La costruzione di un amore.
La passione passo dopo passo.
E il sangue, la costante a tratti metaforica, a tratti reale, della pellicola dell’ungherese Ildikó Enyedi, vincitrice dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival del cinema di Berlino.
Corpo e animaè il titolo di una commedia che sfugge ai canoni del semplice linguaggio d’amore. Non la sdolcinatezza del sentimento nella sua lontana voce, quanto un amore passionale, fatto di umori, di corpi, un amore fatto di anima, di cui ne viene mostrata la sua nascita, la sua crescita, la sua apparente ostilità, passo dopo passo.
Ambientato in un mattatoio, luogo paradigmatico di sangue e morte, in una struttura quasi ad “imbuto” dove gli operai in basso macellano mucche intontite e i dirigenti sopra, curano la qualità della carne secondo precisi standard, due persone, un uomo e una donna, si guardano, si studiano, si incontrano.
Lui è un cinquantenne direttore finanziario con un braccio paralizzato, lei una slavata trentenne apatica e vagamente autistica, nuova responsabile della qualità. Si conoscono in mensa nell’atmosfera sapida di grigia mediocrità esistenziale, scoprono di avere qualcosa in comune, qualcosa che risale al mondo dell’incanto.
Nel transfert della disinibita psicologa, chiamata a diagnosticare i comportamenti degli operai del mattatoio (non è da tutti avere lo stomaco per resistere alla macellazione), i “due corpi” scoprono di avere un’anima in comune, quella del sogno.
Nella dimensione onirica di una foresta innevata, i due si incontrano, si “reincarnano” in cervi, si annusano, si toccano e cercano, insieme, in un percorso comune in cui rivedersi. Sono due anime solitarie quelle del film di Enyedi, in costante ricerca di una precisa affermazione, grazie al linguaggio universale dell’amore passionale improntato sulla pelle, sulla carne.
E non è un caso che il film insista sul corpo, superi l’impronta metafisica di un amore platonico, fatto di sguardi e pacifiche rivelazioni, per mostrarsi duro e spietato. Corpi squartati di animali portati al macello, corpi mercificati dal lavoro alienante, corpi devastati dalla spirale di violenza concentrica di un amore involuto, corpi che imparano a vivere attraverso l’amore.
Accostando dimensioni oniriche di un mondo ai limiti della realtà e rappresentazioni di cruda bellezza, Enyedi inquadra con intelligenza la scena ingabbiando il contesto e concentrandosi sulle buffe fasi del tentennamento, del corteggiamento amoroso a distanza fra i due protagonisti, delle iterazioni di gesti consumati dove il sangue, sempre lui, l’orrore, diventa emblema di un cuore che finalmente può riprendere a battere dopo l’agonia di un corpo cristallizzato da perenne tempo.
Un cuore, che in una bellissima scena, visivamente un quadro neoclassico di Jacques Luis David, “La morte di Marat”, palesa tutta la sua dolcezza nel patologico ensemble dei due protagonisti, i cui corpi si uniranno travolti dalla passione tale da annullare ogni “menomazione” psicologica e soprattutto fisica.
Film sensibile questo Corpo e anima, capace di alternare e rivitalizzare con dolcezza il piccolo mondo antico della funesta combattività amorosa, un film anomalo che muta dal semplice contesto di stucchevole commedia per farsi portatore di sani e dolorosamente vividi temi universali, un film per imparare nuovamente a guardarsi, ad amare e lasciarsi andare.
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