la sola presenza di due -cervi maschio e femmina che si annusano e mangiano foglie insieme. Questo sogno che i due corrispondenti corpi umani di lui e lei , fanno tutte le notti, in fondo è la rappresentazione dell’anima che in entrambi palpita , in cerca di una fusione amorosa con l’altro. I due si scoprono così , innamorati attraverso i sogni comuni ma resta il blocco dei corpi, intoccabili che nessuno riesce a sfiorare. La storia continua ,con vari tentativi di entrambi per entrare in contatto ma lui non riesce, e toccherà a lei di sbloccare il suo corpo, con una scelta traumatica. Dopo un rassegnato incontro in cui lui la disillude per un eventuale relazione tra corpi, lei infrange una porta a vetri e si immerge nella vasca da bagno tagliandosi le vene con un pezzo di vetro. Non sfugge che il diniego di lui ha abbondantemente già infranto cuore ed anima di lei , dunque anche il suo corpo deve lentamente dissolversi, ma , colpo di scena, mentre il colore rosso del sangue riempie la vasca in cui è immerso il corpo in fase morente , il film ha un guizzo , un colpo di coda, la famosa telefonata che ti salva la vita. E’ lui che la chiama inaspettatamente, e lei corre sanguinante a rispondere tappandosi le ferite con il nastro adesivo nell’unica scena esilarante del film , esilarante, sì ma decisiva per l’epilogo della storia, dove lui finalmente si decide a dichiarasi e lei che accetta di concedersi corpo e anima. La regista ungherese, Ildikò, anche sceneggiatrice del film si rivela una poetessa dei sentimenti nascosti che si devono rivelare infrangendo letteralmente dei tabù, sia nell’anima ma soprattutto nel corpo delle donne e degli uomini. Il film ha decisamente meritato il premio al festival di Berlino.(mauridal)
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eugenio
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mercoledě 11 aprile 2018
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la nascita e la morte dell'amore
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La costruzione di un amore.
La passione passo dopo passo.
E il sangue, la costante a tratti metaforica, a tratti reale, della pellicola dell’ungherese Ildikó Enyedi, vincitrice dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival del cinema di Berlino.
Corpo e animaè il titolo di una commedia che sfugge ai canoni del semplice linguaggio d’amore. Non la sdolcinatezza del sentimento nella sua lontana voce, quanto un amore passionale, fatto di umori, di corpi, un amore fatto di anima, di cui ne viene mostrata la sua nascita, la sua crescita, la sua apparente ostilità, passo dopo passo.
Ambientato in un mattatoio, luogo paradigmatico di sangue e morte, in una struttura quasi ad “imbuto” dove gli operai in basso macellano mucche intontite e i dirigenti sopra, curano la qualità della carne secondo precisi standard, due persone, un uomo e una donna, si guardano, si studiano, si incontrano.
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La costruzione di un amore.
La passione passo dopo passo.
E il sangue, la costante a tratti metaforica, a tratti reale, della pellicola dell’ungherese Ildikó Enyedi, vincitrice dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival del cinema di Berlino.
Corpo e animaè il titolo di una commedia che sfugge ai canoni del semplice linguaggio d’amore. Non la sdolcinatezza del sentimento nella sua lontana voce, quanto un amore passionale, fatto di umori, di corpi, un amore fatto di anima, di cui ne viene mostrata la sua nascita, la sua crescita, la sua apparente ostilità, passo dopo passo.
Ambientato in un mattatoio, luogo paradigmatico di sangue e morte, in una struttura quasi ad “imbuto” dove gli operai in basso macellano mucche intontite e i dirigenti sopra, curano la qualità della carne secondo precisi standard, due persone, un uomo e una donna, si guardano, si studiano, si incontrano.
Lui è un cinquantenne direttore finanziario con un braccio paralizzato, lei una slavata trentenne apatica e vagamente autistica, nuova responsabile della qualità. Si conoscono in mensa nell’atmosfera sapida di grigia mediocrità esistenziale, scoprono di avere qualcosa in comune, qualcosa che risale al mondo dell’incanto.
Nel transfert della disinibita psicologa, chiamata a diagnosticare i comportamenti degli operai del mattatoio (non è da tutti avere lo stomaco per resistere alla macellazione), i “due corpi” scoprono di avere un’anima in comune, quella del sogno.
Nella dimensione onirica di una foresta innevata, i due si incontrano, si “reincarnano” in cervi, si annusano, si toccano e cercano, insieme, in un percorso comune in cui rivedersi. Sono due anime solitarie quelle del film di Enyedi, in costante ricerca di una precisa affermazione, grazie al linguaggio universale dell’amore passionale improntato sulla pelle, sulla carne.
E non è un caso che il film insista sul corpo, superi l’impronta metafisica di un amore platonico, fatto di sguardi e pacifiche rivelazioni, per mostrarsi duro e spietato. Corpi squartati di animali portati al macello, corpi mercificati dal lavoro alienante, corpi devastati dalla spirale di violenza concentrica di un amore involuto, corpi che imparano a vivere attraverso l’amore.
Accostando dimensioni oniriche di un mondo ai limiti della realtà e rappresentazioni di cruda bellezza, Enyedi inquadra con intelligenza la scena ingabbiando il contesto e concentrandosi sulle buffe fasi del tentennamento, del corteggiamento amoroso a distanza fra i due protagonisti, delle iterazioni di gesti consumati dove il sangue, sempre lui, l’orrore, diventa emblema di un cuore che finalmente può riprendere a battere dopo l’agonia di un corpo cristallizzato da perenne tempo.
Un cuore, che in una bellissima scena, visivamente un quadro neoclassico di Jacques Luis David, “La morte di Marat”, palesa tutta la sua dolcezza nel patologico ensemble dei due protagonisti, i cui corpi si uniranno travolti dalla passione tale da annullare ogni “menomazione” psicologica e soprattutto fisica.
Film sensibile questo Corpo e anima, capace di alternare e rivitalizzare con dolcezza il piccolo mondo antico della funesta combattività amorosa, un film anomalo che muta dal semplice contesto di stucchevole commedia per farsi portatore di sani e dolorosamente vividi temi universali, un film per imparare nuovamente a guardarsi, ad amare e lasciarsi andare.
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gianniquilici
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domenica 7 gennaio 2018
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coraggioso, poetico, originale
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di Gianni Quilici
E' un film coraggioso, che sembra cedere, qua e lŕ, a possibili linee di fuga, ma che, invece, rimane ancorato al suo centro, con rilanci indovinati, che sorprendono e anche “prendono”. Il centro č una storia d’amore originale in un luogo, il mattatoio, in cui la regista non ci risparmia la crudezza tecnologica con cui i macchinari uccidono, tagliano, spezzano le povere, mansuete, innocenti mucche. L’originalitŕ č data dalla profonditŕ e specificitŕ dei due protagonisti e dalla difficoltŕ che attraversa il loro progressivo, lento, avvicinamento amoroso, in un ambiente grigio e mediocre e tuttavia pieno di frustrazioni e desideri. Lui, 50enne con un braccio paralizzato, č il direttore del mattatoio ed č deluso dalle donne tanto che ha deciso di chiudere con loro; lei, una 30enne, nuova responsabile della qualitŕ, bionda e carina, ma priva di esperienze erotiche, rigida, silenziosa e meticolosa come per difendersi dagli altri.
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di Gianni Quilici
E' un film coraggioso, che sembra cedere, qua e lŕ, a possibili linee di fuga, ma che, invece, rimane ancorato al suo centro, con rilanci indovinati, che sorprendono e anche “prendono”. Il centro č una storia d’amore originale in un luogo, il mattatoio, in cui la regista non ci risparmia la crudezza tecnologica con cui i macchinari uccidono, tagliano, spezzano le povere, mansuete, innocenti mucche. L’originalitŕ č data dalla profonditŕ e specificitŕ dei due protagonisti e dalla difficoltŕ che attraversa il loro progressivo, lento, avvicinamento amoroso, in un ambiente grigio e mediocre e tuttavia pieno di frustrazioni e desideri. Lui, 50enne con un braccio paralizzato, č il direttore del mattatoio ed č deluso dalle donne tanto che ha deciso di chiudere con loro; lei, una 30enne, nuova responsabile della qualitŕ, bionda e carina, ma priva di esperienze erotiche, rigida, silenziosa e meticolosa come per difendersi dagli altri. Il coraggio della regista ungherese, Ildikó Enyedi, nasce dal farli incontrare, oltre che nella realtŕ, anche nei sogni nelle vesti di due cervi, uno maschio e una femmina, che si annusano, bevono nell’acqua dei ruscelli, cercano cibo in una foresta innevata, inizialmente a loro insaputa, poi consapevoli casualmente. Una simbologia che poteva riuscire forzata, nella sua dimensione romantico-favolistica, ma che, invece, nella sua limpida implicita asciuttezza, si intreccia poeticamente alla vicenda reale. Intorno ai due protagonisti personaggi minori, che presentano una loro spiccata evidenza: l’amico, tradito forse dalla moglie, disperato, vendicativo e impotente; la psicologa erotica, disinibita, curiosa; la donna delle pulizie anziana, ma imprevedibilmente moderna e sottile; il dongiovanni ben piantato e spavaldo. Un film stratificato, scritto e realizzato dalla Enyedi con poetica intelligenza: un montaggio morbido e essenziale, una cinepresa che spesso viene collocata a distanza attraverso porte o vetri, con la cura e la rilevanza di improvvisi dettagli, una musica che sottolinea senza invadere e, infine, attori e attrici che si fanno, appunto, anima e corpo.
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kimkiduk
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domenica 18 febbraio 2018
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particolare .... forse troppo
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Film ungherese e quindi sicuramente diverso da quello che è il mediamente programmato.
Ma io amo la cinematografia dell'Est con le sue caratteristiche spesso di essenzialità. La ricerca del particolare, sin dall'inizio, con primi piani sulle mani, sugli oggetti, sui volti e su un pò tutto, affascina da subito.
La ricerca della caratterizzazione dei personaggi nelle loro particolarità e soprattutto nelle loro manie, quasi al limite della psichiatria, è meravigliosa.
Ma proprio qui forse il film eccede, nel creare una storia d'amore tra due persone non ai margini della società, ma ai margini loro stessi di sè stessi.
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Film ungherese e quindi sicuramente diverso da quello che è il mediamente programmato.
Ma io amo la cinematografia dell'Est con le sue caratteristiche spesso di essenzialità. La ricerca del particolare, sin dall'inizio, con primi piani sulle mani, sugli oggetti, sui volti e su un pò tutto, affascina da subito.
La ricerca della caratterizzazione dei personaggi nelle loro particolarità e soprattutto nelle loro manie, quasi al limite della psichiatria, è meravigliosa.
Ma proprio qui forse il film eccede, nel creare una storia d'amore tra due persone non ai margini della società, ma ai margini loro stessi di sè stessi.
Uno non sapendo condividere pienamente il suo difetto fisico e l'altra per la sua paura e fobia del confronto.
L'intrecciarsi del sogno che li lega, è un grande modo di farli incontrare, di far evidenziare le proprie difficoltà relazionali.
L'unico modo forse per farli incontrare, unire, capire e risolversi.
Alcune scene "forti" e molte scelte personali, non rendono certo occidentale la sceneggiatura.
Film da vedere assolutamente per un film diverso, da comprendere e da capire.
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venerdě 9 marzo 2018
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il desiderio dell'amore
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Due sconosciuti, un uomo e una donna che ignorano della reciproca esistenza, s'incontrano e s'innamorano nei loro sogni. Tutti gli ostacoli che impediscono loro di riconoscersi nella realtŕ scompaiono nel sogno. Abbandonato l'habitus sociale, spezzate le catene culturali, nello spazio onirico restano soltanto due animali: l'amore non č forse istinto e desiderio? Ma Enyedi non si ferma solo a questo: se il ruolo sociale rischia di disumanizzarci sostituendo i nostri desideri con pulsioni artificiali, fino a privarci della sola cosa che dia senso alla vita, l'amore, forse č necessario tornare al sč ancestrale/animale per riconoscere che tutto quello di cui abbiamo bisogno č essere amati e amare.
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Due sconosciuti, un uomo e una donna che ignorano della reciproca esistenza, s'incontrano e s'innamorano nei loro sogni. Tutti gli ostacoli che impediscono loro di riconoscersi nella realtŕ scompaiono nel sogno. Abbandonato l'habitus sociale, spezzate le catene culturali, nello spazio onirico restano soltanto due animali: l'amore non č forse istinto e desiderio? Ma Enyedi non si ferma solo a questo: se il ruolo sociale rischia di disumanizzarci sostituendo i nostri desideri con pulsioni artificiali, fino a privarci della sola cosa che dia senso alla vita, l'amore, forse č necessario tornare al sč ancestrale/animale per riconoscere che tutto quello di cui abbiamo bisogno č essere amati e amare. Entro una metafora biopolitica, offuscata dall'esercizio di molte forme di potere (socio-economica e culturale sulla comunitŕ, di vita e di morte sulla natura), la societŕ crea un'erotismo di plastica che togliendo ossigeno all'amore, frantuma vincoli e legami, confonde, isola e separa. L'umano rischia di scomparire ogni volta che si aliena dalla natura, l'amore si allontana ogni volta che pensiamo non sia destinato a noi.
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carlosantoni
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giovedě 30 agosto 2018
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il sogno č un velo di frine
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Poteva la storia svolgersi in altro contesto che non fosse un mattatoio di Budapest? Sì, indubbiamente, però il fatto che come location sia stato scelto quel luogo di distruzione di vite e di corpi, serve a ricordarci l’importanza della nostra materialità, e al tempo stesso la sua essenziale polarità di fronte a ciò che siamo come pensiero, desiderio, sentimento: ciò che intendiamo col termine anima. Come esplicita il titolo stesso, il film ci parla del nostro “di fuori” e del nostro “di dentro” e ce ne parla attraverso una storia asciutta, scabra, ma delicatissima e potente, che si regge in un difficile equilibrio tra un versante romantico-onirico ed un altro prosaico e problematico.
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Poteva la storia svolgersi in altro contesto che non fosse un mattatoio di Budapest? Sì, indubbiamente, però il fatto che come location sia stato scelto quel luogo di distruzione di vite e di corpi, serve a ricordarci l’importanza della nostra materialità, e al tempo stesso la sua essenziale polarità di fronte a ciò che siamo come pensiero, desiderio, sentimento: ciò che intendiamo col termine anima. Come esplicita il titolo stesso, il film ci parla del nostro “di fuori” e del nostro “di dentro” e ce ne parla attraverso una storia asciutta, scabra, ma delicatissima e potente, che si regge in un difficile equilibrio tra un versante romantico-onirico ed un altro prosaico e problematico. Le scene si svolgono quasi completamente in interni, della capitale ungherese non filtra una sola immagine qualificante, riprese con maestria fotografica: da notare in particolare quelle dell’abitazione di Maria, la protagonista, un’abitazione estremamente linda, spoglia, ordinata, pallida, silenziosa, vera immagine dell’apparenza del suo carattere.
Le scene iniziali sono le più crude, in particolare quella di una mucca cui l’addetto ha chiuso il collo in una specie di garrota metallica a scatto, che tenga ferma la bestia in attesa del colpo d’arma che la fulminerà. Il colpo poi arriva, nascosto al nostro sguardo, ma prima… Prima una scena di indicibile sofferenza e pietà ci pone di fronte al muso della bestia, che se ne sta immobile e immobile fissa l’obbiettivo, dunque noi, e indubbiamente c’interroga; non fa un verso, non si muove, forse sa cosa le arriverà fra un attimo, fra un secondo, forse fra dieci secondi…
A proposito di Maria, non mi pare sia stato rilevato ciò che secondo me è invece molto importante per dare significato alla storia tra lei, che di mestiere fa la responsabile del controllo qualità nel mattatoio, e Endre, il suo direttore amministrativo: ovvero il fatto che Maria sia sostanzialmente autistica. Enyedi ce lo fa capire illustrando diversi e numerosi sintomi e tic della protagonista: l’idiosincrasia a toccarsi e farsi toccare, la mania per la precisione (sa stimare a occhio se un vitello ha qualche millimetro di troppo di grasso), la mania per la pulizia (non sa trattenersi dal rimuovere briciole di pane dalla tovaglia), la sconfinata memoria di dettaglio (ricorda con estrema precisione le date più improbabili). Lei dunque è autistica ed è per questo che ha difficoltà a mettersi in relazione, mentre Endre, verso il quale sviluppa una silente e crescente passione, da lui ricambiata, è assai più vecchio e con un braccio paralizzato. Ciò che sembra accomunarli è l’atteggiamento compassato, l’eloquenza ridotta al minimo, la semplicità dei modi. Lui, il primo a incuriosirsi, cerca di attaccare bottone, durante brevi e rapsodici incontri a mensa, lei sta sulle sue, anche se si capisce che Endre non le è indifferente.
Tutto cambia, con un vero coup de théâtre, quando da un’indagine svolta da una psicologa, atta a far luce sulla scomparsa dai locali del mattatoio di una certa quantità di droga utile all’accoppiamento dei tori, salta fuori che Endre e Maria, più o meno ogni notte… sognano lo stesso sogno, nei minimi particolari! Da notare che nel sogno sono lui un cervo, lei una cerbiatta, immersi in un bosco invernale, bianco di neve, silente, e che si sfiorano appena il muso: un sogno casto. La cosa è tanto assurda che la psicologa, che dei due (come degli altri dipendenti) ha raccolto questi e altri particolari, crede comprensibilmente che i due si siano inventati tutto per prenderla in giro, e, alla risposta risentita e negativa dell’uno e dell’altra, decide di metterli insieme a confronto, facendo sentire a entrambi le registrazioni dei loro racconti onirici: è così che Endre e Maria arrivano a conoscere questa straordinaria “coincidenza”, che ovviamente coincidenza non può essere: è invece il loro modo di amarsi a distanza, separatamente, senza dirselo. E sono così sicuri del loro amore, seppure a distanza, che a un certo punto si danno appuntamento… a stanotte: cioè a quando si rivedranno in sogno, ognuno a casa sua, ognuno nel suo letto. Dopo, arrivano perfino a scriverli, i loro sogni, e a passarsi reciprocamente la minuta, così da avere la prova provata quanto, davvero, si trovino in assoluta sintonia.
La storia ha risvolti problematici, e drammatici, finché, nel finale, corpo e anima trovano il modo di rappacificarsi, di unirsi. È così che i due, che ora vivono insieme, si accorgono di non sognare più: perché non ne hanno più bisogno.
Film intenso, recitato benissimo, grande la scrittura e la regia della Enyedi, un Orso d’Oro di gran valore.
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