kimkiduk
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martedì 15 novembre 2016
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nonostante
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Dunque .... non è facile scrivere di questo film. Bellocchio non mi affascina completamente e non ho letto il libro. Dopo la visione si capisce però chiaramente il perchè della scelta di tradurre in film il libro di Gramellini. Ha tutto quello che piace a Bellocchio, mistero, follia, ricerca della verità, psicanalisi. Un film che si dibatte tra parti inutili o quasi, immagini sicuramente non eccelse, imperfezioni stilistiche e dettagli fortemente trascurati da una parte e alcune altre decisamente autoriali e bellissime con dialoghi di autentico cinema. Ma si sa a Bellocchio la forma spesso difetta perchè non interessa. A lui interessa rappresentare il concetto e in quello ci riesce. Ci riesce soprattutto inserendo due interventi di attori recitanti (Herlitzka e Gifuni).
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Dunque .... non è facile scrivere di questo film. Bellocchio non mi affascina completamente e non ho letto il libro. Dopo la visione si capisce però chiaramente il perchè della scelta di tradurre in film il libro di Gramellini. Ha tutto quello che piace a Bellocchio, mistero, follia, ricerca della verità, psicanalisi. Un film che si dibatte tra parti inutili o quasi, immagini sicuramente non eccelse, imperfezioni stilistiche e dettagli fortemente trascurati da una parte e alcune altre decisamente autoriali e bellissime con dialoghi di autentico cinema. Ma si sa a Bellocchio la forma spesso difetta perchè non interessa. A lui interessa rappresentare il concetto e in quello ci riesce. Ci riesce soprattutto inserendo due interventi di attori recitanti (Herlitzka e Gifuni). Ho trovato questi due momenti molto intensi e chiarificatori per il tema fondamentale del film. Gifuni quasi strepitoso seppur per pochi minuti e che rappresenta un personaggio che si è fatto da solo; vincente perchè non ha mai avuto paura di perdere tutto, ma che poi nel momento che sa che perderà tutto davvero si suicida. Herlitzka che rappresenta un prete/docente che in tutte e due le sue funzioni "quasi" nega Dio a chi per forza deve trovarlo (Massimo adolescente). Tutti e due però chiariscono e rappresentano quello che Bellocchio (non so se lo dice anche Gramellini) vuol far capire (secondo me) la falsità della gente e del mondo intero. Massimo stesso negherà il dramma della sua vita a tutti per anni e nel momento che gli capiterà l'occasione di dire la sua verità, vomitandola a tutti per il suo lavoro di giornalista, verrà a sua volta accusato di falsità nell'unico momento vero da lui avuto. Nel finale c'è tutto. C'è la scoperta del segreto. Massimo doveva sapere prima o poi la sua verità. La scoprirà e capirà che a volte il reale è peggiore del falso e sicuramente più doloroso ma perchè vissuto per troppo tempo nel non vero (sono cose che non si possono capire da soli). Bellocchio si serve sempre di altri e della psicanalisi. Anche la Bejo (Elisa) da medico di Pronto Soccorso diventa psicologa più volte (lasciala andare). Un film che rappresenta la vita di Gramellini ma che esprime sicuramente l'analisi della vita di Bellocchio. Unico dubbio il finale che ha due facce possibili tutte e due bellissime che aumenta il voto del film sicuramente. La prima che la madre sapeva di già che il figlio avrebbe sofferto tantissimo nel momento della sua sparizione ma lo fa lo stesso ed allora vuol dire che Bellocchio la colpevolizza totalmente nella scelta che farà. La seconda che sia stato tutto un gioco il nascondersi e lo sparire e che sia il sogno di un bambino e le sue paure. Ognuno scelga la versione che preferisce. Io la prima. Finisco con la costatazione che il direttore della Stampa nel film dice di scrivere di getto senza rileggere .... c'ho provato e non ce l'ho fatta.
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robroma66
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domenica 13 novembre 2016
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accessibile e coinvolgente
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Il 31 dicembre 1969 Massimo, ad appena nove anni, si sveglia nel sonno e vede il padre sorretto da due uomini. La mamma è morta.
Un paio di decenni più tardi: Massimo è un giornalista affermato, va in Bosnia come inviato durante la guerra, incontra Elisa. Ma il ricordo della sua mamma si allunga, costante, come un'ombra tormentata e non riesce a fargli chiudere i conti con il passato, finché non scopre la verità su quella morte.
A me il film provoca una sensazione dicotomica. Non è il prodotto migliore di Bellocchio: è un film facile e perfino ordinario, senza sottintesi metafisici, senza visionarietà, un po' lungo e con qualche momento di stanchezza o ridondanza. Tuttavia il tema dell'assenza che è presenza ineluttabile, il dolore ossessivo per la perdita (con un fondo oscuro di senso di colpa), l'empatia assoluta del piccolo verso la mamma -vero e puro amore- me lo rendono molto caro ed emotivamente travolgente.
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Il 31 dicembre 1969 Massimo, ad appena nove anni, si sveglia nel sonno e vede il padre sorretto da due uomini. La mamma è morta.
Un paio di decenni più tardi: Massimo è un giornalista affermato, va in Bosnia come inviato durante la guerra, incontra Elisa. Ma il ricordo della sua mamma si allunga, costante, come un'ombra tormentata e non riesce a fargli chiudere i conti con il passato, finché non scopre la verità su quella morte.
A me il film provoca una sensazione dicotomica. Non è il prodotto migliore di Bellocchio: è un film facile e perfino ordinario, senza sottintesi metafisici, senza visionarietà, un po' lungo e con qualche momento di stanchezza o ridondanza. Tuttavia il tema dell'assenza che è presenza ineluttabile, il dolore ossessivo per la perdita (con un fondo oscuro di senso di colpa), l'empatia assoluta del piccolo verso la mamma -vero e puro amore- me lo rendono molto caro ed emotivamente travolgente. Universale e intimista. Commovente.
I passi migliori sono quelli che dipingono il rapporto tra madre e figlio: così simbiotico da essere attraversato dal silenzio cioè da non aver bisogno di molte parole. Per contro gli incisi che si aggiungono a questo tema sembrano sovente superflui nell'economia del film (tipo il suicidio "in diretta" dell'uomo d'affari coinvolto in Tangentopoli). La donna e il bimbo sono i due personaggi più intensi, magnifici. Solida e di buon livello l'interpretazione di Mastandrea -che, come sempre, non ride mai: non ricordo un suo personaggio che si abbandoni a una risata-. E la scena finale è sublime: come in Buongiorno notte -in cui Aldo Moro camminava, vivo, in una piazza romana deserta-, anche qui c'è un sogno impossibile, e cioè il fatto che la sparizione della mamma era solo uno scherzo.
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fabiofeli
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domenica 13 novembre 2016
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"... senza lasciarmi detto niente!"
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Massimo (Nicolò Cabras) nel 1969 ha nove anni e vive a Torino con i genitori in una casa borghese a due passi dallo stadio Filadelfia, il campo dei mitici granata. E’ l’epoca di Canzonissima e degli sceneggiati televisivi: la madre fantasiosa e vivace stimola Massimo ad esprimere la sua fisicità elegante nel ballo del twist e segue con lui le puntate di Belfagor in Tv, abbracciandolo stretto e coprendogli di occhi nelle scene forti. Mentre cade una placida nevicata, la madre gli rimbocca le coperte e gli augura bei sogni, ma l’illusione di serenità si spezza nel dramma. L’improvvisa morte della madre – un infarto fulminante. gli dicono gli adulti – precipita Massimo in un lutto di impossibile elaborazione; dice: “Non può essersene andata, senza lasciarmi detto niente!”.
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Massimo (Nicolò Cabras) nel 1969 ha nove anni e vive a Torino con i genitori in una casa borghese a due passi dallo stadio Filadelfia, il campo dei mitici granata. E’ l’epoca di Canzonissima e degli sceneggiati televisivi: la madre fantasiosa e vivace stimola Massimo ad esprimere la sua fisicità elegante nel ballo del twist e segue con lui le puntate di Belfagor in Tv, abbracciandolo stretto e coprendogli di occhi nelle scene forti. Mentre cade una placida nevicata, la madre gli rimbocca le coperte e gli augura bei sogni, ma l’illusione di serenità si spezza nel dramma. L’improvvisa morte della madre – un infarto fulminante. gli dicono gli adulti – precipita Massimo in un lutto di impossibile elaborazione; dice: “Non può essersene andata, senza lasciarmi detto niente!”. Tempesta di domande e di dubbi il suo insegnante, un prete (un cameo del bravissimo Roberto Herlitzka), ma la sola risposta è la fede, non la razionalità. Cresce con difficoltà Massimo, con un ruvido padre che lo porta allo stadio ed esulta sollevandolo come un trofeo per i gol del Toro. Diversi anni dopo lo ritroviamo giornalista alla Stampa (Valerio Mastandrea), specialista sportivo, ma anche inviato speciale nella crisi jugoslava. Raccoglie le ultime confidenze di un magnate della finanza (Fabrizio Gifuni), appena prima del suo suicidio ed è il successo; arriva anche la notorietà da una sua risposta ad un lettore legato alla madre da un rapporto amore-odio. Ma ancora vagola con la sua compagna ad una festa rave e si scioglie solo nella fisicità del ballo, un twist come sa farlo solo lui. E’ tormentato da quell’antico ricordo e dal non sapere la verità che tutti gli hanno nascosto …
Il libro di Gramellini offre una bella traccia sulla quale Bellocchio lavora con grande destrezza. Il filo storico che si dipana lungo trenta anni racconta anche della provincialità del nostro paese, stretto tra calcio e canzoni. Ma il tema centrale è quello di una madre morta non si sa in quali circostanze che rappresenta un ingombro più difficile da rimuovere della madre da eliminare di Alessandro-Lou Castel ne “I pugni in tasca”. Lo stesso dramma del corpo di una madre uccisa nella guerra dei Balcani con il figlio piccolo seduto davanti, intento ad un videogame, si ripresenta a Massimo spingendolo indietro nel tempo. Non basta liberare di tutti i ricordi la casa nella quale ancora il protagonista vive: deve sapere la verità per ritrovare, come fosse ancora un bambino, la madre nascosta in un inquietante gioco a nascondino e finalmente l’orologio della sua vita riprenderà a scandire il tempo congelato dell’infanzia. Bellocchio si fa apprezzare (o criticare) per la scelta dei suoi temi e per il modo di raccontare le sue storie. Ma innegabilmente sa farlo bene e i suoi attori, diretti magistralmente, sono tutti ottimi: da citare anche Caprino, la Ronchi e la Bejo. Una segnalazione particolare la merita Mastandrea, sempre più maturo ed espressivo pur nel suo dolente ruolo quasi afasico. Ancora un film di grande qualità. Da non mancare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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filippo catani
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giovedì 17 novembre 2016
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troppo pesante
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Torino. Un bambino rimane presto orfano di madre e crescerà insieme al padre che gli trasmetterà la passione per il Torino. Divenuto adulto e giornalista della Stampa, l'uomo cerca di fare un po' i conti con la sua infanzia e il suo rapporto con la madre.
Tratto dall'opera di Gramellini, il film di Bellocchio appare decisamente confuso e troppo pesante. I continui balzi e sbalzi temporali ed umorali non aiutano certo lo sviluppo della trama. La sceneggiatura finisce così per essere decisamente troppo dilatata specialmente nella parte iniziale e smarrisce un po' la strada. Mastandrea è come sempre bravissimo e fa gli straordinari per caricarsi sulle spalle tutto l'apparato ma nemmeno lui può nel miracolo.
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Torino. Un bambino rimane presto orfano di madre e crescerà insieme al padre che gli trasmetterà la passione per il Torino. Divenuto adulto e giornalista della Stampa, l'uomo cerca di fare un po' i conti con la sua infanzia e il suo rapporto con la madre.
Tratto dall'opera di Gramellini, il film di Bellocchio appare decisamente confuso e troppo pesante. I continui balzi e sbalzi temporali ed umorali non aiutano certo lo sviluppo della trama. La sceneggiatura finisce così per essere decisamente troppo dilatata specialmente nella parte iniziale e smarrisce un po' la strada. Mastandrea è come sempre bravissimo e fa gli straordinari per caricarsi sulle spalle tutto l'apparato ma nemmeno lui può nel miracolo. Bejo decisamente spaesata e fuori ruolo e il suo personaggio risulta poco caratterizzato e quasi banale. Certo c'è una grande riflessione sui problemi di crescere senza madre ma insomma la riflessione manca di nerbo e si risolve con una rivelazione finale che lo spettatore più attento poteva dedurre nel giro di una ventina di minuti. Peccato perchè con un taglio diverso e una durata più congrua il materiale per realizzare una buona pellicola c'era tutto. Invece così si rimane in mezzo al guado o forse si rimane proprio impantanati.
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flyanto
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venerdì 18 novembre 2016
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una profonda ferita dal passato
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Tratto liberamente dall'omonimo romanzo di Massimo Gramellini, il film racconta della tragedia, avvolta in un mistero, che colpì il protagonista (lo stesso Gramellini) quando era un bambino di circa 8 anni: la morte prematura dell'amata madre. Da quel momento terribile il bambino vivrà sempre la propria esistenza come se fosse un poco "disagiato", col timore di esternare apertamente i propri sentimenti e con un forte bisogno di affetto ma soprattutto inconsapevole totalmente della verità riguardante il decesso della madre. Verità che egli apprenderà per caso una volta divenuto adulto e che, ovviamente, gli sconvolgerà completamente la propria vita e le sue certezze.
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Tratto liberamente dall'omonimo romanzo di Massimo Gramellini, il film racconta della tragedia, avvolta in un mistero, che colpì il protagonista (lo stesso Gramellini) quando era un bambino di circa 8 anni: la morte prematura dell'amata madre. Da quel momento terribile il bambino vivrà sempre la propria esistenza come se fosse un poco "disagiato", col timore di esternare apertamente i propri sentimenti e con un forte bisogno di affetto ma soprattutto inconsapevole totalmente della verità riguardante il decesso della madre. Verità che egli apprenderà per caso una volta divenuto adulto e che, ovviamente, gli sconvolgerà completamente la propria vita e le sue certezze.
Marco Bellocchio firma questa pellicola molto delicata e toccante per il particolare argomento che riguarda un ragazzino privato nell'affetto e, precisamente, di quello più forte e profondo nei confronti della propria madre con cui, peraltro, egli aveva un rapporto molto simbiotico e di complicità estrema, ed il suo vivere in una sorta di atmosfera quasi "irreale" e di "sospensione" dove probabilmente egli aveva già avvertito o sospettato sin dall'inizio che qualcosa era poco chiaro ma che nello stesso tempo aveva accettato (o ha dovuto accettare per forza) al fine di poter continuare più o meno serenamente la propria esistenza. E quello che dà valore al film è proprio la maniera in cui tutto ciò viene presentato da Bellocchio che alterna le scene riguardanti l'infanzia del protagonista Massimo e la sua solitudine interiore con quelle di lui adulto sempre a disagio e con attacchi di panico, senza però mai sconfinare nel mieloso o nell'eccessiva pateticità. Pure ben interpretato dal ricco cast di attori (Valerio Mastrandrea, Bérénice Bejo, Fabrizio Gifuni, Roberto Herlitzka, Piera degli Esposti, ecc...) che il regista ha sapientemente scelto e con molti dei quali collabora soventemente, "Fai Bei Sogni" risulta sicuramente una buona e consigliabile pellicola.
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maxime dubois
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giovedì 24 novembre 2016
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il passato è il nostro miglior nemico
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Se volete svegliare e scuotere un po’ I vostri punti emotivi e personali, magari addormentati dal ritmo cittadino della vita moderna e da un sacco di computer e faccine, allora questo film è un bel boccone. Questo film scuote qualcosa dentro di noi perchè parla del tema della perdita, di quanto è dura perdere qualcuno che si ama e che ci ama. Mastandrea è bravissimo nel mostrarci la sofferenza di Simone; impressa nel suo volto, nelle sue espressioni, nel suo sguardo triste di chi ha vissuto e racchiude esperienze forti. A volte la faccia di Mastandrea mi sembrava un quadro e in quel quadro vedevo la fatica di vivere. E non in senso solamente negativo, ma c’era qualcosa di affascinante in quella fatica dietro cui si nasconde una forte sorgente di vita, indice di un anima profonda, ricca.
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Se volete svegliare e scuotere un po’ I vostri punti emotivi e personali, magari addormentati dal ritmo cittadino della vita moderna e da un sacco di computer e faccine, allora questo film è un bel boccone. Questo film scuote qualcosa dentro di noi perchè parla del tema della perdita, di quanto è dura perdere qualcuno che si ama e che ci ama. Mastandrea è bravissimo nel mostrarci la sofferenza di Simone; impressa nel suo volto, nelle sue espressioni, nel suo sguardo triste di chi ha vissuto e racchiude esperienze forti. A volte la faccia di Mastandrea mi sembrava un quadro e in quel quadro vedevo la fatica di vivere. E non in senso solamente negativo, ma c’era qualcosa di affascinante in quella fatica dietro cui si nasconde una forte sorgente di vita, indice di un anima profonda, ricca. In questo film viaggiamo un po’ insieme al protagonista tra la sua infanzia e il suo presente, vediamo la sua solitudine, la sua grande sofferenza per la madre perduta e come la sofferenza l’ha reso vecchio con anticipo. E’ un film che ho apprezzato e con cui ho stretto un legame sentimentale, ma è personale e soggettivo. La solitudine del protagonista era anche la mia di solitudine e penso un po’ di tutti noi. Così come la sofferenza. E in questo riconoscersi nel film, vuol dire che ha fatto centro. Si potrebbe dire che questo film ha momenti in cui la palla quasi cade per terra nel senso che a volte perde un po’ di energia e va avanti lentamente. Sono sicuro che alcuni lo troverebbero un po’ lungo e certi momenti irrilevanti. E in un certo senso sono anche d’accordo. Però non è importante. Ciò che per me è stato importante in questa pellicola è che mi ha fatto entrare in the ‘zone’. E quindi anche quando poteva risultare un poco superfluo o lento mi sentivo dentro questo stato quasi contemplativo, molto intimo e personale. E’ come se anch’io ho fatto un tragitto e alla fine del film mi sono trovato in punto diverso rispetto a dov’ero prima che iniziasse. Già il fatto di cambiare lo stato di uno spettatore che esce dalla sala in modo diverso, qualunque esso sia, è un gran risultato per ogni forma d’arte.
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francesca50
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domenica 20 novembre 2016
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film interessante e non retorico
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Il film ben condotto e recitato al di là del libro che non ho letto e del giudizio su Bellocchio, del quale riconosco i dubbi di fede e una certa critica alla religione, che vorrebbe ma non può consolare le anime da un dolore inspiegabile, è uno dei pochi film italiani che mi è piaciuto.
Esso fa riflettere semplicemente su come le figure mitizzate non scompaiono mai. A Massimo è stata negata la fragilità della madre che forse se ben spiegata gli avrebbe consentito un'esistenza più normale. Questo a mio parere è il vero insegnamento che ho tratto dal film, che ho visto e sul quale scrivo senza aver letto nessuna critica.
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parteripario
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mercoledì 8 febbraio 2017
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ricredersi
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Non so con precisione quando la mia ammirazione per Massimo Gramellini e i suoi buongiorno su “La Stampa” sia scemata, né perché. Credo cinque o sei anni fa e forse perché gli ho scritto un paio di volte e non mi ha risposto, forse perché seguire uno che ha sempre ragione dopo un po' annoia, forse perché non sbrocca mai. E poi, più di due o tre buoni sentimenti la settimana mi fanno apparire chiazze rosse sulla pelle. Fatto sta che ho smesso di leggerlo e ho cominciato ad arricciare il labbro ogni volta che lo incontravo.
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Non so con precisione quando la mia ammirazione per Massimo Gramellini e i suoi buongiorno su “La Stampa” sia scemata, né perché. Credo cinque o sei anni fa e forse perché gli ho scritto un paio di volte e non mi ha risposto, forse perché seguire uno che ha sempre ragione dopo un po' annoia, forse perché non sbrocca mai. E poi, più di due o tre buoni sentimenti la settimana mi fanno apparire chiazze rosse sulla pelle. Fatto sta che ho smesso di leggerlo e ho cominciato ad arricciare il labbro ogni volta che lo incontravo. Adesso poi è passato al Corriere e le occasioni di incrociare i suoi scritti saranno poche o nulle.
Ieri sera ho visto “Fai bei sogni” il film che ne ha tratto Bellocchio con Valerio Mastandrea nella parte di Gramellini, appunto. Non ci sarei mai andato di mia iniziativa, ma il film apre una rassegna di 8 pellicole in abbonamento e quindi... E poi l'alternativa sarebbe stata la prima serata di Sanremo.
Il problema è che il film mi è entrato dentro. Subito. Dalle prime scene, e questo non era affatto previsto. È facile commuovermi. Due canzoni a cavallo tra gli anni 60 e 70, un po' di riferimenti alla Torino di quell'epoca e la nostalgia viene su come bagna caoda. Quel bambino (attore Nicolò Cabras, non bravo: bravissimo), figlio unico, che gioca con la sua mamma sarei potuto essere io: stessi anni, stesso tipo di casa, addirittura stesso quartiere, Santa Rita. La faccio breve: il film racconta una storia vera, nella quale si fa riferimento alla felicità soltanto per contrapporla alla perdita e alla mancanza. Si vedono e si intuiscono un'infanzia e un'adolescenza davvero pesanti, come non mi aspettavo. Il dramma che si consuma, poi, è di una semplicità tale da apparire credibile, quasi tangibile. Ora che ho visto il film, cambia qualcosa? Probabilmente sì. Toccandomi da vicino, ha avuto l'effetto di una doccia e mi ha lavato via un po' di spocchia polverosa. Mi sento come dopo una visita a un conoscente in un brutto reparto di un brutto ospedale: pieno di buoni propositi e pronto a iniziare un nuovo ciclo con un tasso di cinismo più contenuto. Finché dura.
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lupo67
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martedì 25 luglio 2017
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un film un po’ ruffiano
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Voto 6
Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico, questo film parla dell’eleborazione di un lutto. Massimo, il protagonista, perde la mamma a nove anni, e da quel momento in poi non sarà capace di interiorizzare la perdita, di attenuare il dolore a ricordo.
Il regista (Marco Bellocchio) ci porta a conoscere Massimo, ma lo fa intimamente, dall’interno di quel dolore, attraverso gli occhi del bambino che rifiutando la morte della madre, rifiuta con questo l’esistenza compiuta del Massimo adulto.
Nel film c’è una bella battuta. A Massimo, che continua a chiedersi come sarebbe se sua madre fosse ancora viva, un professore risponde che: Il “se” è il marchio dei falliti.
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Voto 6
Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico, questo film parla dell’eleborazione di un lutto. Massimo, il protagonista, perde la mamma a nove anni, e da quel momento in poi non sarà capace di interiorizzare la perdita, di attenuare il dolore a ricordo.
Il regista (Marco Bellocchio) ci porta a conoscere Massimo, ma lo fa intimamente, dall’interno di quel dolore, attraverso gli occhi del bambino che rifiutando la morte della madre, rifiuta con questo l’esistenza compiuta del Massimo adulto.
Nel film c’è una bella battuta. A Massimo, che continua a chiedersi come sarebbe se sua madre fosse ancora viva, un professore risponde che: Il “se” è il marchio dei falliti. In questa vita si diventa grandi “nonostante”. Ebbene, quel “se” è la forma che il regista ha voluto dare al film, e a mio parere ne costituisce anche il difetto più grande. Perché tutto il resto della narrazione si perde in quell’interrogativo, si polverizza sotto al peso di quella domanda enorme e priva di risposta. E il regista se ne rende ben conto, sa che il tema portante del film è fragile e che necessita di essere puntellato qua e là. E così troviamo il finanziere, la guerra a Sarajevo, Superga, l’amico del cuore, che assolvono certamente al compito, ma sono rivoli narattivi che si perdono nel nulla. Quando a questo aggiungiamo i continui salti temporali, usati più per movimentare una storia altrimenti statica che per virtuosismo o cinematografica necessità, ci troviamo confusi e perdiamo il senso della storia, che poi sta tutta nel primo e nell’ultimo quarto d’ora.
Tirando le somme, un film noiosetto e volutamente strappalacrime. Sse non ne già avessimo visti a dozzine di simili, sia peggiori, sia migliori, varrebbe anche la pena suggerirne la visione. Ma così com’è si tratta di un film decisamente anonimo, nonstante Bellocchio.
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domenica 20 novembre 2016
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bellocchio e la mamma
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Domenica scorsa impossibile trovare parcheggio in tempo per andare a vedere il film di Marco Bellocchio “FAI BEI SOGNI” tratto da un libro di Massimo Gramellini. Oggi ce l’abbiamo fatta anche se l’auto l’ho lasciata nei pressi di San Cesario di Lecce. Mi chiedo a quando una navetta ogni 30 minuti dall’incrocio con il Fazzi a Lecce? Lascerei la macchina al parcheggio e raggiungerei in autobus il vicino centro. Ma va bene questo è un altro discorso, torniamo al film di Bellocchio.
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Domenica scorsa impossibile trovare parcheggio in tempo per andare a vedere il film di Marco Bellocchio “FAI BEI SOGNI” tratto da un libro di Massimo Gramellini. Oggi ce l’abbiamo fatta anche se l’auto l’ho lasciata nei pressi di San Cesario di Lecce. Mi chiedo a quando una navetta ogni 30 minuti dall’incrocio con il Fazzi a Lecce? Lascerei la macchina al parcheggio e raggiungerei in autobus il vicino centro. Ma va bene questo è un altro discorso, torniamo al film di Bellocchio.
Senza perdere tempo affermo subito che, a mio sommesso parere, il film è stato molto più bello di quanto avessi previsto. Una bella storia, che poi è la vera storia di Massimo Gramellini, una bella interpretazione sia del ragazzo Nicolò Cabras che di Valerio Mastandrea.
La mamma è il tema del film che, nel caso di Gramellini, muorì quando lui aveva 9 anni con il conseguente senso di abbandono a carico del nostro amico giornalista - scrittore. Ma quello che è accaduto a Massimo Gramellini non accade solo agli orfani. Voglio dire che provare il senso di abbandono non è appannaggio esclusivo degli orfani; accade a tutti i maschi, nessuno escluso. Il film coinvolge anche Bellocchio che però arriva 15 anni dopo A.I. - Intelligenza artificiale (A.I. Artificial Intelligence) che è un film del 2001 diretto da Steven Spielberg, basato su un progetto di Stanley Kubrick che appunto tratta dell’abbandono in maniera ancora più estrema. Il film di Steven Spielberg è ambientato nell’ Anno 2125 e solo nell'anno 4125, i Mecha evoluti e dall'aspetto alieno, che hanno preso il posto degli umani, ormai estinti completamente, ridanno la possibilità di riabbracciare la mamma al Robot capace di amare che, fatto ciò, finalmente la lascia andare.
Valerio Mastandrea non riabbraccerà sua madre ma avrà le informazioni che gli permetteranno di lasciarla finalmente andare per sempre.
Un rapporto non completamente appagante tra mamma e figlio o un rapporto particolarmente conflittuale tra mamma e figlia, può sembrare incredibile, ma può emergere ed essere facilmente riconoscibile anche in un ex bambino diventato adulto.
Andate a vedere “Fai bei sogni” e, se ciò che ho precedentemente scritto si è verificato nella vostra vita, dopo il film ecco che riverrà alla luce. Magari sarà l’occasione buona per lasciare andare finalmente vostra madre, chissà?
Buona visione
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