riccardo tavani
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venerdì 25 novembre 2016
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dove finiscono la terra e il mare di pasolini
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Non essere cattivo appare e conquista subito le luci del cinema internazionale, quando il suo regista, Claudio Caligari, scompare all’età di 67 anni, dopo essere stato quasi tutta la vita nell’ombra, come un artista maledetto e misconosciuto. Eppure il suo primo film, Amore Tossico, del 1983, folgora immediatamente la critica, dopo che Marco Ferreri, l’indimenticabile regista de La grande abbuffata (1973), spende tutta la sua influenza per farlo accettare quell’anno alla Mostra di Venezia. È la vicenda quotidiana di un gruppo di ragazze e ragazzi che, tra Ostia e Centocelle, narrano da dentro le loro vene quella nuova, letale piaga sociale chiamata eroina, allora appena apparsa sulla scena giovanile italiana.
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Non essere cattivo appare e conquista subito le luci del cinema internazionale, quando il suo regista, Claudio Caligari, scompare all’età di 67 anni, dopo essere stato quasi tutta la vita nell’ombra, come un artista maledetto e misconosciuto. Eppure il suo primo film, Amore Tossico, del 1983, folgora immediatamente la critica, dopo che Marco Ferreri, l’indimenticabile regista de La grande abbuffata (1973), spende tutta la sua influenza per farlo accettare quell’anno alla Mostra di Venezia. È la vicenda quotidiana di un gruppo di ragazze e ragazzi che, tra Ostia e Centocelle, narrano da dentro le loro vene quella nuova, letale piaga sociale chiamata eroina, allora appena apparsa sulla scena giovanile italiana. È il giro di vite successivo di quello che Pier Paolo Pasolini chiama genocidio culturale. Un passaggio che il grande poeta e regista, morto nel 1975, fa in tempo sì a percepire ma non a descrivere a pieno. Dal genocidio causato dal consumismo economico si passa a quello provocato del consumo diretto di sostanze tossiche
Trascorrono, però, altri quindici anni prima che Caligari possa girare L’odore della notte (1998), con Valerio Mastandrea, poliziotto di giorno, rapinatore di notte. È grazie al sodalizio nato con l’attore che Claudio Caligari può girare, dopo altre tre lustri, il suo terzo e ultimo film. Mastandrea, infatti, mette in gioco tutto il suo prestigio per trovare i soldi e le condizioni per produrlo a nome proprio.
Non essere cattivo è ambientato nella Ostia di metà degli anni ’90. Cesare e Vittorio, amici fin dall’infanzia, conducono a velocità battente la loro corsa verso l’autodistruzione tra consumo, spaccio e traffici illeciti legati a pasticche e sostanze psico-chimiche di ultima generazione. Accanto a questa pulsione vibra quella alla regolarità, al riscatto, alla sottomissione a un lavoro, anch’esso spesso illegale nei cantieri edili romani. Anche i sentimenti, l’amore, la stessa amicizia oscillano vertiginosamente verso queste due tragiche, inseparabili polarità. Non ci sono innocenza, ingenuità, candore esistenziale che non ne siano contaminati. È l’ultima inquadratura, la dissolvenza estrema su un mondo: quello, appunto, che Pasolini aveva cominciato a percepire, indagare e mostrarci nella seconda metà del secolo scorso. Il volto del nuovo – come quello del neonato in braccio alla madre nel finale – è ancora imperscrutabile, per quanto aperto a una labile luce di speranza.
Cesare è il nome del protagonista di Amore Tossico, Vittorio quello di Accattone di Pasolini (1961). I riferimenti, le citazioni, con cui Caligari nutre il suo film, sono, però, ad ampio spettro: vanno da Martin Scorzese, Brian De Palma, Fancis Ford Coppola. La ritmica cinematografica a pompa delle gesta tossiche è alternata a quella della descrizione di un paesaggio sulla linea morbida ma inesorabile, indifferente del crepuscolo. È la finis terrae et acquae del mondo pasoliniano: il suo Accattone spaccia ormai pasticche di ogni tipo in discoteca.
Forse Claudio Caligari avvertiva acutamente, dentro le proprie vene poetico-esistenziali, questa soglia di passaggio cruciale. La sua capacità mal-benedetta di una narrazione per immagini – che è insieme popolare e d’élite – non è stata riconosciuta dal mondo della nostra produzione cinematografica. In questo senso, molti sono stati davvero in tanti cattivi con lui, anche se – all’opposto – è un’eredità stilistica privilegiata quella che lui lascia al cinema non solo italiano.
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l''uomodellasala
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venerdì 16 giugno 2017
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il cinema italiano ritorna in pista
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Caligari firma il suo ultimo film, forse il suo capolavoro. la storia non potrebbe essere più geniale: semplice ma comunque coinvolgente. i due protagonisti sono degli antieroi che cercano di fuggire dalla loro patetica condizione. il tutto è aiutato dall'ottimo apparato tecnico (in particolare la fotografia) e da una regia di livello.
da vedere assolutamente.
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filippo catani
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martedì 12 luglio 2016
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un'amicizia sballata
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Ostia 1995. Due amici da una vita cercano di vivere alla giornata attraverso espedienti, piccole rapine e spaccio. I due ragazzi hanno alle spalle una vita tormentata e cercheranno a modo loro di cercare di sopravvivere.
Bellissimo il film postumo di Caligari per il quale tanto si è battuto Valerio Mastandrea. Forte è innanzitutto l'ambientazione in luoghi degradati e degradanti con personaggi allo sbando che fanno a botte tra di loro tra piccoli rapinatori e tossici. Poi troviamo la straordinaria interpretazione dei due protagonisti Marinelli e Borghi che interpretano due amici per la pelle con un vissuto alle spalle difficilissimo e anche quello attuale è tutto un programma.
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Ostia 1995. Due amici da una vita cercano di vivere alla giornata attraverso espedienti, piccole rapine e spaccio. I due ragazzi hanno alle spalle una vita tormentata e cercheranno a modo loro di cercare di sopravvivere.
Bellissimo il film postumo di Caligari per il quale tanto si è battuto Valerio Mastandrea. Forte è innanzitutto l'ambientazione in luoghi degradati e degradanti con personaggi allo sbando che fanno a botte tra di loro tra piccoli rapinatori e tossici. Poi troviamo la straordinaria interpretazione dei due protagonisti Marinelli e Borghi che interpretano due amici per la pelle con un vissuto alle spalle difficilissimo e anche quello attuale è tutto un programma. Resta però il fatto che uno dei due prova a cercare di riemergere dalla desolazione attraverso il lavoro mentre l'altro continua a vivere nell'incertezza e allo sbando. Un film forte come un pugno nello stomaco e quasi privo di colonna sonora perchè c'è ben poco da festeggiare. Film come questi sono la piacevole conferma che il cinema italiano è ancora in salute e capace di regalarci scorci anche nelle tenebre.
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francesca.montaguti
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martedì 10 ottobre 2017
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un film che ritrae una generazione
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Personalmente ho trovato il film molto interessante, capace di restituire allo spettatore l'immagine di una generazione - passata ma vicina - di cui tutti noi abbiamo memoria. Quello che ho apprezzato particolarmente è stata la capacità di mettere in scena la desolazione umana, la morbosità dei suoi rapporti e, come in un'opera di Vega, l'impossibilità di una redenzione.
Completa il tutto una fotografia d'eccezione e un'ottima tenuta attoriale. Un film da non perdere, ma da Caligari non potevamo aspettarci di meno.
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bruce harper
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venerdì 11 settembre 2015
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l'amicizia tossica.
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Partiamo dal titolo: Non essere cattivo? Ma che razza di titolo è? Una frase infantile, un monito, di quelli che si scandiscono ai ragazzini per farli rigare dritto, essere onesti, voltare le spalle al lato oscuro. Basterà? O le forze esterne avranno la meglio?
Ecco nella sua apparente semplicità l’opera di Caligari narra la storia di un’amicizia nata e cresciuta nel posto sbagliato (Ostia) al momento sbagliato (1995). Quello di Cesare e Vittorio è un destino antitetico ma ugualmente ingrato perche predestinato alla sconfitta, come quello di un animale da allevamento che vede la luce dentro un mattatoio. L’ambiente è ostile, le porte chiuse, i vicoli ciechi, il movimento immobile, il finale deve essere amaro.
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Partiamo dal titolo: Non essere cattivo? Ma che razza di titolo è? Una frase infantile, un monito, di quelli che si scandiscono ai ragazzini per farli rigare dritto, essere onesti, voltare le spalle al lato oscuro. Basterà? O le forze esterne avranno la meglio?
Ecco nella sua apparente semplicità l’opera di Caligari narra la storia di un’amicizia nata e cresciuta nel posto sbagliato (Ostia) al momento sbagliato (1995). Quello di Cesare e Vittorio è un destino antitetico ma ugualmente ingrato perche predestinato alla sconfitta, come quello di un animale da allevamento che vede la luce dentro un mattatoio. L’ambiente è ostile, le porte chiuse, i vicoli ciechi, il movimento immobile, il finale deve essere amaro. La carne è segnata dal marchio della resa. Il rapporto individuo-ambiente è senza dubbio uno dei temi cruciali della filmografia di Caligari. Il contesto non è mai semplice sfondo. Il profilo sinistro dei paesaggi di Ostia si spartisce simmetricamente le inquadrature con i due meravigliosi antieroi. Vittime e carnefice. Se questo è un noir la borgata è il killer, così come lo sono le mean streets di Scorsese o le banlieu di Kassovitz. Qui non c’è posto né per l’affermazione né per l’accettazione del sé, qui c’è posto solo per l’odio, la rabbia, il terrore e la miseria, e la droga, intesa non come ricerca, non come cura, ma come fuga. Ma non c’è fuga dalla bocca di un vulcano, solo una discesa agli inferi. Così come non c’è cura per una bambina affetta da una malattia senza nome ma solo l’inesorabile, l’inesprimibile, nonostante tutti gli sforzi, gli sbattimenti, le buone intenzioni.
Perché questo, a conti fatti, non è un paese per la speranza. La speranza è stata derubata, annientata, desertificata, da qualche osceno ecomostro abusivo o da una squallida catapecchia di legno in cui si vanno a bucare i tossici. Non è un paese per la tenerezza, impalata senza pietà a una croce tra le tombe. E non è un paese neanche per l’amicizia, anche se è un’amicizia vera, genuina, morbosa, malata, un’ ‘amicizia tossica’, come quella di Cesare e Vittorio, di gran lunga la cosa più bella del film. Perché Vittorio fallisce, non redime l’amico, non lo salva, e il destino di Cesare si compie nell’unico degli esiti possibili: la tragedia.
Ma non si tratta di un ‘sacrificio’, che porta a qualcosa di più alto, alla redenzione, al perdono, al riscatto, si tratta di una resa. Perché nessuno può uscire vincitore dall’universo di Caligari. E se anche il figlioccio di Vittorio comprende, di fronte ai continui stenti economici, ai litigi, alle asprezze della vita, che l’unico modo per farsi strada è il codice della strada, allora come può il futuro colorarsi di una tinta che non sia del nero più doloroso e sinistro? Come potrà (caro Mastrandrea) un paffuto bebè inatteso e imprevisto sperare (o farci sperare) in qualcosa di buono? Come può un singolo close-up sublimare una promessa di speranza e futuro quando ogni singolo fottuto fotogramma della storia appena raccontata viaggiava nella direzione opposta? E’ un finale stridente, infelice, un pugno in faccia improvviso che non c’entra niente con tutto il resto, rovina un racconto memorabile perché amaro, crudo, dolente, vero e intenso, incredibilmente intenso, e pone dei seri interrogativi sulla reale paternità della sua messa in scena. Per non parlare del tema musicale sui titoli di coda... solo per quello dovrei azzerare le stelle ma mi limito a toglierne una. Gioiello mancato... sul rettilineo finale.
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