Lo chiamavano Jeeg Robot

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Cosa significa essere un eroe? Valutazione 5 stelle su cinque

di Orione95


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sabato 1 aprile 2017

Primo, vero "cinecomic" (o "cinefumetto") italiano, "Lo chiamavano Jeeg Robot" rappresenta, tra le altre cose, la (quantomai oggigiorno necessaria) risposta a tutti coloro i quali, disillusi circa le (in realtà) poliedriche capacità del cinema italiano, affermano con acido (e spesso incompetente) sdegno la categoria degli "action movie" essere prerogativa esclusiva della cinematografia statunitense, esclusiva degli studios hollywoodiani. 

Ebbene Gabriele Mainetti con questo suo capolavoro (7 David di Donatello senza dubbio alcuno meritati) esordisce nel ruolo di regista con un titolo capace di portare quella così ardentemente desiderata ventata di aria nuova da tanto, troppo tempo avvertita come necessaria nell'ahimè eccessivamente fiacco attuale panorama del cinema italiano. 

Enzo Ceccotti è l'archetipo del fallito, la quintessenza dell'ultimo, dimenticato da una società che lo ha relegato ai margini dell'esistenza. La disillusione è la sua caratteristica più marcata, proprio come marcata è la linea di confine che lo separa dalla collettività dei suoi simili: "Io non sono amico di nessuno" è il mantra che insistentemente Enzo ripete a se stesso, come per convincersi che la vita non è altro che una lunga scorribanda, durante la quale bisogna rubare ciò che si può prima che tutto finisca, inevitabilmente, con una pallottola nel petto. E dunque non c'è da stupirsi se il suo primo gesto da rinato supereroe non sia esattamente quello di salvare una vecchina o sgominare una banda di pericolosi malviventi, bensì quello di portarsi a casa un bancomat appena sradicato. Passando oltre la squisita critica pseudo-ambientalista del Mainetti (che trova spazio sotto forma di barili radioattivi che infestano il Tevere), lo spettatore è sin da subito portato a constatare come "Lo chiamavano Jeeg Robot" sia in realtà un film profondamente diverso da qualsiasi altro superhero movie veduto fino a quel momento: il protagonista infatti non ha pressoché nulla del tipico supereroe, e gli incredibili poteri che improvvisamente ottiene non sono ai suoi occhi che un nuovo e più efficace metodo per far soldi delinquendo. Soltanto quando la dolce vicina di casa Alessia entrerà nella sua vita, Enzo capirà davvero qual è il suo ruolo in quella storia e, più in grande, qual è il suo posto nel mondo. Alessia, sin dal momento in cui lo ammira ergersi a suo salvatore, non ha dubbi: Enzo è in realtà il supereroe del suo amato cartone "Jeeg Robot d'acciaio" ed in qualità di eroe non può esimersi dal compiere la sua grande ed impavida missione, "salvare tutti quanti". L'innocenza di Alessia farà infine breccia nel cuore di Enzo, inaridito da una vita di solitudine e delinquenza. La situazione precipita ben presto quando la strada dei due protagonisti si scontra con quella dello "Zingaro", giovane criminale esaltato e violento, a capo di una banda di malavitosi romani, in affari con dei "colleghi" partenopei. Lo "Zingaro", così come viene chiamato dai suoi compagni, è la più fulgida e brutale rappresentazione della megalomania e dell'infinita sete di potere che anima i membri della mala organizzata: un sentimento che cresce insaziabile ogni giorno di più, portando chi ne è vittima a volgersi indistintamente contro nemici e amici, aventi ai suoi occhi il medesimo volto. 

Ma "Lo chiamavano Jeeg Robot" è pur sempre un cinecomic, e dunque ecco giungere alla fine il (sicuramente) tanto atteso confronto finale tra Enzo e la sua nemesi (definito da alcuni "il Joker all'italiana"), lo "Zingaro", venuto anch'egli  in possesso, qualche scena prima dell'epilogo, degli straordinari poteri del protagonista. 

La pellicola si conclude con un primo piano che strizza l'occhio all'epicità squisitamente supereroistica, accompagnando il tutto con un monologo che ci spiega come in realtà essere un eroe significhi soprattutto spendersi totalmente per gli altri senza chiedere o aspettarsi nulla in cambio. 

Una grande lezione di cinema (e di filosofa) insomma quella rappresentata dal Mainetti con questo suo "Lo chiamavano Jeeg Robot", eppure il particolare che forse più di tutti monopolizza l'attenzione è la sopraffina qualità della recitazione dei tre attori protagonisti, già perché Claudio Santamaria (Enzo Ceccotti), Ilenia Pastorelli (Alessia) e Luca Marinelli (lo "Zingaro") regalano nel capolavoro del Mainetti la loro più grande e sensazionale performance, gravida di pathos e rilegata da un arcobaleno di emozioni in cui trovano spazio disillusione, coraggio, dolcezza, passione, rabbia e follia.

In conclusione ritengo "Lo chiamavano Jeeg Robot" essere divenuto nuova pietra miliare del cinema italiano del nuovo millennio e, perché no, dell'intero genere cinematografico nel quale si è così prepotentemente (e legittimamente) affermato.

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