flyanto
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venerdì 18 marzo 2016
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una divertente parodia su hollywood e molto altro
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L'ultima opera dei fratelli Ethan e Joel Coen "Ave Cesare" è una parodia del mondo di Hollywood e della politica degli Stati Uniti, soprattutto all'epoca del presidente Mc Carthy in cui imperversava ostinatamente la strenua e dura lotta contro il comunismo ed in ogni sua manifestazione. A ciò si unisce il solito umorismo sottile, tipico dei due registi, e la salace ironia per ciò che concerne il tema della religione.
Ambientato, appunto, negli anni '50, il film presenta un "fixer" di Hollywood (Josh Brolin), colui cioè che ha il compito di evitare o nascondere qualsiasi scandalo riguardante i personaggi del mondo dello spettacolo, il quale deve risolvere la questione dell'improvvisa scomparsa di un noto attore (George Clooney) altrimenti il film, ambientato nell'antica Roma, ai tempi della Passione di Cristo, non riesce ad essere terminato.
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L'ultima opera dei fratelli Ethan e Joel Coen "Ave Cesare" è una parodia del mondo di Hollywood e della politica degli Stati Uniti, soprattutto all'epoca del presidente Mc Carthy in cui imperversava ostinatamente la strenua e dura lotta contro il comunismo ed in ogni sua manifestazione. A ciò si unisce il solito umorismo sottile, tipico dei due registi, e la salace ironia per ciò che concerne il tema della religione.
Ambientato, appunto, negli anni '50, il film presenta un "fixer" di Hollywood (Josh Brolin), colui cioè che ha il compito di evitare o nascondere qualsiasi scandalo riguardante i personaggi del mondo dello spettacolo, il quale deve risolvere la questione dell'improvvisa scomparsa di un noto attore (George Clooney) altrimenti il film, ambientato nell'antica Roma, ai tempi della Passione di Cristo, non riesce ad essere terminato. Il suddetto attore in realtà è stato rapito da un gruppo di sceneggiatori hollywoodiani comunisti a cui servono i soldi del riscatto richiesto per la sua liberazione al fine di finanziare il proprio partito politico. Tra innumerevoli vicende ed avvenimenti che ostacolano grandemente il film in produzione, il suddetto "fixer" riesce a venire a capo della faccenda e finalmente terminare le riprese dell' opera cinematografica con ovviamente la messa in scena dell'attore liberato.
Quello che più si apprezza in questa pellicola è senza alcun dubbio la riproduzione quanto mai fedele dei lontani anni '50 e dell'atmosfera in generale del mondo patinato di Hollywood (che rivela e conferma il loro sconfinato amore per il cinema), in cui però regnavano grossi intrighi ed affari, nonchè scandali, di ogni sorta. E tutto ciò viene presentato dai fratelli Coen in forma sottilmente ironica, forse in certi momenti anche un poco esagerata, ma comunque assai divertente e soprattutto intelligente. Degna di nota, per esempio,.è la scena (che può richiamare alla lontana una scena di Woody Allen) in cui il produttore riunisce i vari rappresentanti delle varie fedi (cristiana, ebrea, musulmana, ortodossa) al fine di discutere come rappresentare nel film la figura di Cristo ed interessanti ed esilaranti sono le motivazioni da loro spiegate... Insomma, seppure non costituisca una delle opere migliori dei Coen, "Ave Cesare" risulta comunque un film intelligentemente divertente ed assai spassoso dove assurdità e contraddizioni del mondo statunitense vengono evidenziate e denunciate in maniera acutamente sarcastica.
Altamente consigliabile.
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carlottalattanzi
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sabato 19 marzo 2016
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e'.. complicato
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Ave Cesare non è una commedia che fa sbellicare, ma una sottile, lunga catena di sorrisi intimi tra cinefili che guardano il film e cinefili che fanno il film. È un occhiolino continuo. Josh Brolin è Eddie Mannix, eroe buono in un film sul fare film, e la trama è quella del film classico che parla di cinema classico, una trama doppia che s’interseca continuamente. La responsabilità pesa sul buon Mannix, fixer della casa di produzione Capitol, punto di riferimento del caotico e segretamente disastrato mondo dei divi; vuole smettere di fumare, e questa è la sua più strenua battaglia nella guerra combattuta a colpi di stress con attori, registi e sceneggiatori-comunisti anti-Capitol, che parlano del Capitale di Marx fumando sigarette e bevendo Martini a Malibu.
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Ave Cesare non è una commedia che fa sbellicare, ma una sottile, lunga catena di sorrisi intimi tra cinefili che guardano il film e cinefili che fanno il film. È un occhiolino continuo. Josh Brolin è Eddie Mannix, eroe buono in un film sul fare film, e la trama è quella del film classico che parla di cinema classico, una trama doppia che s’interseca continuamente. La responsabilità pesa sul buon Mannix, fixer della casa di produzione Capitol, punto di riferimento del caotico e segretamente disastrato mondo dei divi; vuole smettere di fumare, e questa è la sua più strenua battaglia nella guerra combattuta a colpi di stress con attori, registi e sceneggiatori-comunisti anti-Capitol, che parlano del Capitale di Marx fumando sigarette e bevendo Martini a Malibu. La doppia storia è un continuo salto tra scenografie e membri di un cast eccezionale, abili ciascuno a concentrare una bravura fuori dall’ordinario in una manciata di battute. I fratelli Coen lasciano lo spettatore spaesato, col desiderio di entrare nel film a rincorrere i personaggi. Ave Cesare è in sostanza un'overdose di cinefilia, un'excursus sui generi del cinema della vecchia hollywood, una smitizzazione bonaria dei suoi miti e dei suoi colossi. Uno di quei film che quando ti chiedono se ti è piaciuto puoi rispondere solo " Vorrei fosse così semplice".
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aabbaa
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mercoledì 23 marzo 2016
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un piccolo gioiellino
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Tralasciando la breve descrizione della trama che può essere letta dal critico di mymovies, Ave Cesare! è un film colto, profondo ed elegante. Riesce a divertire in modo intelligente senza mai annoiare. È una lettera d'amore a quella hollywood dell'età d'oro del cinema degli anni '50 che tanti capolavori ha sfornato.
Dal punto di vista tecnico il film è impressionante, buona la colonna sonora di Carter Burwell, ottima la fotografia di Roger Deakins e strabilianti le interpretazione degli attori (in particolare Josh Brolin, George Clooney, Channing Tatum e Scarlett Johansson). La regia dei Coen è, come sempre, ottima, ma è la sceneggiatura ciò che colpisce di più, raffinata e complessa. I temi trattati sono quelli tipici coeniani: religione, caso, insensatezza, rapimenti, riscatti,.
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Tralasciando la breve descrizione della trama che può essere letta dal critico di mymovies, Ave Cesare! è un film colto, profondo ed elegante. Riesce a divertire in modo intelligente senza mai annoiare. È una lettera d'amore a quella hollywood dell'età d'oro del cinema degli anni '50 che tanti capolavori ha sfornato.
Dal punto di vista tecnico il film è impressionante, buona la colonna sonora di Carter Burwell, ottima la fotografia di Roger Deakins e strabilianti le interpretazione degli attori (in particolare Josh Brolin, George Clooney, Channing Tatum e Scarlett Johansson). La regia dei Coen è, come sempre, ottima, ma è la sceneggiatura ciò che colpisce di più, raffinata e complessa. I temi trattati sono quelli tipici coeniani: religione, caso, insensatezza, rapimenti, riscatti,... trattati in modo sempre divertente e leggero. Come in 'Fratello dove sei?', il film è pervaso da un alone di religiosità palpabile dall'inizio fino alla fine. Come in 'Burton Fink', viene mostrata la hollywood di un tempo ma, a differenza di quest'ultima pellicola, il clima è molto meno cupo e tetro. Il caso e il non-sense è perennemente in aguato, proprio come accadeva in 'Burn after reading' e nel 'Grande Lebowsky'. Per finire, i fratelli Coen sono riusciti a sfornare un ottimo prodotto dove alla commedia si uniscono altri generi (giallo, noir) che riesce a far riflettere divertendo, senza mai annoiare.
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maramaldo
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mercoledì 23 marzo 2016
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marcuse, chi era costui?...
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...ovvero, quanto c'entra nel gruppetto di picchiatelli comunisti californiani? D'accordo, il pensatore tedesco, icona del '68, frullando Marx con Freud, sedusse tanta bella gente anche nel Cinema dove alcuni, proclamandosi di sinistra, finirono col patire sotto McCarthy. E' verso costoro che è indirizzato lo scherno? Serve oggi? Peccato, senza tanta acredine quest'opera dei Coen avrebbe potuto essere una gradevole commedia di gran classe. Ma più di uno spettatore si accorge subito che macchiette, gag, battute - realizzate con maestria ed umorismo di alto livello - non mirano a divertirlo ma veicolano metafore e messaggi pieni di livore.
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...ovvero, quanto c'entra nel gruppetto di picchiatelli comunisti californiani? D'accordo, il pensatore tedesco, icona del '68, frullando Marx con Freud, sedusse tanta bella gente anche nel Cinema dove alcuni, proclamandosi di sinistra, finirono col patire sotto McCarthy. E' verso costoro che è indirizzato lo scherno? Serve oggi? Peccato, senza tanta acredine quest'opera dei Coen avrebbe potuto essere una gradevole commedia di gran classe. Ma più di uno spettatore si accorge subito che macchiette, gag, battute - realizzate con maestria ed umorismo di alto livello - non mirano a divertirlo ma veicolano metafore e messaggi pieni di livore.
Con una continua ambiguità di fondo. Non sai mai quando finisce la rappresentazione filologica e quando comincia la parodia: quei cappellini con la penna ritta, quei pantaloni a banda larga e vita alta dovrebbero metterti di buon umore, invece ti deprimono come notazioni sarcastiche su un certo costume. E se non c'è rispetto del cinema come ambiente umano, non ce n'è di più per la stessa Arte. Si oltraggia, perfino, la Bellezza che è il volto di un dio nel quale tutti si ritrovano. Anche quando si mostra con le spoglie di un glamour volgaruccio: M'imbruttiscono Scarlett Johansson, i sacrileghi! Va meglio al solido e sornione George Clooney. Maturo e misurato, simpaticamente a suo agio nel gonnellino da antico romano, è l'unico umano nell'artificiosa farsa. Vero, uno di noi: disposto a credere in qualunque cosa purchè perdurino forza di carattere e memoria di una fede.
I segni religiosi. Non penso ad afflati mistici e, neppure, rovescio della medaglia, ad irrisioni razionalistiche. I Coen, stavolta, rimangono one-dimensional men, non si sollevano da problematiche terra terra. Li intriga, però, la confessione cattolica che forse ritengono superiore al lettino freudiano, l'introspezione guidata. Si capisce, il rito della Penitenza cancella colpe e sopprime rimorsi, ti rigenera e ti fa tornare pronto a fare (o rifare) quello che ritieni giusto.Sembra che ne consiglino la pratica quotidiana dato che sono sicuri che chiunque degli uomini può degradarsi ad ogni istante. E'chiaro che i due fratellini sono in crisi e, se guardano al lavacro dell'anima, è segno che vogliono, o debbano, pentirsi ed essere perdonati di qualcosa. Lasciamoli così, in attesa di tempi ed ispirazioni migliori.
Intanto, nel far ricerche ho trovato due pensieri che ritengo acconci. Uno, buono proprio con e per i Coen: Pensare è uno sforzo, credere un lusso. L'altro, buono per me e non solo...: Nove decimi di tutti i critici...andrebbero impiccati. Così parlò Herbert Marcuse.
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fabal
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giovedì 31 marzo 2016
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i coen in quel di hollywood
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Hollywood, anni ’50. Durante le riprese di un kolossal sulla nascita di Cristo l’attore protagonista (Clooney) viene rapito. Per lui si chiede un riscatto di 100.000 dollari. Intanto un’attrice spinta da irrefrenabile istinto materno desidera un figlio senza essere sposata, mentre due gemelle a caccia di scoop cercano di accaparrarsi lo scandalo di turno per farne un romanzo. Il filo conduttore di queste vicende è Eddie Mannix, fixer degli Studios, il cui compito è tenere le star lontane dagli scandali.
Più commedia che dramma post-moderno, il nuovo film dei Coen potrebbe far storcere il naso a qualche fan di prima maniera. Sarebbe ingeneroso definire “commerciale” la vocazione di Ave Cesare rispetto ad alcuni lavori passati, dove l’innovazione grottesca non aveva ancora raggiunto lo status di marchio di fabbrica e le vecchie soluzioni narrative di estemporanea ironia sapevano stupire.
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Hollywood, anni ’50. Durante le riprese di un kolossal sulla nascita di Cristo l’attore protagonista (Clooney) viene rapito. Per lui si chiede un riscatto di 100.000 dollari. Intanto un’attrice spinta da irrefrenabile istinto materno desidera un figlio senza essere sposata, mentre due gemelle a caccia di scoop cercano di accaparrarsi lo scandalo di turno per farne un romanzo. Il filo conduttore di queste vicende è Eddie Mannix, fixer degli Studios, il cui compito è tenere le star lontane dagli scandali.
Più commedia che dramma post-moderno, il nuovo film dei Coen potrebbe far storcere il naso a qualche fan di prima maniera. Sarebbe ingeneroso definire “commerciale” la vocazione di Ave Cesare rispetto ad alcuni lavori passati, dove l’innovazione grottesca non aveva ancora raggiunto lo status di marchio di fabbrica e le vecchie soluzioni narrative di estemporanea ironia sapevano stupire. Quella dei Coen non è una sterzata al politicamente corretto, ma una semplice moderazione del linguaggio cinematografico, comunque pungente, totalizzante e a tratti geniale. Meno geniale de L’uomo che non c’era e meno incisivo di Fargo, occorre ammetterlo. Ma Ave Cesare ha anche i suoi pregi, quelli più originali - come la scelta di fare cinema con e sul cinema - e quelli più “allineati”, coi personaggi grotteschi, la consueta pianificazione di un crimine ingenuo e il deus ex machina di turno.
Le espressioni di Clooney sono un mix di manierismo dell’attore da kolossal e sincero spaesamento: il suo centurione modello Charlton Heston è star dentro e fuori la scena.
Il difetto dell’elemento trainante, la personalità poco approfondita del fixer protagonista, permette comunque alle vicende parallele di rendere il film godibile, alternando le clip (meta-)cinematografiche e musicali alle sequenze dialogiche dal contenuto incredibilmente dettagliato.
La forma, forse, prevale sul contenuto, sorretta da fotografia e montaggio sempre brillanti. Ma anche il dibattito teologico sulla legittimità di portare Gesù sul grande schermo e i sermoni post marxisti dell’entourage marcusiano non passano certo inosservati.
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elpanez
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giovedì 10 marzo 2016
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una hollywood come non l'avevate mai vista!
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La nuova opera dei fratelli Coen ci catapulta in una hollywood folle, estrema, fuori dagli schemi e molto divertente. I fratelli Coen sono riusciti a farci capire la situazione hollywoodiana contemporanea guardando al passato, con personaggi descritti in maniera sublime, con un carattere, un ruolo ed un carisma fondamentali, importante e necessario. Benvenuti in Ave, Cesare!
La regia è stabile, non ci sono cali, la prima metà del film è tutta incognita, e questo ti tiene incollato allo schermo per tutta la durata del film poiché vuoi sapere che cosa succede, mette curiosità, suspance che si rivelerà per niente scontata e banale.
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La nuova opera dei fratelli Coen ci catapulta in una hollywood folle, estrema, fuori dagli schemi e molto divertente. I fratelli Coen sono riusciti a farci capire la situazione hollywoodiana contemporanea guardando al passato, con personaggi descritti in maniera sublime, con un carattere, un ruolo ed un carisma fondamentali, importante e necessario. Benvenuti in Ave, Cesare!
La regia è stabile, non ci sono cali, la prima metà del film è tutta incognita, e questo ti tiene incollato allo schermo per tutta la durata del film poiché vuoi sapere che cosa succede, mette curiosità, suspance che si rivelerà per niente scontata e banale. Una commedia che tratta temi importanti ed una critica ad hollywood superbamente azzeccata e geniale!
La sceneggiatura è fantastica, essendo abituato ai grossi calibri dei Coen non potevo aspettarmi uno schifo, i dialoghi sono intensi e tutti con un senso implicito che danno carisma sia alla trama che ai personaggi. I Coen riescono a raccontare e a farti riflettere su quanto possano essere corrotte le star, sulle correnti di pensiero che nascono fra i vari sceneggiatori che danno vita ad una vera e propria confraternita comunista, il che l’ho trovato geniale poiché quest’ultimi sono frustrati dal fatto che lo sceneggiatore sia ad un livello troppo basso di quello che dovrebbe essere ed è sotto il controllo delle produzioni che hanno in mano i soldi. Inoltre il rapporto fra i personaggi è costruito benissimo, inaspettato e dinamico.
La fotografia mi è piaciuta tantissimo, in certe scene molto chiara e “antica” (sembra che si stia guardando un film con l’effetto seppia) mentre in altre scene il gioco di luci e i volti che vengono illuminati da quest’ultime sono perfetti.
La colonna sonora è molto particolare, durante alcune scene vengono mostrati svariati tipi di film, dai musical, ai dramma… e in questo caso la colonna sonora varia molto e l’ho trovata giusta e coerente.
L’interpretazione degli attori è fenomenale, Clooney interpreta una star che si fa condizionare facilmente con problemi di alcool e anche di donne. La Johannson interpreta una signorina-donna incinta problematica e molto carismatica. Tatum, Hill e il resto del cast non fanno eccezioni. Il tutto naturalmente sorretto da una sceneggiatura e regia magistrale.
Naturalmente noto anche alcuni difetti, come alcuni buchi nella trama che dai Coen non mi aspettavo, inizialmente un po’ confusionaria e che ci mette un attimo ad ingranare, inoltre avrebbero potuto esplicitare maggiormente il finale, ma quest’ultima è più una scelta registica.
Infine, Joel e Ethan ci mostrano una hollywood a 360 gradi in ogni sua sfaccettatura con personaggi indimenticabili e folli come solo loro sanno creare, elogiando sceneggiatori e ridicolizzando star, una perla cinematografica che ci mostra un mondo cinematografico da noi non noto, espresso da un altro punto di vista e molto originale.
Complimenti.
Per ulteriori informazioni, il mio canale youtube: elpanez
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catcarlo
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venerdì 18 marzo 2016
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nostalgia e ironia
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Diciamocelo: è un film che regala soddisfazioni in prevalenza ai cinefili: lo spettatore occasionale potrebbe restare perplesso dinanzi a questa commedia sbilenca – come da tradizione degli autori – che però funziona meno bene di altre che l’hanno preceduta, procedendo un po’ a strappi nel solco di una sceneggiatura che alterna momenti divertenti a qualche passaggio a vuoto. Ma chi sente seppure in minima parte il fascino del cinema, specie se prodotto dalla Hollywood dei tempi d’oro, si lascia volentieri prendere per mano dai fratelli Cohen che lo fanno ritornare per un centinaio di minuti in un mondo già di per se con una buona dose di irrealtà e ormai perduto per sempre, svolgendo la narrazione su numerosi, a volte dissimulati livelli e avvalendosi di un brillante gruppo di interpreti, sovente collaboratori di lungo corso.
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Diciamocelo: è un film che regala soddisfazioni in prevalenza ai cinefili: lo spettatore occasionale potrebbe restare perplesso dinanzi a questa commedia sbilenca – come da tradizione degli autori – che però funziona meno bene di altre che l’hanno preceduta, procedendo un po’ a strappi nel solco di una sceneggiatura che alterna momenti divertenti a qualche passaggio a vuoto. Ma chi sente seppure in minima parte il fascino del cinema, specie se prodotto dalla Hollywood dei tempi d’oro, si lascia volentieri prendere per mano dai fratelli Cohen che lo fanno ritornare per un centinaio di minuti in un mondo già di per se con una buona dose di irrealtà e ormai perduto per sempre, svolgendo la narrazione su numerosi, a volte dissimulati livelli e avvalendosi di un brillante gruppo di interpreti, sovente collaboratori di lungo corso. Insomma, si tratta della capacità di far sognare che persegue l’industria per cui lavora Eddie Mannix (Josh Brolin) e nella quale lo stesso crede fermamente – evitando di cedere a offerte ben più allettanti – come dimostra l’episodio di sala di montaggio con C. C. Calhoun (Frances McDormand). Eppure il suo compito è rimediare agli intoppi di qualunque genere, fra i quali spiccano quelli dovuti alle bizzose personalità degli attori: il peggiore che gli capiti è la sparizione di Baird Whitlock dal set del peplum che dà il titolo al film condividendone pure la sussiegosa voce narrante, in originale di Michael Gambon - una via di mezzo tra ‘Ben Hur’, omaggiato esplicitamente dal sottotitolo, e ‘La tunica’. Baird è l’ennesima figura di stordito che Clooney interpreta per i Cohen, costretto ad andare in giro vestito da centurione per tutto il tempo, incluso quando viene rapito e indottrinato da una conventicola di comunisti hollywoodiani ispirati da un barbuto professor Marcuse (John Bluthal). La traccia serve soprattutto a spaziare fra i generi dell’epoca: il cowboy canterino Hobie (Alden Ehrenreich) fa impazzire il regista Laurentz (Ralph Fiennes) che si trova obbligato a riciclarlo nella commedia sofisticata; la star delle piscine DeAnna Moran (Scarlet Johanson), sboccatissima malgrado l’aspetto angelico, si ritrova a dover sistemare una gravidanza indesiderata; il ballerino Burt Gurney (Channing Tatum) si rivela protagonista a sorpresa dopo essere stato al centro di una meravigliosa coreografia che omaggia i musical con Gene Kelly non dimenticando di accennarne alle tendenze omoerotiche. Una pioggia di citazioni che rendono con efficacia un ambiente sociale che, non sapendolo, stava intravedendo il suo tramonto (visto che si parla di Bikini siamo nel 1954): alla ricostruzione contribuiscono i costumi di Mary Zophres e le scene di Nancy Haigh tanto quanto i gustosi ritratti come quello delle gemelle Thacker (entrambe interpretate da Tilda Swinton) impegnate in una caccia compulsiva allo scoop – attività allora forse più remunerativa di adesso. Non riguardano però solo le strizzate d’occhio al passato le sequenze da ricordare, ma in simili casi la malinconia viene sostituita da un’ironia assai più corrosiva: da citare almeno la discussione tra i quattro esponenti di religioni diverse per rappresentare un Gesù che non offenda nessuno e il monologo finale di Clooney che pare commuovere tutti ma si inceppa sul più bello (spoiler: la parole che non gli viene proprio è ‘fede’) e reagisce in modo davvero non signorile. La scena si svolge nel luogo dove Mannix, il giorno prima, era arrivato vagando nel suo universo di cartapesta seguito dall’affettuosa macchina da presa di Roger Deakins: finzione e cialtronaggine possono essere protagoniste nelle retrovie, ma la magia del grande schermo sa incantare comunque.
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venerdì 18 marzo 2016
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sottotono, ma coen
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Quanto segue è la mia opinione riguardo un film folle.
L'analogia principale è quella tra Mannix e Gesù Cristo.
Il film presenta due chiavi di lettura: la menzogna e la capacità di percepire questa come tale.
Si parte da un discorso teologico dove ognuno presenta la sua versione della menzogna più grande che ci sia mai stata raccontata(la religione)e si finisce con quella in cui si scopre di non essere a conoscenza nemmeno del posto in cui si vive.
Il protagonista non è Gesù, bensì Mannix, un personaggio che nell'avere molto in comune con Gesù è ai limiti del blasfemo.
Mannix è l'agnello di Dio che toglie i peccati di Hollywood,che vacilla sulla decisione di abbracciare la sua croce,ma alla fine accetta con piacere il suo destino di doversi far carico di tutto e tutti.
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Quanto segue è la mia opinione riguardo un film folle.
L'analogia principale è quella tra Mannix e Gesù Cristo.
Il film presenta due chiavi di lettura: la menzogna e la capacità di percepire questa come tale.
Si parte da un discorso teologico dove ognuno presenta la sua versione della menzogna più grande che ci sia mai stata raccontata(la religione)e si finisce con quella in cui si scopre di non essere a conoscenza nemmeno del posto in cui si vive.
Il protagonista non è Gesù, bensì Mannix, un personaggio che nell'avere molto in comune con Gesù è ai limiti del blasfemo.
Mannix è l'agnello di Dio che toglie i peccati di Hollywood,che vacilla sulla decisione di abbracciare la sua croce,ma alla fine accetta con piacere il suo destino di doversi far carico di tutto e tutti.
Mannix è però un personaggio che vive per vendere menzogna al suo pubblico,menzogna che fa di tutto per sembrare realistica,ma sfata nel ridicolo dell'industria cinematografica degli anni d'oro.
Da questo punto di partenza,trovano significato le altre vicende.
Attraverso alcune scene del pomposo cinema anni 50 vengono presentate in maniera esilarante quelli che sono i limiti della recitazione,ossia:i limiti del falso.
Hobie Doyle, non riuscendo a mostrare un'emozione sincera sul set,fa si che il copione gli venga ridotto a due sole parole.
Lo stravolgimento della sua parte rende verosimile la scena,ma prevede l'esclusione di un qualcosa che non s'è riuscito a render reale.
Allo spettatore andrà bene così,riceverà qualcosa che non riterrà ridicolo e non noterà il bidone che gli si sta vendendo.
Il "dare allo spettatore ciò che vuole" trova il suo cavallo di battaglia nella faccenda con i comunisti,che rappresentano da un versante la causa di tutti i mali,mentre dall'altro rappresentano coloro che possiedono la soluzione per ogni cosa.
Ovviamente entrambi gli schieramenti sono ridicoli e Gesù-Mannix punisce un suo fedele,Baird,nel momento in cui quasi perde la fede(parola che Clooney non ricorda sul set).
Gli unici momenti in cui si torna ad un accenno di realtà e di linearità è quando,finalmente,si parla di eventi che erano talmente fuori dalla finzione e dal controllo dei personaggi da lasciarli senza parole.
In queste circostanze tutti i personaggi reagiscono alla stessa maniera:con quell'espressione che Doyle non era riuscito a riportare sul set!
Rimangono increduli a tutti quegli eventi che si risolvono da soli e che rappresentano la verità.
Il film finisce per esser dunque una mega-critica a troppe cose:Religione,finzione,cinema,pensiero comune,gossip.
Sicuramente i Coen hanno prodotto lungometraggi con trame più lineari e guardabili.
Follia e finzione,in questa pellicola,non hanno coscienza di sé!
Di solito, per quanto eventi e personaggi fossero folli,c'era sempre della lucida critica a questi,una critica capace di far chiarezza prima sui personaggi ed infine sull'intera trama!
Stavolta, invece,tra balletti e coreografie,un filo logico stenta a trovarsi.
Il film è un continuo delirio con contorno di situazioni assurde come le morti dei manigoldi in Ladykillers;ma in effetti cos'è il mondo se non un luogo di folli e di assurdità,dove non ci si riesce a mettere d'accordo nemmeno sulla concezione di Dio né sulle parole da utilizzare per descriverlo?
Nella vita,come nella religione,forse è meglio formulare giri di parole assurde senza un senso ben preciso ma che vadano bene a tutti e,nel caso in cui non funzionasse,si può sempre dar la colpa ai comunisti.
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luca1968
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lunedì 21 marzo 2016
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mah...
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Con i fratelli Coen non si può mai sapere se hai a che fare con un (quasi) capolavoro, oppure con un film da vedere e dimenticare. Peraltro, in passato ho amato film sottovalutati come Mister Hula Hoop, e sono rimasto deluso da quelli più acclamati, come Non è un paese per vecchi (incomprensibile per me come si possa premiare con l'oscar un film senza nè capo nè coda, come del resto il bruttissimo libro da cui è tratto). Qui purtroppo siamo nella seconda categoria. Un film ben girato, come sempre per i Coen, ma con una sceneggiatura pasticciatissima. Certo ci sono momenti esilaranti, come il tentativo del regista Laurenz Laurenz di insegnare una battuta al divo western, e intensi, come il monologo di George Clooney (interrotto da una dimenticanza su una battuta), e omaggi al cinema musicale del passato (complimenti a Channing Tatum, bravo come ballerino e ottimo come cantante), ma complessivamente rimane senza una identità ben precisa, tant'è che se dovessi descriverne la trama direi che si narra di due/tre giorni da incubo per un produttore esecutivo di Hollywood (un ottimo Josh Brolin), costretto a correre di qua e di là per risolvere i pasticci delle star, mentre quello che pensavo fosse l'intreccio principale (visto il titolo del film) è una delle parti più deboli del film.
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Con i fratelli Coen non si può mai sapere se hai a che fare con un (quasi) capolavoro, oppure con un film da vedere e dimenticare. Peraltro, in passato ho amato film sottovalutati come Mister Hula Hoop, e sono rimasto deluso da quelli più acclamati, come Non è un paese per vecchi (incomprensibile per me come si possa premiare con l'oscar un film senza nè capo nè coda, come del resto il bruttissimo libro da cui è tratto). Qui purtroppo siamo nella seconda categoria. Un film ben girato, come sempre per i Coen, ma con una sceneggiatura pasticciatissima. Certo ci sono momenti esilaranti, come il tentativo del regista Laurenz Laurenz di insegnare una battuta al divo western, e intensi, come il monologo di George Clooney (interrotto da una dimenticanza su una battuta), e omaggi al cinema musicale del passato (complimenti a Channing Tatum, bravo come ballerino e ottimo come cantante), ma complessivamente rimane senza una identità ben precisa, tant'è che se dovessi descriverne la trama direi che si narra di due/tre giorni da incubo per un produttore esecutivo di Hollywood (un ottimo Josh Brolin), costretto a correre di qua e di là per risolvere i pasticci delle star, mentre quello che pensavo fosse l'intreccio principale (visto il titolo del film) è una delle parti più deboli del film. Sceneggiatori comunisti completamente pazzi, riuniti in una specie di setta, che rapiscono una star (bravino George Clooney, ma in un ruolo assurdo era meglio in Fratello dove sei?) per chiedere un riscatto da dare ad un'altra star in fuga verso la Russia, per finanziare il partito. Peccato, perchè gli spunti c'erano ed alcune scene sono risultate ottime, ma totalmente scollegate tra loro. Infine, nota di merito per lo sconosciuto Alden Ehrenreich. Le scene che interpreta valgono da sole il prezzo del biglietto
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robert eroica
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domenica 13 marzo 2016
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la fabbrica dei sogni
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“Ave, Cesare” appartiene alla linea chiara del cinema dei fratelli Coen. Quella giocosa e fiabesca, lontana dalla profondità tenebrosa di capolavori come “A serious man”, “L’uomo che non c’era”, “Non è un paese per vecchi”. Ma a suo modo “Ave, Cesare” è forse l’opera dove la densità della forma diventa perfezione narrativa e le trovate comiche diventano funambolica corsa verso la sublimazione dell’artificio. Tutto può sembrare pura citazione (il Gene Kelly e i marinai ballerini, Esther Williams che danza nell’acqua e che qui è impersonata da una fulgida Scarlett Johansson, il peplum della Hollywood sul Tevere e il western anni Cinquanta di Bud Boetticher) ma c’è del genio innegabile nella riproposizione studiata.
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“Ave, Cesare” appartiene alla linea chiara del cinema dei fratelli Coen. Quella giocosa e fiabesca, lontana dalla profondità tenebrosa di capolavori come “A serious man”, “L’uomo che non c’era”, “Non è un paese per vecchi”. Ma a suo modo “Ave, Cesare” è forse l’opera dove la densità della forma diventa perfezione narrativa e le trovate comiche diventano funambolica corsa verso la sublimazione dell’artificio. Tutto può sembrare pura citazione (il Gene Kelly e i marinai ballerini, Esther Williams che danza nell’acqua e che qui è impersonata da una fulgida Scarlett Johansson, il peplum della Hollywood sul Tevere e il western anni Cinquanta di Bud Boetticher) ma c’è del genio innegabile nella riproposizione studiata. E certi momenti come la riunione nella sede della Capital tra i rappresentanti del clero, chiamati a discutere sulla figura del Cristo è puro Coen. Altri, come il cowboy abilissimo con la pistola e molto meno con la parola, sono più facili, ma altrettanto godibili e sprigionano una felicità del fare cinema che richiama il Blake Edwards di “Sunset – Intrigo a Hollywood”. Ed è straordinaria la trovata scenico – concettuale di rappresentare il complotto comunista, immaginato come un conclave di sceneggiatori chiusi in un’architettura sulla spiaggia di Malibu, che sembra disegnata da Frank Lloyd Wright. Tra i numerosi divi, da segnalare un rintronatissimo soldato romano tratteggiato da George Clooney, la duplice e duplicata Tilda Swinton, giornalista mondana a caccia di scoop e il solido Josh Brolin, nella parte del direttore di produzione, Edward Mannix, senza orari, senza (quasi ) vita privata, sempre sul punto di lasciare la causa per dedicarsi a qualcosa di diverso. Ma alla fine, come dice il sacerdote dal quale si confessa mediamente ogni 24 ore, un uomo è giusto che faccia ciò che ritiene giusto.
Robert Eroica
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