filippo catani
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martedì 17 marzo 2015
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capolavoro psicologico
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John du Pont rampollo di una famiglia benestante americana decide di contattre il campione olimpico di lotta Mark Schultz alla vigilia delle Olimpiadi di Seul 1988. L'uomo non è interessato solo alla vittoria individuale ma anche a quella dei principi e dei valori statunitensi. Tratto da una storia vera.
Il film è un autentico capolavoro e come nel suo precedente (e bellissimo) L'Arte di vincere, il regista Miller utilizza alla perfezione una storia legata allo sport e in questo caso alla lotta greco-romana. Diciamolo subito; chi è interessato a un film solo di lotta con combattimenti e ritmo adrenalinico è meglio che non si avvicini al film che fa invece della lentezza e della introspezione psicologica le sue armi vincenti.
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John du Pont rampollo di una famiglia benestante americana decide di contattre il campione olimpico di lotta Mark Schultz alla vigilia delle Olimpiadi di Seul 1988. L'uomo non è interessato solo alla vittoria individuale ma anche a quella dei principi e dei valori statunitensi. Tratto da una storia vera.
Il film è un autentico capolavoro e come nel suo precedente (e bellissimo) L'Arte di vincere, il regista Miller utilizza alla perfezione una storia legata allo sport e in questo caso alla lotta greco-romana. Diciamolo subito; chi è interessato a un film solo di lotta con combattimenti e ritmo adrenalinico è meglio che non si avvicini al film che fa invece della lentezza e della introspezione psicologica le sue armi vincenti. Ecco allora alternarsi i tre protagonisti della vicenda a formare un pericolosissimo triangolo. Al vertice c'è il miliardario du Pont. L'uomo è assolutamente insoddisfatto delle sue ricchezze e della sua vita solitaria passata in tutti i salotti buoni. Questo perchè non ha la minima approvazione della madre che lo ritiene poco più di una nullità incapace di distinguersi nella vita, negli affari e nell?adorata ippica. Du Pont cerca allora di realizzare un progetto ambizioso di creare dal nulla una squadra di lotta capitanata da quel Marc Schulz capace di vincere l'oro olimpico. Tra i due si instaurerà un rapporto morboso e sordido che porterà il campione lontano da una forma accettabile. Ecco allora entrare in scena il fratello ex campione e ex allenatore di Marc il quale ha invece una vita serena e regolare e questo farà da detonatore finale alla vicenda. Il tutto corredato da una sorta di mistica di Du Pont in difesa dei valori americani contro quelli sovietici e della sua voglia di essere oltre a un coach anche un mentore o piuttosto un padre padrone. Il trio Carrell,Tatum,Ruffalo è semplicemente straordinario così come sono azzeccate le ambientazioni, la fotografia e la rarissima colonna sonora. Un film praticamente tutto al maschile dove però pesa come un macigno la presenza dell'ingombrante madre di Dupont (una brava Redgrave). Insomma un film lento ma in grado di amalgamare i suoi ingredienti in un ottimo e tremendo prodotto finale che fa rabbrividire ancora di più sapendo che si tratta di una storia vera.
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ralphscott
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lunedì 16 marzo 2015
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pretenzioso. e noioso.
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Uno di quei film di cui proprio non si avverte la necessità. Trionfa la compiacenza (auto-) di una essenzialità che non solo é rigore stilistico,ma anche carenza di "cose da dire". Non so se le lunghe,estenuanti scene di lotta siano credibili (purtroppo non conosco questo sport affascinante),di sicuro sembrano voler colmare la piattezza di una sceneggiatura che non decolla mai. Non c'é suspence,non c'é ritmo,non c'é recitazione:gli attori,persino la grande Redgrave,evidentemente per imposizione,hanno una sola espressione. Si salva il personaggio del bravo Ruffalo che ha una filmografia alle spalle di ben altro spessore. Butta giù persino la pancia,ma é fatica inutile,questo film é ambizioso e nulla più.
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Uno di quei film di cui proprio non si avverte la necessità. Trionfa la compiacenza (auto-) di una essenzialità che non solo é rigore stilistico,ma anche carenza di "cose da dire". Non so se le lunghe,estenuanti scene di lotta siano credibili (purtroppo non conosco questo sport affascinante),di sicuro sembrano voler colmare la piattezza di una sceneggiatura che non decolla mai. Non c'é suspence,non c'é ritmo,non c'é recitazione:gli attori,persino la grande Redgrave,evidentemente per imposizione,hanno una sola espressione. Si salva il personaggio del bravo Ruffalo che ha una filmografia alle spalle di ben altro spessore. Butta giù persino la pancia,ma é fatica inutile,questo film é ambizioso e nulla più. A leggere l'accostamento fatto da qualcuno a Psyco mi vengono davvero i brividi:genio,inventiva,tensione,splendide musiche nel capolavoro del '60. Qui una noia che,sadicamente,nemmeno l'omicidio finale stempera:il finale,degno di questa pellicola involuta,é infatti tronco. Il rapporto tra madre e figlio,almeno quello,meritava tutt'altro sviluppo. Peccato,lo spunto -dicono una storia vera- si prestava a ben altra messa in scena.
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maurizio meres
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domenica 15 marzo 2015
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il mentore dell'era moderna
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Anche questa è l'America ,con tutte le contraddizioni di questo popolo il film molto triste regala allo spettatore un tracciato psicologico di un filantropo psicopatico ultimo discendente di una delle più importanti famiglie della storia degli Stati Uniti vittima della madre e di se stesso,con un fanatismo patriota odioso ma con un potere finanziario e soprattutto politico molto forte ,riesce ad impadronirsi di un qualcosa di pulito di puro "l'anima dello sport " di due ragazzi soprattutto di Mark nati per fare sport e vincere.Bellissimo ammirare nel film uno sport nobile come la lotta che come tante altre discipline rimane ai margini non essendo economicamente proficuo.Il film è vero ma il regista non si limita a raccontare la storia così come è stata ,ma entra nella mente dei tre personaggi principali i due fratelli e il filantropo ,tracciando su ognuno di loro un profilo psicologico che rispecchia fedelmente il loro carattere ,in tutte le loro debolezze e ambizioni sportive ,ma soprattutto la totale negatività di Du Pont il magnate Americano ossessionato dal giudizio materno,egli si definisce un mentore forse senza sapere neanche il significato ,la sapienza del pazzo ,ma soprattutto il maestro del nulla,nello sport il primo maestro e se stessi con il totale controllo del corpo e della mente.
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Anche questa è l'America ,con tutte le contraddizioni di questo popolo il film molto triste regala allo spettatore un tracciato psicologico di un filantropo psicopatico ultimo discendente di una delle più importanti famiglie della storia degli Stati Uniti vittima della madre e di se stesso,con un fanatismo patriota odioso ma con un potere finanziario e soprattutto politico molto forte ,riesce ad impadronirsi di un qualcosa di pulito di puro "l'anima dello sport " di due ragazzi soprattutto di Mark nati per fare sport e vincere.Bellissimo ammirare nel film uno sport nobile come la lotta che come tante altre discipline rimane ai margini non essendo economicamente proficuo.Il film è vero ma il regista non si limita a raccontare la storia così come è stata ,ma entra nella mente dei tre personaggi principali i due fratelli e il filantropo ,tracciando su ognuno di loro un profilo psicologico che rispecchia fedelmente il loro carattere ,in tutte le loro debolezze e ambizioni sportive ,ma soprattutto la totale negatività di Du Pont il magnate Americano ossessionato dal giudizio materno,egli si definisce un mentore forse senza sapere neanche il significato ,la sapienza del pazzo ,ma soprattutto il maestro del nulla,nello sport il primo maestro e se stessi con il totale controllo del corpo e della mente.
Film strutturalmente bellissimo ambientazioni grigie che rispecchiano in ogni sequenza lo stato d'animo dei vari personaggi,recitazione degli attori intense ed espressive,sceneggiatura che nella fase centrale del film rallenta il calo di tensione con momenti statici e piatti peccato.
Film da vedere rispecchia in pieno il periodo socio politico di quel momento.
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jaylee
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domenica 15 marzo 2015
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a caccia di onore, gloria e amore
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Foxcatcher è il nome della tenuta in cui il ricchissimo magnate dell'industria John Dupont finanziò e fece allenare sotto la sua "supervisione" il team olimpico di lotta a stelle e strisce dal 1987 al 1996. Protagonisti di questo progetto furono i fratelli Schulz.
Non aggiungiamo altro alla trama, particolarmente rarefatta, e costruita sui dialoghi e sulle relazioni a due tra uomini, di cui la lotta libera ne è una metafora molto fine, con tutta la sua carica di aggressività, forza e eleganza (evidenti i parallelismi tra rapporto fraterno e relazione, padre-figlio, e con qualche accenno di carica omoerotica) che in Foxcatcher sono posti al centro di un improbabile triangolo, ognuno dei quali gioca un ruolo importante nella tragedia.
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Foxcatcher è il nome della tenuta in cui il ricchissimo magnate dell'industria John Dupont finanziò e fece allenare sotto la sua "supervisione" il team olimpico di lotta a stelle e strisce dal 1987 al 1996. Protagonisti di questo progetto furono i fratelli Schulz.
Non aggiungiamo altro alla trama, particolarmente rarefatta, e costruita sui dialoghi e sulle relazioni a due tra uomini, di cui la lotta libera ne è una metafora molto fine, con tutta la sua carica di aggressività, forza e eleganza (evidenti i parallelismi tra rapporto fraterno e relazione, padre-figlio, e con qualche accenno di carica omoerotica) che in Foxcatcher sono posti al centro di un improbabile triangolo, ognuno dei quali gioca un ruolo importante nella tragedia.
Mark (C.Tatum) è il più fragile dei tre, solo e disperatamente bisognoso di amicizia ma, soprattutto, di una figura paterna che dapprima trova nel fratello, poi, quasi un complesso edipico, sostituisce/uccide tramite Dupont. Aggressivo, autodistruttivo, sempre sul punto di scattare, totalmente incentrato sul suo sport, visto come missione ma soprattutto unica ragione di vita.
David (M. Ruffalo) è la figura di equilibrio, posato e responsabile (è, infatti, sempre raffigurato ingobbito, ancor più del fratello, quasi sostenesse un grande peso sulle spalle) con una famiglia sua che lo segue; ottimo atleta, ancor migliore coach, forte e centrato in sé, tanto da influenzare tutto l'ambiente e le persone intorno. Capisce e motiva il fratello come nessun altro - è lui, infatti, il primo a volersene distaccare - ma, allo stesso tempo, intuisce la morbosità del rapporto di Mark col suo sponsor, col quale lui invece negozia alla pari nonostante la differenza sociale.
Ma la figura che si staglia su tutto, più un'ombra che un'aquila come ama soprannominarsi lui stesso, è John E. Dupont, ricco industriale di famiglia patrizia, ornitologo, filatelico, filantropo, patriota. Inintellegibile ed enigmatico, paranoico e schizofrenico, il vero Foxcatcher, ovvero "cacciatore di volpi", in riferimento al rapporto irrisolto con la madre (piccola ma significativa parte della Redgrave). Finanziatore di sportivi e di opere benemerite, ma anche collezionista di armi e carri armati (!) che usa come fossero trenini. Questa, l'interpretazione che ne dà un inedito (e quasi irriconoscibile) Steve Carell: all'eterna ricerca del riconoscimento altrui (stima, amicizia e amore: le prede che cerca disperatamente) anche a costo di doverlo comprare.
Questo triangolo si inserisce, chiudendo il cerchio iniziale, nella Storia Americana (peraltro il sottotitolo del film con innumerevoli riferimenti alla Guerra di Indipendenza), in questo eterno gioco di una nazione (non solo gli USA) che ha bisogno di eroi (militari, sportivi, artistici), li onora e li ama, ma allo stesso tempo li compra, li fagocita e li uccide. Un Capitalismo buonista e solo apparentemente progressista, che esorcizza e giustifica la ricchezza di una élite ricca nei confronti di una massa che ha il riscatto sociale come obiettivo primario: il Sogno Americano come difesa di un sistema sempre più insostenibile.
Foxcatcher appare molto più complesso di una semplice epica sportiva, con tonalità molto più simili a Truman Capote (finale incluso) che all'altro film sportivo di Miller, Moneyball. Seppur non allo stesso livello complessivo degli altri due, si tratta comunque di un film più che buono e ricco di interpretazioni davvero notevoli e sorprendenti (www.versionekowalski.it)
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goldy
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sabato 14 marzo 2015
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meravigliosa lentezza
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La storia è quato di più lontano i trailer lasciano supporre. Non è un film di genere sportivo. Una storia singolare e vera girata in una grande casa in un luogo isolato che induce a tempi rilassati e rallentati che infatti caratterizzano il film. Dialoghi scarni, essenziali addirittura al di sotto del necessario eppure quanto si dice in questo film! Di tradizioni americane, di valori, di rapporti famigliari, di carriere sportive, di potere, di infelicità, di pazzia. Una capacità di narrare strepitosa che sa smorzare quando deve e sa creare tensionne senza affanno quando necessita.
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La storia è quato di più lontano i trailer lasciano supporre. Non è un film di genere sportivo. Una storia singolare e vera girata in una grande casa in un luogo isolato che induce a tempi rilassati e rallentati che infatti caratterizzano il film. Dialoghi scarni, essenziali addirittura al di sotto del necessario eppure quanto si dice in questo film! Di tradizioni americane, di valori, di rapporti famigliari, di carriere sportive, di potere, di infelicità, di pazzia. Una capacità di narrare strepitosa che sa smorzare quando deve e sa creare tensionne senza affanno quando necessita. Si pensi a quando Mark ,all'inizio, con movimenti lenti, pacati si dirige in macchina verso la sua nuova avventura sportiva nella grande villa. Solo un sommesso commento musicale per sottolinerare un momento invece estremamente esaltante di meravigliosa pienezza per un futuro che immagina eterno e perfetto. Oserei dire che sul piano narrativo il film potrebbe rappresentare un punto di svolta.
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il viaggio
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venerdì 13 marzo 2015
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oscuro... da morire
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...Un film di una cupezza agghiacciante.
La ricostruzione della storia è fedele ed i personaggi sono eccezionali.
Complimenti a Carrel,lo conoscevo come comico e devo dire che l'interpretazione è da Oscar.
Bella la regia e severa la morale,tuttavia realistica..
Non si salva nessuno, tutti pagheranno..
In un paese dove tutti sognano ,nenche i soldi possono comprare i sentimenti...
Uno dei miei film preferiti degli ultimi 5 anni.
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gabrykeegan
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domenica 22 febbraio 2015
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grandi attori e truccatori...ma nulla di più
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Il film diretto da Bennet Miller è stato scritto in contemporanea con il libro di Mark Schultz e per questo è stato nominato nella categoria "miglior sceneggiatura originale".
Se, quindi, la storia è vera, nei nomi e tante situazioni, ci sono cose leggermente cambiate nella sceneggiatura, per poter permettere ai tre protagonisti di interagire tra di loro e dare vita a un miglior quadro psicologico.
Il film inizia lento e sembra non arrivare mai a un vero e proprio punto di svolta che potrebbe dar vita a scenari più affascinanti di allenamenti di lotta libera e dialoghi scarni, dove escono sì le personalità dei personaggi, ma allo stesso tempo non rendono la storia interessante per uno spettatore.
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Il film diretto da Bennet Miller è stato scritto in contemporanea con il libro di Mark Schultz e per questo è stato nominato nella categoria "miglior sceneggiatura originale".
Se, quindi, la storia è vera, nei nomi e tante situazioni, ci sono cose leggermente cambiate nella sceneggiatura, per poter permettere ai tre protagonisti di interagire tra di loro e dare vita a un miglior quadro psicologico.
Il film inizia lento e sembra non arrivare mai a un vero e proprio punto di svolta che potrebbe dar vita a scenari più affascinanti di allenamenti di lotta libera e dialoghi scarni, dove escono sì le personalità dei personaggi, ma allo stesso tempo non rendono la storia interessante per uno spettatore.
I truccatori sono la punta di diamante di questa pellicola, in cui ogni persona è stata trasformata in modo perfetto per assomigliare al riferimento della storia reale. Troviamo un Channing Tatum abbruttito nel fisico e nei tratti somatici. Un Mark Ruffalo stempiato e uno Steve Carell quasi irriconoscibile, con un naso reso ancora più grande e tante rughe aggiunte sul viso per assomigliare in modo straordinario al vero Du Pont.
Proprio quest'ultimo è il punto cardine di una sceneggiatura in cui le sequenze scorrono lente e inesorabili, in un tempo lungo dal punto di vista storico, ma allo stesso tempo infinitamente corto per il suo essere passato nella grande tenuta di un milionario con qualche rotella fuori posto.
Il rapporto con la madre che ricorda Psycho, l'ambiguità sessuale verso i suoi allievi, il patriottismo e la voglia di emergere come allenatore di uno sport minore, in cui poter essere un nome importante.
Tutto ciò condito da una instabilità morale e un senso di paranoia continuo che lo porta a fare scelte particolari, a essere pericoloso nei modi di fare, misterioso nei discorsi. Proprio l'interpretazione di Carell rende il film degno di essere visto, ma non si può certo dire che sia una pellicola da Oscar. Ritmi troppo lenti per creare la suspense necessaria al tragico finale e nessuna scena di rilievo che possa far cambiare idea.
Da parte loro anche Mark Ruffalo e Channing Tatum dimostrano di essere dei grandi attori e di saper reinterpretare alla perfezione i due fratelli Schultz, con dialoghi semplici, ma con una mimica perfetta per rappresentare i due atleti.
Non so perché questo film abbia avuto così successo, ma probabilmente è tutto dovuto alla bravura di questi tre attori e al loro modo di recitare una vicenda talmente strana da risultare quasi senza senso e fascino dal punto di vista cinematografico.
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sebkey
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venerdì 13 febbraio 2015
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biopic introspettivo, con un tocco di noir
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Il lottatore americano e campione olimpico Mark Schultz è cresciuto all'ombra del più celebre fratello Dave e vede nell'invito dell'eccentrico miliardario John DuPont la perfetta occasione di rivalsa.
Un Biopic diverso dai soliti ( agli Oscar dominano i più tradizionali The Imitation Game e La Teoria Del Tutto), in cui l'analisi introspettiva dei personaggi conta più del ritmo narrativo. Un film complesso, in cui il tema del patriottismo e della ricerca di gloria si mischia alle intricate vicende personali dei personaggi.
Un irriconoscibile Steve Carell è il protagonista perfetto, cupo e umorale, perennemente condizionato dallo sguardo severo della madre e dalla nomea della sua famiglia.
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Il lottatore americano e campione olimpico Mark Schultz è cresciuto all'ombra del più celebre fratello Dave e vede nell'invito dell'eccentrico miliardario John DuPont la perfetta occasione di rivalsa.
Un Biopic diverso dai soliti ( agli Oscar dominano i più tradizionali The Imitation Game e La Teoria Del Tutto), in cui l'analisi introspettiva dei personaggi conta più del ritmo narrativo. Un film complesso, in cui il tema del patriottismo e della ricerca di gloria si mischia alle intricate vicende personali dei personaggi.
Un irriconoscibile Steve Carell è il protagonista perfetto, cupo e umorale, perennemente condizionato dallo sguardo severo della madre e dalla nomea della sua famiglia.
Bennett Miller, già apprezzato per il meraviglioso "Truman Capote", è molto bravo nel trasmettere fin da subito l'atmosfera cupa del film e le tinte fosche di questo torbido ritratto degli USA.
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[+] un’amara e cupa parabola sull’america moderna
(di antonio montefalcone)
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claudiza
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mercoledì 11 febbraio 2015
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una boria neanche così onorevole.
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La storia c'era, e pure vera: un ex vincitore di medaglia d'oro di lotta mista che viene contattato da miliardario per fargli allenare la sua squadra con l'obiettivo di tornare alle olimpiadi. Gli attori anche, il regista poi possiamo dire che sia forse l'altro regista più influente d'america in questo momento (dopo o oltre david o'russell) ovvero bennet miller di cotanto MoneyBall e Capote, eppure non c'è una cosa che vada in questo film.
La storia vera sembra non interessare al regista, ed è uno suo diritto, ma in realtà sembra non interssargli nessuna altra storia, ci troviamo infatti di fronte a un film dove il protagonista è uno (Channing Tatum, Mark) per una buona prima metà per poi essere messo da parte per suo fratello negli ultimi minuti (David- Mark Ruffalo)
Cosa non cambia è purtroppo il ritmo lento e trascinato, con inspiegabili e lunghissimi passaggi natural-panoramici che rendono francamente difficile l'accettare che il miller sia stato candidato addirittura all'acdemy award per la miglior regia.
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La storia c'era, e pure vera: un ex vincitore di medaglia d'oro di lotta mista che viene contattato da miliardario per fargli allenare la sua squadra con l'obiettivo di tornare alle olimpiadi. Gli attori anche, il regista poi possiamo dire che sia forse l'altro regista più influente d'america in questo momento (dopo o oltre david o'russell) ovvero bennet miller di cotanto MoneyBall e Capote, eppure non c'è una cosa che vada in questo film.
La storia vera sembra non interessare al regista, ed è uno suo diritto, ma in realtà sembra non interssargli nessuna altra storia, ci troviamo infatti di fronte a un film dove il protagonista è uno (Channing Tatum, Mark) per una buona prima metà per poi essere messo da parte per suo fratello negli ultimi minuti (David- Mark Ruffalo)
Cosa non cambia è purtroppo il ritmo lento e trascinato, con inspiegabili e lunghissimi passaggi natural-panoramici che rendono francamente difficile l'accettare che il miller sia stato candidato addirittura all'acdemy award per la miglior regia.
Il film è, per la cronaca, un indie movie, aveva quindi un budget relativamente innocuo (26 milioni di dollari) assolutamente non recuperati ma anche per ovvi motivi:
questo è un film che infastidisce su vari fronti: non solo l'inesistente ritmo sacrificato tralaltro per scene telefonatissime (vedere l'arrivo a "foxcatcher" del Mark, di inutile lunghezza, con tanto di discorso di convincimento pesudopsicologico all attenzione di un uomo che sappiamo subito accettera l offerta anche perchè 1)l'ha già detto al fratello 2) l'abbiamo visto fino a quel momento essere completamente senza un dollaro) ma anche il fastidio di vedere un ottimo thriller butatto alle ortiche per motivazioni astratte se mai esistenti. Un occasione persa, che è molto peggio di un brutto film.
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[+] sbalordito
(di simongreen)
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rdn75
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lunedì 26 gennaio 2015
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una lenta agonia.....
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Un film molto lento e sicuramente con lo scopo di uno studio introspettivo dei personaggi. Poteva essere sicuramente meno lento come svolgimento, con la scelta registica di lunghe inquadrature anche dei paesaggi desolati americani. Abbastanza sviluppati i rapporti tra i tre protagonisti che per diverse motivazione si trovano a collaborare e condividere questa storia, sullo sfondo della lotta greco-romana. Discrete le interpretazioni dei vari protagonisti, con un irriconoscibile Steve Carell, che ci ha sempre abituato a ruoli comici e demenziali.
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