antonietta dambrosio
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lunedì 17 novembre 2014
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salgado come ulisse
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Il sale della terra - recensione
Se la parola ha in sé la magia di dar forma a stati d'animo e sentimenti, il potere di catturare il tempo e dilatarlo, di rendere eterno un momento, il Cinema che si esprime in gran parte attraverso le immagini, per mano di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Il sale della terra compie il miracolo, e rendendo omaggio a chi ha saputo scrivere sulla luce, ci offre il ritratto artistico ed umano di Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha saputo trasformare l'immagine in poesia.
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Il sale della terra - recensione
Se la parola ha in sé la magia di dar forma a stati d'animo e sentimenti, il potere di catturare il tempo e dilatarlo, di rendere eterno un momento, il Cinema che si esprime in gran parte attraverso le immagini, per mano di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Il sale della terra compie il miracolo, e rendendo omaggio a chi ha saputo scrivere sulla luce, ci offre il ritratto artistico ed umano di Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha saputo trasformare l'immagine in poesia. La forza della sua fotografia è tale che ogni parola potrebbe essere un insulto al cospetto dell'immensità; scrivere di questo film è come profanare qualcosa di sacro, perché viverlo è un'esperienza quasi mistica, è un percorso attraverso il dolore, è guardare con un occhio cosmico la vita e la morte in una dimensione che va oltre la prospettiva di ognuno di noi, è saper vedere attraverso lo sguardo di un bambino adagiato in una bara, spento ma ancora vibrante, cosa c'è al di là di quel limite oscuro, è l'attimo di felicità nel sorriso e nella complicità di due amici su un barcone tra l'orrore di una migrazione di massa, è l'uomo nella realtà di ogni continente che si misura con il suo ambiente e col tempo, che accelera il passo o lo ferma. Wim Wenders come Omero e Juliano Ribeiro Salgado come Telemaco, attraverso la sua arte ed ascoltando la sua stessa voce, sono testimoni dell'infinito viaggio di Sebastião Salgado, di cui ne seguono la partenza dalla terra di origine, e spingendosi verso le foreste tropicali dell'Amazzonia, passano dall'Indonesia alla Nuova Guinea, dal Congo, dalla Jugoslavia al Kuwait, attraversano i ghiacciai dell'Antartide, indugiano in Rwanda di cui ogni fotografia è il nero sul bianco dell'orrore del genere umano sull'uomo, è lo spettacolo di come l'uomo operi alla distruzione del suo stesso genere, si fermano su guerre e schiavitù, sono occhi nei suoi occhi perché "una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di chi ritrae". Ed attraverso i suoi occhi ci fermiamo tutti sull'evoluzione di ogni specie animale scoprendo che siamo cellule di una stessa cellula, ospiti di una meravigliosa terra che non sempre siamo in grado di amare e l'orrore ci scava l'anima fino a consumarla ed un magone di impotenza e sfiducia nel nostro genere ci pervade finché Salgado stesso ci conduce verso la cura con il suo ritorno alle origini, dove la vita irrompe e ci circonda. La circolarità del suo viaggio fino al recupero dei valori di origine ci regalano conoscenza, consapevolezza, nuova fiducia, e la riconquista definitiva di ogni valore che ci lega alla vita. L'impegno nella riforestazione di una terra resa brulla dalla siccità è la sfida della luce dell'esistenza sulle tenebre della morte, è il senso dell'eternità. Sebastião Salgado come Ulisse torna dal suo Telemaco, nella sua terra e dalla sua donna che ha sostenuto il suo viaggio tessendo la tela della sua rinascita. L'umanità è Il sale della terra ed è anche un'opera grandiosa, è arte che si concede all'arte, e scava l'anima fino a levigarla e renderla migliore.
Antonietta D'Ambrosio
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francescosole
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lunedì 17 novembre 2014
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un pizzico di sale
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strabiliante, meraviglioso, incantevole
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geagia
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domenica 16 novembre 2014
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semplicemente meraviglioso
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Andatelo a vedere, vi riempirà gli occhi e il cuore. Wenders ha iniziato con il suo film su Pina Bausch a guardare e a farci amare qualcun altro, ha aperto il suo sguardo con i suoi 'esercizi di ammirazione'. Ma se il film su Pina Bausch aveva qualche difetto, questo è semplicemente perfetto. Il mondo di Salgado è nello stesso tempo tragico e meraviglioso. Capisci che il destino dell'uomo è terribile se non si comincia a considerare di nuovo parte della natura, che l'unica cosa che distingue lìuomo dagli animali è la sua scudeltà gratuita. E poi le immagini sono straordinarie: il film ti tiene inchiodata alla sedia mentre rivedi orrori che avresti voluto e che invece non devi dimenticare. Due grandi Salgado e Wenders!
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stefano capasso
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mercoledì 12 novembre 2014
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viaggio all'inferno e ritorno
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Il sale della terra è un opera di rara bellezza. Le fotografie a forte impatto emotivo di Sebastiaò Salgado diventano per Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, la partitura su cui parlare dell’uomo, della terra e della vita. E’ il percorso di un uomo attraverso la sua fotografia che per una prima parte della sua vita è focalizzato sull’orrore che l’uomo è capace di produrre. La fame, le guerre, i genocidi, sono l’inevitabile nutrimento di Salgado che attraverso il suo lavoro vuole testimoniare al mondo le ingiusitizie e le brutture di cui è partecipe. Sono anche necessarie per placare la sua inquietudine che finalmente lo porterà dopo aver toccato il fondo, a percepire la sua anima ammalata a spostare la sua attenzione sulla bellezza che la terra e l’uomo è capace di mostrare.
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Il sale della terra è un opera di rara bellezza. Le fotografie a forte impatto emotivo di Sebastiaò Salgado diventano per Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, la partitura su cui parlare dell’uomo, della terra e della vita. E’ il percorso di un uomo attraverso la sua fotografia che per una prima parte della sua vita è focalizzato sull’orrore che l’uomo è capace di produrre. La fame, le guerre, i genocidi, sono l’inevitabile nutrimento di Salgado che attraverso il suo lavoro vuole testimoniare al mondo le ingiusitizie e le brutture di cui è partecipe. Sono anche necessarie per placare la sua inquietudine che finalmente lo porterà dopo aver toccato il fondo, a percepire la sua anima ammalata a spostare la sua attenzione sulla bellezza che la terra e l’uomo è capace di mostrare. Attraversato il buio dell’anima, partendo dalla ricostruzione della foresta ormai dissecata della fazenda di famiglia cerca e trova la bellezza che caratterizza l’ultima parte della sua vita. Ora quello di cui vuole nutrirsi è l’armonia e l’integrità della natura tutta che ancora esiste nella maggior parte della terra. Due ore di fotografie raccontate in modo avvincente che coinvolgono intellettualmente emotivamente e fisicamente, in cui anche l’orrore mostrato ha una sua bellezza, e dove l’armonia che finalmente è raggiunta nel finale porta i segni dei dolori passati.
Un film sull’amore, l’amore per la fotografia, per le vicende dell’uomo, e per la famiglia che dallo sfondo della narrazione emerge come colonna portante della vita di Salgado.
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gioinga
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martedì 11 novembre 2014
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magico
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Un film meraviglioso su un grande fotografo che nella sua vita è riuscito a coniugare creazione artistica e impegno politico e sociale. Magico perché sono le immagini a parlare e sono di una potenza incredibile. Un film sul genere umano e sulla natura, che lascia sconvolti.
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vanessa zarastro
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lunedì 10 novembre 2014
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bidimensione e movimento
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«Una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di ritrae» una frase del film che è un po’ la chiave di questo viaggio modellato nella luce e nello spazio. Il regista Wim Wenders con il figlio del famoso fotografo Sebastião Salgado sono coautori di questo documentario sulla sua opera e vita. Un’operazione mastodontica coraggiosa e ambiziosa perché inserire il movimento nello spazio fotografico e raccontare la terza dimensione dell’immagine bidimensionale e statica è sempre un rischio. A mio avviso, Wenders – anch’esso fotografo oltre che regista – riesce a farlo.
In alcuni punti il fim si presenta come uno sfogliare di fotografie con voce narrante fuori campo che si alterna, una volta è lo stesso Sebastião (ripreso mentre riprende!), un’altra Wenders un’altra ancora Juliano.
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«Una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di ritrae» una frase del film che è un po’ la chiave di questo viaggio modellato nella luce e nello spazio. Il regista Wim Wenders con il figlio del famoso fotografo Sebastião Salgado sono coautori di questo documentario sulla sua opera e vita. Un’operazione mastodontica coraggiosa e ambiziosa perché inserire il movimento nello spazio fotografico e raccontare la terza dimensione dell’immagine bidimensionale e statica è sempre un rischio. A mio avviso, Wenders – anch’esso fotografo oltre che regista – riesce a farlo.
In alcuni punti il fim si presenta come uno sfogliare di fotografie con voce narrante fuori campo che si alterna, una volta è lo stesso Sebastião (ripreso mentre riprende!), un’altra Wenders un’altra ancora Juliano. In altre, specialmente dove c’è un alto punto di vista e dove c’è una visione ampia - ad esempio nelle migrazioni o nei disastri della mano dell’uomo - la telecamera si sostituisce alla camera fissa. Così anche nel ritrarre le popolazioni indigene siano essi gli Awà Guajà in Amazonia o i Nenet in Siberia. A tale proposito Salgado fa un’interessante descrizione del ritratto che per riuscire non può essere una semplice descrizione anaffettiva, ma deve cogliere, in un certo senso, l’anima del soggetto da ritrarre.Tra le innumerevoli opere che Salgado ha realizzato nel corso della sua carriera, emergonoi grandi progetti di lungo periodo: La mano dell’uomo una pubblicazione di 400 pagine del 1993 sui settori di base della produzione,Workers, che documenta le vite quasi impercettibili dei braccianti di tutto il mondo, Migrations (2000), una rappresentazione delle migrazioni di massa causate dalla carestia, dai disastri naturali, dal degrado ambientale e dalla pressione demografica, e l’ultima opera, Genesis che è il risultato di un’esplorazione durata otto anni alla scoperta di montagne, oceani, deserti, animali e popolazioni con terre e vite incontaminate.La Terra è vista come una magnificarisorsa da conoscere, contemplare e raccontare, ma anche da salvaguardare in modo più rispettoso nei confronti della natura e dell’ambiente circostante. Genesis è una sorta di grande antropologia planetaria, un omaggio visivo ma anche un grido di allarme; è un viaggio fotografico fatto di oltre 200 immagini, in un liricobianco e nero, di mondi in cui natura, animali ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’ambiente: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia.
Personalmente sono rimasta molto colpita dalle foto degli anni ‘90 dove Salgado, attraverso la sua macchina fotografica, porta alla ribalta la vastità del fenomeno delle migrazioni delle popolazioni in Africa. Sono veramente impressionanti le immagini delle popolazioni in Congo così come i cadaveri accatastati in Rwanda. Vedere la fuga d’intere popolazioni, osservarle morire di stenti, di malattie in modo così massiccio è proprio ciò che ha portato Salgado a non voler più fotografare e a cadere in uno stato di depressione che solo con l’intervento della vera eroina del film (della vita?) e cioè Lelia Wanickla geniale e collaborativa moglie di Sebastião. Da lei parte l’idea di riforestare la fazenda familiare ereditata dai genitori di Salgado che gli darà di nuovo linfa vitale e desiderio di ricominciare a fotografare la natura.
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waterbird
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lunedì 10 novembre 2014
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foffola40
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lunedì 10 novembre 2014
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disegnare con la luce
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avevo già visto con ammirazione la mostra Genesis di sebastiao salgado a Roma all'Ara Pacis e quindi pensavo di non ripetere l'esperienza perchè amo le novità ma poi il cinema mi attira nelle spire delle sue sale... e ora sono appagata per aver visto Il film di Wenders e di Salgado figlio. E' superbo perchè, oltre a raccontare per sommi capi la vita di questo grande artista, ci illustra nello splendore del bianco e nero le esplorazioni sulla umanità con una drammaticità, un angosciante e incalzante svolgersi di immagini che appaiono surreali, di un altro mondo. Sono la realistica testimonianza della nostra umanità violenta, bestiale, spietata.
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avevo già visto con ammirazione la mostra Genesis di sebastiao salgado a Roma all'Ara Pacis e quindi pensavo di non ripetere l'esperienza perchè amo le novità ma poi il cinema mi attira nelle spire delle sue sale... e ora sono appagata per aver visto Il film di Wenders e di Salgado figlio. E' superbo perchè, oltre a raccontare per sommi capi la vita di questo grande artista, ci illustra nello splendore del bianco e nero le esplorazioni sulla umanità con una drammaticità, un angosciante e incalzante svolgersi di immagini che appaiono surreali, di un altro mondo. Sono la realistica testimonianza della nostra umanità violenta, bestiale, spietata. E' un film che va visto senza timore perchè l'arte riesce a sublimare anche le immagini più raccapriccianti, molti scatti di Salgado ci ricordanoi i quadri di grandi maestri del passato da Hieronimus Bosch a Peter Brueghel ma non servono questi ricordi perchè le foto diventano arte loro stesse quando portano fuori l'anima delle immagini e questo accade quasi sempre. Evviva Salgado. foffola40
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zarar
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martedì 4 novembre 2014
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un affresco messianico
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E’ un film specchio dei tempi difficili che stiamo vivendo per almeno due motivi: il messianismo eco-sociale da una parte, dall’altra la ricerca strenua di nuovi linguaggi (in questo caso filmici) anche attraverso la contaminazione di linguaggi plurisperimentati ormai e quasi consunti per il lungo uso. Una premessa: si recensisce qui il film o docu-film che dir si voglia di Wenders, dunque non la splendida, formalmente perfetta fino al manierismo fotografia di Salgado (cinque stelle), non l’appassionante viaggio nella vita e nella professione del fotografo (cinque stelle), non la testimonianza morale di fotografo e regista (cinque stelle), ma il modo in cui questi contenuti convergono a creare un film (tre stelle).
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E’ un film specchio dei tempi difficili che stiamo vivendo per almeno due motivi: il messianismo eco-sociale da una parte, dall’altra la ricerca strenua di nuovi linguaggi (in questo caso filmici) anche attraverso la contaminazione di linguaggi plurisperimentati ormai e quasi consunti per il lungo uso. Una premessa: si recensisce qui il film o docu-film che dir si voglia di Wenders, dunque non la splendida, formalmente perfetta fino al manierismo fotografia di Salgado (cinque stelle), non l’appassionante viaggio nella vita e nella professione del fotografo (cinque stelle), non la testimonianza morale di fotografo e regista (cinque stelle), ma il modo in cui questi contenuti convergono a creare un film (tre stelle). Perché questo film richiede a mio parere, al di là dell’universale consenso, un paio di riflessioni critiche. Appena ci si entra dentro, il docu-film dichiara la sua struttura, creando un senso di straniamento che nasce dal mescolarsi di più linguaggi e più temi: il tema è almeno triplice: la biografia di Salgado, l’umanità sofferente e le vie d’uscita che le restano [e abbiamo detto poco], la funzione dell’artista che rappresenta questa umanità. Si alternano e giustappongono una voce narrante/commentante, Salgado in primissimo piano che parla in prima persona, intervistato dal regista; le fotografie di Salgado raggruppate per grandi temi e tappe di viaggio; i filmati di una troupe che a suo tempo ha filmato Salgado stesso mentre fotografava o gli ambienti in cui operava.
Ebbene, il lodatissimo impatto del mix immagine fissa e immagine in movimento mi è sembrato a volte più disorientante che stimolante. Vedi le immagini fisse delle foto combinate con quelle in movimento dei filmati della miniera d’oro della Sierra Pelada: si disturbano a vicenda, piuttosto che integrarsi, e senti che sarebbe meglio se una delle due diverse rappresentazioni occupasse liberamente tutto lo spazio. Gli indigeni fotografati in gruppo riproducendo consapevolmente la foto-tipo dell’esploratore di fine Ottocento che hanno a che fare con il filmato che li vede muoversi liberamente nel loro ambiente? Niente. Il secondo elemento non del tutto risolto è la sequenza del docu-film, priva di pathos, malgrado i contenuti scioccanti per bellezza o terribilità. Non basta l'evangelico filo rosso espresso dal titolo e distribuito nei commenti (questa povera e/o innocente umanità qui rappresentata è “il sale della terra” e i suoi apostoli saranno quelli che salveranno il mondo) ad evitare un ‘effetto catalogo’ e un tono piuttosto sonnolento dell’insieme.
Il terzo elemento un po’ sconcertante è la domanda che ti fai anche senza volere: ma chi ha filmato Salgado fotografo? Non il regista, che ovviamente non era lì quando quelle foto erano fatte. Pensare che Salgado si sia portato dietro spesso e volentieri qualcuno che lo filmava mentre fotografava fa pensare ad un tot di narcisismo che disturba un po’ nel nobile contesto. E veniamo al nobile contesto: nonostante le ambiziose intenzioni, l’accompagnamento narrativo attraverso commenti e frammenti di intervista non dice molto: è banale, minimalista e predicatorio insieme. Tutto l’insieme converge in un percorso rutilante di immagini bellissime e diversamente raccontate e rappresentate, ma inserite in un racconto molto prevedibile, piuttosto monocorde, che culmina nella conclusione eco-messianica. Amen.
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alerosi89
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lunedì 3 novembre 2014
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un film che tutti dovrebbero vedere
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La luce è per Salgado l'inchiostro dello scrittore, strumento
imprescindibile con cui plasma le sue opere. Dall'insieme di fotoni
nascono i suoi capolavori, i quali ci consentono di vedere il mondo con
i suoi occhi. Attraverso la settima arte Wenders racconta le esperienze
di questo incredibile fotografo, permettendo allo spettatore di
assistere ad una mostra fotografica sul grande schermo, condita dal
sapiente commento dell'autore degli scatti. Dalle numerose foto che
scorrono durante la proiezione emerge il viso di Salgado, segnato dalle
brutalità e dagli orrori di cui è stato testimone. Alcune scene di
guerra e di devastazione, soprattutto quelle in Rwanda, lo turbano a
tal punto da farlo ammalare nell'animo.
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La luce è per Salgado l'inchiostro dello scrittore, strumento
imprescindibile con cui plasma le sue opere. Dall'insieme di fotoni
nascono i suoi capolavori, i quali ci consentono di vedere il mondo con
i suoi occhi. Attraverso la settima arte Wenders racconta le esperienze
di questo incredibile fotografo, permettendo allo spettatore di
assistere ad una mostra fotografica sul grande schermo, condita dal
sapiente commento dell'autore degli scatti. Dalle numerose foto che
scorrono durante la proiezione emerge il viso di Salgado, segnato dalle
brutalità e dagli orrori di cui è stato testimone. Alcune scene di
guerra e di devastazione, soprattutto quelle in Rwanda, lo turbano a
tal punto da farlo ammalare nell'animo. Solo grazie alla natura,
soggetto della sua ultima raccolta (Genesi), recupera la speranza nel
genere umano, che le immagini a cui aveva assistito avevano quasi
estirpato. Speranza che rimane sempre l'ultima risorsa per l'uomo,
ultima dea.
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