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giovedì 22 giugno 2017
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mazzantini, non ci siamo ...
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Il film degli stereotipi triti e ritriti, che decolla -ma vola basso- solo a metà del secondo tempo. Neanche il cast da un contributo sufficiente , Castellitto salva in calcio d'angolo con una buona regia che spesso però riprende dai film precedenti.
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feliciar
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mercoledì 21 giugno 2017
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davvero, fortunata?
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Fortunata di Sergio Castellitto, ovvero le vite difficili nelle borgate romane: donne e uomini che non sanno come sbarcare il lunario, soli nella mescolanza delle periferie del mondo, tra cinesi e musulmani, integrati dalla povertà.
La protagonista corre tutto il giorno a fare shampoo e piega nelle case, ha una bimba piccola, un ex marito cialtrone e violento, anche, predatore sessuale. Ha il problema dei soldi, vuole mettere su un negozio di parrucchiere, vuole una vita migliore per lei e la bimba, ha amiche coatte e povere come lei.
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Fortunata di Sergio Castellitto, ovvero le vite difficili nelle borgate romane: donne e uomini che non sanno come sbarcare il lunario, soli nella mescolanza delle periferie del mondo, tra cinesi e musulmani, integrati dalla povertà.
La protagonista corre tutto il giorno a fare shampoo e piega nelle case, ha una bimba piccola, un ex marito cialtrone e violento, anche, predatore sessuale. Ha il problema dei soldi, vuole mettere su un negozio di parrucchiere, vuole una vita migliore per lei e la bimba, ha amiche coatte e povere come lei.
Ma, su questo, la storia non tanto funziona, questi coatti non fanno ridere come nel film di Verdone ( ""famolo strano ""), non sono i ragazzi di vita di Pasolini, non c'è la tenerezza di De Sica per la dolente povertà dei vinti. Qui sono un'etnia pacchiana, lontana dallo spettatore, estranei per la macchina da presa e non se ne coglie l'anima.
A rialzare le sorti c'è lei: Jasmine Trinca che campeggia ancheggiando sugli zatteroni dalle prime scene, andando di qua e di là, con la figlia a rimorchio, una bimba che si rivela straordinaria, promettente, attrice in erba.
Poi c'è un'altra lei a dare il suo contributo: è Hanna Schygulla che, in età anziana, disegna una splendida Antigone, confusa dall'Alzheimer, fino al tragico epilogo. Avevamo visto le sue splendide prove in età giovanile: la musa di grandi registi, la Maria Braun nel bellissimo film di Rainer Fassbinder e anche qui è magnifica, nella parte della attrice teatrale scivolata nella piu' perfida delle malattie.
In fondo, le figure femminili fanno la parte del leone, dei ruoli maschili si salva poco. Forse, Chicano, mezzo tossico e mezzo buono che, alla fine, la farà grossa. Dello psicologo, manco a parlarne: tra dubbi etici ( velocemente rimossi), abbandoni infantili ( di cui ancora lamenta), opportunismo economico ( la storia del jackpot), resta figura scialba, così così. Pare che il protagonista maschile sia il regista nascosto dietro la cinepresa. E' Castellitto che mostra trasporto e comprensione per il mondo femminile, esalta la nudità di Jasmine nel riprenderla con lo sguardo di un innamorato, coglie l'intimità tra madre e figlia con gli occhi di un marito amorevole.
Eppure non è la sua miglior prova, la trama è un po' didascalica , la narrazione non fluida come in "" Non ti muovere "", pare che il regista voglia svolgere una tesi, non seguire un racconto.
Alla fine, resta l'energia femminile, l'inizio di una nuova storia e.... una domanda: Fortunata ce la farà?
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mariaelena
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sabato 10 giugno 2017
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la sfortuna di fortunata
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Troppa concitazione e banalità... poca emotività e coinvolgimento
Fortunata vive al di fuori della realtà, perseguitata dalla fretta di raggiungere il suo sogno di proletaria che si riscatta. Ma il migliorare la propria vita per crescere meglio la figlia problematica lasciatole da un mariro violento e persecutorio, la porta ad un cammino arrabbiato contro tutto
e tutti Si avverte la sua incapacità di decisione nel valutare i rischi e i vantaggi delle situazioni a cui finisce sempre per ribellarsi irosa per affermare la sua autonomia di donna e di scelta da cui però non sa trarre nessun vantaggio.
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Troppa concitazione e banalità... poca emotività e coinvolgimento
Fortunata vive al di fuori della realtà, perseguitata dalla fretta di raggiungere il suo sogno di proletaria che si riscatta. Ma il migliorare la propria vita per crescere meglio la figlia problematica lasciatole da un mariro violento e persecutorio, la porta ad un cammino arrabbiato contro tutto
e tutti Si avverte la sua incapacità di decisione nel valutare i rischi e i vantaggi delle situazioni a cui finisce sempre per ribellarsi irosa per affermare la sua autonomia di donna e di scelta da cui però non sa trarre nessun vantaggio. Rimane un personaggio irrisolto; nonostante le impennate furibonde contro la sua precarietà di vita non si nota una vera e propria volontà di riscatto, attraverso la perseveranza .
E' una bella donna che la sciattezza.e il caracollare frenetico sulle alte zeppe, a cui la figlia decenne fa eco, rende questa popolana di borgata della Roma
odierna ferina e inafferrabile.In lei non ci sono remore, non conosce argini alla sua voglia e fretta di vivere,di esprimere tuta se stessa, di potersi realizzare. E' la forza stessa di una natura primordiale la sua, al di fuori del tempo...
Tutto è superabile. Qualsiasi ostacolo, trauma, dolore riesce a scivolarle addosso...non lascia ferite aperte, doloranti, nè capacità di autoanalisi;
non alterano il frenetico condursi attraverso la quotidianità che però non riesce a cambiare perchè la sua sorte e espressa ironicamente nel nome.
E' scontato e prevedibile l'approccio sessuale con lo psicoterapeuta della figlia, personaggio qualunquista e scarsamente professionale, che certamente non si imola per riscattarla, ma al contrario la imprigiona nel suo essere "sempre sopre le righe". E' banale l'amicizia fraterna ma solida con la figura squinternata del gay di cui difenderà ostinatamente l'omicidio della madre che definirà, quasi a convincerci, che si trattava di amore pagamendone ovviamente il riscatto per la scarcerazione con i pochi risparmi accumolati. Così il fleesch bach del suo trauma infantile a spiegazione del suo particolare essere appare scontato, cos' come quella figura ambigua di padre che si drogava...
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Ma forse la straordinarie resilienza di Fortunata è perchè, in effetti, si tratta dell'Arabe fenice.
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claudia
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giovedì 8 giugno 2017
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rabbia e dolore...
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Fortunata... A dispetto di quanto potrebbe far pensare il titolo, che rappresenta anche il nome della protagonista, è un film molto drammatico, che lascia poco spazio al positivo.
La rabbia è l'emozione dominante, evidente sui volti dei protagonisti.
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Fortunata... A dispetto di quanto potrebbe far pensare il titolo, che rappresenta anche il nome della protagonista, è un film molto drammatico, che lascia poco spazio al positivo.
La rabbia è l'emozione dominante, evidente sui volti dei protagonisti. Una rabbia che cela il dolore e la tristezza dell'abbandono, soprattutto di quello affettivo: è questo il denominatore comune dei personaggi.
Protagonista una Roma di borgata con i disagi e le tragedie che si consumano dietro alle mura e alle finestre delle abitazioni.
Vittime e carnefici si alternano continuamente... Anche la persona che sembrerebbe più corretta e integerrima, uno psichiatra, finisce per confermare il copione che si ripete e che non fa che schiacciare le vite dei protagonisti, soli di fronte all'impotenza di riuscire a farcela e a sopravvivere nel degrado e nelle difficoltà economiche.
Insomma un film altamente drammatico e nichilista. L'unica nota positiva, la scena finale che fa capire come, nonostante l'incapacità di prendersene cura, Fortunata riesca almeno a continuare ad esserci per sua figlia.
Un film di fiori che nascono in mezzo alle macerie.
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valterchiappa
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lunedì 5 giugno 2017
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l'antitesi del neorealismo
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Margaret MazzantinI ha deciso, come tanti altri, di scrivere delle periferie romane. E, immaginiamo, si è seduta nel suo studio, immaginiamo ancora, confortevole. Con la fantasia è volata a Torpignattara (Torpigna per gli amici), zona per vecchia antonomasia malfamata. Peccato che oggi Torpigna sia un quartiere senz’altro popolare e colorito nella sua multietnia, ma ormai inserito nel tessuto urbano della Capitale. La frontiera è più in là, qualche chilometro oltre sulla Casilina, fra i palazzi perduti nel nulla, fra gli sfasci e i campi rom. La collocazione della vicenda dà già misura dei limiti del testo della scrittrice, cui sarebbe bastato, se non un giro in macchina, la visione degli ormai numerosi film (da “Non essere cattivo al recente “Cuori puri”), che hanno scelto come set e come luogo di osservazione i margini anonimi e sfrangiati della Capitale.
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Margaret MazzantinI ha deciso, come tanti altri, di scrivere delle periferie romane. E, immaginiamo, si è seduta nel suo studio, immaginiamo ancora, confortevole. Con la fantasia è volata a Torpignattara (Torpigna per gli amici), zona per vecchia antonomasia malfamata. Peccato che oggi Torpigna sia un quartiere senz’altro popolare e colorito nella sua multietnia, ma ormai inserito nel tessuto urbano della Capitale. La frontiera è più in là, qualche chilometro oltre sulla Casilina, fra i palazzi perduti nel nulla, fra gli sfasci e i campi rom. La collocazione della vicenda dà già misura dei limiti del testo della scrittrice, cui sarebbe bastato, se non un giro in macchina, la visione degli ormai numerosi film (da “Non essere cattivo al recente “Cuori puri”), che hanno scelto come set e come luogo di osservazione i margini anonimi e sfrangiati della Capitale. Margaret Mazzantini decide di scrivere delle periferie, ma lo fa secondo una sua idea intellettuale. Non le vive, non le sente, non le conosce, le sceglie solo luogo di esercizio per la sua penna altolocata. Decide di scrivere dei proletari, ma li rappresenta come li vede, creature letterarie, solo a tratti riconoscibili in personaggi reali.
Ma Margaret Mazzantini ha un’ambizione in più: vuole costruire il personaggio monumento, una donna che si erga come un’eroina contro le sventure del destino. Davanti agli occhi un riferimento dichiarato: Mamma Roma. Ed è qui che le sue pretese diventano blasfeme. Per una differenza sostanziale. Perché se anche l’opera di Pasolini è letteratura (altissima), essa sgorga da una realtà vissuta; per la Mazzantini è la letteratura a dover creare la realtà.
E in quest’ottica elitaria che la scrittrice dà vita ai suoi protagonisti. Al centro ovviamente Fortunata (Jasmine Trinca), parrucchiera a domicilio, dalla bellezza popolana e dal carattere indomito. Ha un ex marito, violento e prevaricatore (Edoardo Pesce), che rientra in casa quando vuole per minacciarla e magari levarsi qualche voglia, ed una figlia (la piccola Nicole Centanni), con un disturbo comportamentale attribuito alla separazione dei genitori.
Fortunata corre affannata da una parte all’altra della città per acconciare spose e festeggiate, inseguendo il sogno di aprire un negozio tutto suo, in società con l’amico d’infanzia (Alessandro Borghi), tatuatore tossico e bipolare, dal nome improbabile come la chioma (Chicano, neanche nei fotoromanzi), il quale vive con la madre (il fantasma di Hanna Schygulla), ex attrice di teatro ottenebrata nelle nebbie dell’Alzheimer. Fortunata si divincola e combatte quotidianamente in questo mondo difficile, difficilissimo, finché incontra inatteso l’amore nello psicologo che ha in osservazione la figlia (Stefano Accorsi). Gli eventi precipiteranno, ma non c’è neanche bisogno di dirlo.
Nel suo divertissement la Mazzantini sceglie il registro di espressione che le sembra più efficace a riprodurre quell’ambiente sociale: il fortissimo. In “Fortunata” tutti urlano, sbraitano, si agitano, gesticolano, si dimenano. Ma soprattutto si percepisce l’artificiosità della sua costruzione, che si traduce in dialoghi esasperati in uno sguaiato dialetto romano, fra citazioni di “Antigone” e massime memorabili (“Il teatro è importante, ma la fregna di più”) ed in scene surreali, fra esplosioni d’ira, sentimenti violenti, quotidiana cattiveria e occasionale follia. Il tutto condito da qualche doveroso richiamo al problema multietnico e da canzoni finalizzate alla ricerca del facile effetto emotivo, sia per il pubblico radical chic (Antony and the Johnsons), che per quello nazional popolare (“Vivere” di Vasco Rossi).
Sergio Castellittoasseconda la scelta stilistica della moglie con una regia nervosa, dinamica, attenta a cogliere il movimento, come quello nervoso delle gambe della protagonista; ma, come la moglie, si lascia andare ad inutili velleità stilistiche, stavolta di stampo sorrentiniano (lo straniante quadro dei cinesi che fanno ginnastica fra i palazzi).
Di tanta artefazione sono gli attori a pagare il prezzo. Jasmine Trinca è perfetta per il suo ruolo: bellezza naturale, lineamenti intagliati, sguardo ardente. La sua interpretazione è eccellente, giustamente premiata a Cannes nella sezione “Un certain regard”: domina lo schermo e si erge statuaria, così come l’autrice vorrebbe, ma grazie alla presenza scenica, non certo per le battute affidategli. Alessandro Borghi, chiamato per l’ennesima volta ad un ruolo border line, riesce ad essere estremamente espressivo, così come Hanna Schygulla, monumento del cinema, regala perle della sua arte. Ma entrambi nulla possono contro i limiti di personaggi grotteschi nella loro letterarietà intesa nel senso più deteriore del termine. Stefano Accorsi, oscillante fra la melliflua gentilezza e l’iraconda passionalità, ci aggiunge del suo, ricadendo nei suoi limiti consueti. Alla fine il più efficace è il meno appariscente: Edoardo Pesce, anche lui relegato alla solita parte di cattivo, viene premiato dal ruolo meno costruito e quindi, purtroppo, più realistico.
“Fortunata”è un romanzo popolare, quella scrittura per anime semplici che in essa vorranno vedere letteratura, e come tale probabilmente avrà successo. Ma non è neorealismo, anzi è la sua esatta antitesi. Per parlare della vita della gente comune bisogna scendere in strada e sporcarsi mani e piedi, riempirsi gli occhi e lasciar trascinare la penna dal cuore. Altro che questione di stile.
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eugenia
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lunedì 5 giugno 2017
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commento
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Commento colto e fin troppo analitico .Il film ha un impatto coinvolgente con un finale che lo assolve dai suoi punti deboli.Indugia su scene oniriche ,trapela sempre una violenza sottesa anche lì dove non si esprime.L'universo maschile è rappresentato in negativo .la figura di Patrizio e' la peggiore .Leguleio ,incapace ,fallito e impaurito ,Vince ed emerge la donna sempre in lotta ma che trova nella sua forza il suo riscatto .Evidente il legame con "Non ti muovere"
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barbyrosemarie
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sabato 3 giugno 2017
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quale la finalità di un film così autolesionista: proiezione del male come terapia al bene?
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Il racconto del film è incentrato sulla protagonista Fortunata, nome in antitesi con il suo vissuto, il determinismo di un destino avverso sembra regnare fra i personaggi del film stesso. Nel film si avvicendano sentimenti di forte passionalità, dove la sessualità è consumismo vuoto, fine a se stesso, dove la relazione è possesso, dove la malattia è fuga dalla realtà, neanche la professionalità e la personalità dello psicologo riesce ad emergere da queste autodistruzioni. La realtà traspare nel più cupo materialismo, senza sbocco assiologico o religioso. Nel film vi è il raffronto della vita con quello deterministico della tragedia greca. Il finale è lasciato allo spettatore: o far finire la protagonista con il suicidio oppure farla accettare passivamente di "lasciarsi vivere".
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Il racconto del film è incentrato sulla protagonista Fortunata, nome in antitesi con il suo vissuto, il determinismo di un destino avverso sembra regnare fra i personaggi del film stesso. Nel film si avvicendano sentimenti di forte passionalità, dove la sessualità è consumismo vuoto, fine a se stesso, dove la relazione è possesso, dove la malattia è fuga dalla realtà, neanche la professionalità e la personalità dello psicologo riesce ad emergere da queste autodistruzioni. La realtà traspare nel più cupo materialismo, senza sbocco assiologico o religioso. Nel film vi è il raffronto della vita con quello deterministico della tragedia greca. Il finale è lasciato allo spettatore: o far finire la protagonista con il suicidio oppure farla accettare passivamente di "lasciarsi vivere". Non è così, non deve essere così, se alla base del nostro vivere poniamo i valori allora tutto può essere trasformato nel nostro bene. Barbara
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roberteroica
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venerdì 2 giugno 2017
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un certain regard
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Chi scrive ha un ricordo non proprio positivo di Sergio Castellitto. Invitato ad una manifestazione di cinema a Lampedusa, “Il vento del nord” un paio di stagioni fa, si calò molto naturalmente, verrebbe da dire, nel ruolo di Grande Attore e Autore. Quello che ha la soluzione dei problemi del mondo e la spocchia dell’intellighenzia radical chic di troppa sinistra. Lo accompagnava una Jasmine Trinca non meno altezzosa. Con questa sorta di pregiudizio abbiamo visto l’ultima fatica di Castellitto regista, quel “Fortunata” che ha permesso alla Trinca di vincere un premio importante all’ultimo festival di Cannes (seppure non nel concorso principale).
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Chi scrive ha un ricordo non proprio positivo di Sergio Castellitto. Invitato ad una manifestazione di cinema a Lampedusa, “Il vento del nord” un paio di stagioni fa, si calò molto naturalmente, verrebbe da dire, nel ruolo di Grande Attore e Autore. Quello che ha la soluzione dei problemi del mondo e la spocchia dell’intellighenzia radical chic di troppa sinistra. Lo accompagnava una Jasmine Trinca non meno altezzosa. Con questa sorta di pregiudizio abbiamo visto l’ultima fatica di Castellitto regista, quel “Fortunata” che ha permesso alla Trinca di vincere un premio importante all’ultimo festival di Cannes (seppure non nel concorso principale). Molti giornali hanno parlato in modo piuttosto imbarazzato di questo melodramma calato nelle borgate romane, come un “de profundis” dell’originalità (e della falsa modestia) del nostro cinema. In realtà, a cose fatte, “Fortunata” non è proprio quel disastro di cui si dice. E’ un film che gioca a carte scoperte con lo spettatore, non esagera con le scene madri, si affida molto, in sede di sceneggiatura (che è di Margaret Mazzantini, tanto bene come tanto male, anche qui) alle dinamiche del caso e ha un trio di attori (la Trinca, Borghi e il bravissimo Edoardo Pesce) molto ben diretti. Alessandro Borghi recupera invece il tossico di “Non essere cattivo” e recita col pilota automatico. C’è anche la mitica Hanna Schygulla, musa di Fassbinder, che interpreta la madre di Borghi ed ha l’Alzheimer (e quando ad una cena, per compiacere le sue pose da grande attrice, le viene detto che il teatro è molto importante, lei risponde serafica: “la fregna ancora di più”). Il peggiore del gruppo comunque è Accorsi, ma questa non è una novità. La tenuta nel complesso c’è, la qualità solo a tratti, ma si arriva alla fine senza grandi cadute di stile (a parte quella di cui sopra). Castellitto regista ricorda un po’ Enrico Maria Salerno (“Eutanasia di un amore”, “Cari genitori”, “Anonimo veneziano”) che quando nel tempo libero giocava a dirigere gli altri, sfornava melodrammi pazzeschi, tra situazioni strappalacrime, personaggi più grandi della vita e un costante parossismo della messa in scena.
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mardou_
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martedì 30 maggio 2017
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vivere... e sperare di star meglio
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E' una storia di passi l'ultimo lavoro di Sergio Castellitto, lungo il percorso difficile ed insensato della vita.
Conosciamo subito la protagonista con una lunga inquadratura fissa solo sulle sue gambe il cui incedere veloce e sgraziato resta il tratto dominante di tutto il film e camminiamo con lei per le strade di una Roma desolata ed ostile, dove l'attrito razziale e il disagio quotidiano non lasciano spazio alla speranza.
Quelle zeppe troppo alte e scomode sono l'elemento fondamentale intorno a cui Jasmine Trinca costruisce il personaggio di Fortunata. L'attrice romana ha tradotto la sua timidezza, l'essere impacciata, vagamente goffa e mascolina nella volgarità genuina e nella rabbia quasi infantile di questa donna sola contro un mondo che non le ha fatto sconti.
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E' una storia di passi l'ultimo lavoro di Sergio Castellitto, lungo il percorso difficile ed insensato della vita.
Conosciamo subito la protagonista con una lunga inquadratura fissa solo sulle sue gambe il cui incedere veloce e sgraziato resta il tratto dominante di tutto il film e camminiamo con lei per le strade di una Roma desolata ed ostile, dove l'attrito razziale e il disagio quotidiano non lasciano spazio alla speranza.
Quelle zeppe troppo alte e scomode sono l'elemento fondamentale intorno a cui Jasmine Trinca costruisce il personaggio di Fortunata. L'attrice romana ha tradotto la sua timidezza, l'essere impacciata, vagamente goffa e mascolina nella volgarità genuina e nella rabbia quasi infantile di questa donna sola contro un mondo che non le ha fatto sconti.
Ne è nato il ruolo più completo e maturo della sua carriera che non a caso le è valso il premio come miglior interpretazione femminile nella sezione Un Certain Regard all'ultimo Festival di Cannes...
Una pellicola che guarda al cinema italiano di ieri, su tutti il Pasolini di “Accattone” e di “Mamma Roma” , per parlare del nostro presente, in fondo così poco diverso da allora...
Cento minuti che scorrono proprio per questo con qualche manierismo di troppo ed inciampano in alcuni passaggi, quando, per esempio, il personaggio di Patrizio interpretato da Stefano Accorsi richiama forzatamente il Timoteo di “Non Ti Muovere”, film che resta il migliore delle opere scritte e dirette a quattro mani da Castellitto e dalla moglie Margaret Mazzantini.
Una nota particolare va all'ottimo lavoro di Alessandro Borghi, il cui Chicano è senza dubbio il ruolo maschile più indovinato, nel suo essere troppo debole e dipendente per permettersi anche solo l'idea di un cambiamento e all' esordiente Nicole Centanni, di soli nove anni, che si è trasformata nella figlia di Fortunata in maniera impeccabile. Del resto il futuro è delle donne...
Elisabetta BM
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domenica 28 maggio 2017
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fortunata
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Fortunata è un gran bel film. Magari ce ne fossero! Il fatto che sia stato apprezzato in Francia la dice lunga sul valore di questa pellicola.
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