liuk!
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lunedì 7 marzo 2016
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lento e poco coinvolgente
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Ho trovato questo Foxcatcher molto deludente rispetto alle aspettative. Già parte da un tema, la lotta greco-romana, decisamente poco invitante, in più o sviluppo è lento e dopo poco tempo si capisce bene dove si vuole andare a parare. Buono il cast, Ruffalo su tutti, ma non basta a salvare la pellicola.
Non lo consiglio.
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maggie69
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domenica 5 luglio 2015
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finalmente "una storia americana" diversa!
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Finalmente un po' di coraggio .... finalmente qualcuno che fa vedere cosa fanno i soldi in America... mi é piaciuto molto anche l'aspetto psicologico dei due fratelli.... che dupont non fosse strano si capisce la seconda volta che parla... mi piacerebbe che questo film servisse anche a dare maggiore dignitá agli atleti olimpici dopo le gare. Penso ai nostri Abbagnale, che fuori dal contesto olimpico, non se lu fila nessuno... maledetto calcio... la rovina dell'Italia sportiva!
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the thin red line
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venerdì 3 luglio 2015
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fin troppo introspettivo
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Foxcatcher, per la regia di Bennett Miller. Mark Schulz è un disadattato campione di lotta, da sempre oscurato dalla bravura e dalla dedizione del fratello Dave, anch'esso medaglia d'oro olimpica nel medesimo sport. I due si allenano insieme ma il comportamento dissociato di Mark ne complica la convivenza. John Du Pont, un miliardario appassionato di lotta e succube di una madre padrona da cui cerca consensi mai ottenuti, lo convincerà a formare una squadra che dovrà tenere alti i colori americani all'olimpiade di Seul dell'88.
La vera storia dell'insano rapporto tra il magnate Du Pont e l'atleta Mark Schulz di cui conoscevamo già l'epilogo mira in questo lungometraggio di Bennett Miller a porre la lente di ingrandimento sulle personalità sociopatiche dei due protagonisti, incapaci di natura fin da piccoli a intrettenere rapporti sociali con altre persone al di fuori delle figure dei familiari loro più stretti (la madre per Du Pont e il fratello per Mark).
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Foxcatcher, per la regia di Bennett Miller. Mark Schulz è un disadattato campione di lotta, da sempre oscurato dalla bravura e dalla dedizione del fratello Dave, anch'esso medaglia d'oro olimpica nel medesimo sport. I due si allenano insieme ma il comportamento dissociato di Mark ne complica la convivenza. John Du Pont, un miliardario appassionato di lotta e succube di una madre padrona da cui cerca consensi mai ottenuti, lo convincerà a formare una squadra che dovrà tenere alti i colori americani all'olimpiade di Seul dell'88.
La vera storia dell'insano rapporto tra il magnate Du Pont e l'atleta Mark Schulz di cui conoscevamo già l'epilogo mira in questo lungometraggio di Bennett Miller a porre la lente di ingrandimento sulle personalità sociopatiche dei due protagonisti, incapaci di natura fin da piccoli a intrettenere rapporti sociali con altre persone al di fuori delle figure dei familiari loro più stretti (la madre per Du Pont e il fratello per Mark). Un incontro che inizialmente porta vantaggi ad entrambi che diventano amici quasi inseparabili nonostante la profonda diversità della loro provenienza culturale ma che sfocerà in un amarissimo epilogo da cui nessuno uscirà salvo. La qualità della regia di Miller contrapposta alla lentezza del racconto e alla minuziosa cura dei particolari estetici dei protagonisti fa da saliscendi per uno spettatore abituato ad altri ritmi narrativi, ma da magnifico risalto al vero obiettivo dell'opera: stilare un approfondito esame della psicologia contorta di due uomini che trovano l'uno nell'altro un qualcosa mai trovato prima: l'amicizia.
Le difficoltà di entrambi a legarsi con altri "umani" ne complicano la già dolorosa esistenza, il rapporto tra azione e reazione diventa qualcosa di anormale una volta persa la fiducia reciproca. Tutto esonda con la dolorosissima perdita della madre che la mente già turbata di Du Pont non riuscirà a sopportare. Un plauso dovutissimo alle magistrali interpretazioni attoriali dei tre protagonisti dove primeggia un irriconoscibile Steve Carrell, abituato a farci sorridere e trasformato in enigmatica presenza drammatica colma di dolore e disturbo. Ottimo anche Channing Tatum, bravo a tratteggiare i lineamenti di uomo tanto forte nel corpo quanto fragile e suggestionabile nella mente.
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nanni
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martedì 7 aprile 2015
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foxcatcher
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In tutte le relazioni umane fragilita’ e debolezze troppo spesso sono più decisive di altro nel decidere i rispettivi destini.
È proprio in quello il territorio che risiede e si mimetizza la nostra parte meno nobile, o quella completamente ignobile.
Ed è in quelle zone grigie, le più difficili da svelare, che varrebbe la pena indagare a fondo per provare a trovare la radice del nostro agire.
E’ utilizzando questa chiave che Foxcatcher, il bel lavoro di Bennett Miller, da fatto di cronaca diventa invece occasione di importante riflessione sul nostro essere.
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In tutte le relazioni umane fragilita’ e debolezze troppo spesso sono più decisive di altro nel decidere i rispettivi destini.
È proprio in quello il territorio che risiede e si mimetizza la nostra parte meno nobile, o quella completamente ignobile.
Ed è in quelle zone grigie, le più difficili da svelare, che varrebbe la pena indagare a fondo per provare a trovare la radice del nostro agire.
E’ utilizzando questa chiave che Foxcatcher, il bel lavoro di Bennett Miller, da fatto di cronaca diventa invece occasione di importante riflessione sul nostro essere.
I protagonisti della narrazione, l’uno a capo di una delle più in vista dinastie d’America, l’altro campione mondiale nello sport sarebbero, ma solo apparentemente, modelli di solidità in ogni senso.
Scopriremo via via , invece, che l'uno crescendo all’ombra di una madre oppressiva e protettiva ne era rimasto inesorabilmente succube.
Du Pont , ricchissimo , mostrandosi un patriotico filantropo difensore dei valori dell’America conservatrice è un inetto alla ricerca di una battaglia da vincere che lo emancipasse dalla figura materna e lo aiutasse a sopportare il "peso" di una vita fatta esclusivamente di privilegi priva, però, di qualsiasi merito.
L’altro, Mark Schultz, è un campione di lotta incupito e provato da un’infanzia senza genitori ma con fratello, campione di lotta anche lui, che è l’unico in grado di proteggerlo e guidarlo.
Dupont e Mark si incontreranno per dare l’assalto all’ennesima medaglia olimpica.
Il progetto prevede che la squadra olimpica si alleni a spese di Dupont nella sua faraonica proprietà, ma quello che sembra un sogno sarà solo per tutti l’inizio della fine.
Il Film, bello, è soprattutto necessario.
Ciao Nanni
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davidino.k.b.
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mercoledì 1 aprile 2015
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follia
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il denaro può comprare tutto ma non l'equilibrio mentale
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nikktime
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venerdì 27 marzo 2015
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foxcatcher_una storia americana.
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Ottimo film, quasi eccezionale, con una fantastica interpretazione da parte di tutti gli attori(Carell su tutti).
In grado di fare emozionare e far capire alle persone che lo guardano, i sacrifici e le scelte che vanno fatte e di come
queste possano influenzare la vita di una persona, nel bene o male(vedi John e. Du Pont).
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flyanto
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venerdì 20 marzo 2015
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il ritratto di un uomo fallito e fortemente instab
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Film in cui si racconta di un miliardario, rampollo della casa Dupont, che al fine di seguire e coltivare la sua passione per lo sport del wrestling, decide di sponsorizzare una squadra, ingaggiando alcuni tra i più bravi atleti nazionali. In particolare egli punta su un campione mondiale e su suo fratello come allenatore (anch'egli ex-campione) per andare, partecipare ed ovviamente vincere i Giochi Olimpici di Seul del 1988. In seguito alla morte dell'anziana madre di cui egli è succube e di alcuni screzi sorti nel corso degli anni con il campione suo preferito che nel frattempo decide così di dimettersi dal proprio incarico, la mente del magnate, già instabile di per sè, perde completamente il controllo portandolo ad uccidere il fratello allenatore della squadra.
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Film in cui si racconta di un miliardario, rampollo della casa Dupont, che al fine di seguire e coltivare la sua passione per lo sport del wrestling, decide di sponsorizzare una squadra, ingaggiando alcuni tra i più bravi atleti nazionali. In particolare egli punta su un campione mondiale e su suo fratello come allenatore (anch'egli ex-campione) per andare, partecipare ed ovviamente vincere i Giochi Olimpici di Seul del 1988. In seguito alla morte dell'anziana madre di cui egli è succube e di alcuni screzi sorti nel corso degli anni con il campione suo preferito che nel frattempo decide così di dimettersi dal proprio incarico, la mente del magnate, già instabile di per sè, perde completamente il controllo portandolo ad uccidere il fratello allenatore della squadra.
Questa pellicola racconta un episodio realmente accaduto negli anni '80 in cui fu coinvolto il giovane capriccioso, arrogante e dispotico miliardario John Dupont, fortemente instabile psicologicamente e molto succube dell 'anziana madre dispotica. Ed il disagio ed il senso di inadeguatezza e sconfitta personale in cui sempre visse il giovane Dupont (e che lo condusse anche a fare uso pesante di cocaina) viene qui mirabilmente rappresentato da Steve Carell. Questo attore, infatti, dedito usualmente per lo più a ruoli comici nella sua carriera cinematografica, qui interpreta un personaggio per lui del tutto nuovo ed insolito e certamente non facile, ma vi riesce rendendolo veritiero al massimo e riuscendo a darne un ritratto che sicuramente non incontra la simpatia dello spettatore. Con i dialoghi stentati e con le movenze del corpo e le espressioni del volto Carell impersona un individuo fallito e del cui fallimento personale è pienamente consapevole.
Pertanto, sebbene mi sembri personalmente un poco sopravalutata la premiazione per la regia al Festival di Cannes dell'anno scorso, il film deve essere apprezzato e valutato solo in base all'ottima performance di Carell. Tutto il resto rimane confinato nella banalità ed in un'eccessiva lungaggine che sicuramente non giova all' opera cinematografica.
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storie di cinema
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giovedì 19 marzo 2015
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una vera storia americana
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Foxcatcher – Una storia Americana. Nel titolo dell’ultima fatica di Bennett Miller (Truman Capote - A sangue freddo, L’arte di vincere) c’è tutto il senso di un film che, sulla base di vicende realmente accadute, ha come intenzione primaria proprio quella di raccontare quegli Stati Uniti così ricchi di parabole sociali, troppo spesso caratterizzate da personaggi contorti e risvolti inquietanti. I fratelli Schultz sono due ragazzi molto uniti nella vita e nello sport.
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Foxcatcher – Una storia Americana. Nel titolo dell’ultima fatica di Bennett Miller (Truman Capote - A sangue freddo, L’arte di vincere) c’è tutto il senso di un film che, sulla base di vicende realmente accadute, ha come intenzione primaria proprio quella di raccontare quegli Stati Uniti così ricchi di parabole sociali, troppo spesso caratterizzate da personaggi contorti e risvolti inquietanti. I fratelli Schultz sono due ragazzi molto uniti nella vita e nello sport. David (Mark Ruffalo) e Mark (Channing Tatum) sono campioni di Lotta libera. Mark viene contattato da John du Pont (Steve Carell), membro di una delle famiglie più ricche d’America. Egli tenta di ingaggiare Mark e il fratello per realizzare un sogno: diventare allenatore della squadra del suo paese in vista delle Olimpiadi di Seoul. Inizia così un insidioso percorso professionale ed umano che coinvolgerà i fratelli Schultz e il ricco erede du Pont. Una storia americana, quindi, ma raccontata con uno stile che americano non lo è fino in fondo. Non c’è infatti in Foxcatcher la ricerca dell’eccesso, né tantomeno quella scrittura lusinghiera che di solito, di fronte a storie vere, è in grado di plasmare a pennello interpretazioni straordinarie e spesso sopra le righe. Foxcatcher cerca l’atmosfera, la riflessione, l’armonia di linguaggio; un’armonia fatta di sottili silenzi, di sguardi profondi, di contatti fisici. Una vicenda, quindi, inglobata con una certa originalità in quel carattere a stelle e strisce che fa della sfida un elemento imprescindibile e della gloria un obiettivo da raggiungere a tutti i costi. Un temperamento nazionale in grado di contemplare solo il risultato, volto a riproporre – e, in un certo senso, a reinterpretare - un'atavica dicotomia di classe che, nella lucida narrazione di Foxcatcher, prende le sembianze di un giovane introverso e dotato di quella grinta istintiva tipica del talento che viene dalla strada, e le ossessioni di un ricco e padronale individuo che, cresciuto nell’ovattata e soffocante atmosfera di una reggia e oppresso dalla madre, vuole a tutti i costi lasciare un segno nella storia. Bravi e convincenti i tre protagonisti, ai quali Miller deve molto del merito del film. Insolito e irriconoscibile Steve Carell. Tratto da Foxcatcher, autobiografia di Mark Schultz. Premio per la miglior regia a Cannes. (seguici su Fb: Storie di Cinema).
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filippo catani
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martedì 17 marzo 2015
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capolavoro psicologico
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John du Pont rampollo di una famiglia benestante americana decide di contattre il campione olimpico di lotta Mark Schultz alla vigilia delle Olimpiadi di Seul 1988. L'uomo non è interessato solo alla vittoria individuale ma anche a quella dei principi e dei valori statunitensi. Tratto da una storia vera.
Il film è un autentico capolavoro e come nel suo precedente (e bellissimo) L'Arte di vincere, il regista Miller utilizza alla perfezione una storia legata allo sport e in questo caso alla lotta greco-romana. Diciamolo subito; chi è interessato a un film solo di lotta con combattimenti e ritmo adrenalinico è meglio che non si avvicini al film che fa invece della lentezza e della introspezione psicologica le sue armi vincenti.
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John du Pont rampollo di una famiglia benestante americana decide di contattre il campione olimpico di lotta Mark Schultz alla vigilia delle Olimpiadi di Seul 1988. L'uomo non è interessato solo alla vittoria individuale ma anche a quella dei principi e dei valori statunitensi. Tratto da una storia vera.
Il film è un autentico capolavoro e come nel suo precedente (e bellissimo) L'Arte di vincere, il regista Miller utilizza alla perfezione una storia legata allo sport e in questo caso alla lotta greco-romana. Diciamolo subito; chi è interessato a un film solo di lotta con combattimenti e ritmo adrenalinico è meglio che non si avvicini al film che fa invece della lentezza e della introspezione psicologica le sue armi vincenti. Ecco allora alternarsi i tre protagonisti della vicenda a formare un pericolosissimo triangolo. Al vertice c'è il miliardario du Pont. L'uomo è assolutamente insoddisfatto delle sue ricchezze e della sua vita solitaria passata in tutti i salotti buoni. Questo perchè non ha la minima approvazione della madre che lo ritiene poco più di una nullità incapace di distinguersi nella vita, negli affari e nell?adorata ippica. Du Pont cerca allora di realizzare un progetto ambizioso di creare dal nulla una squadra di lotta capitanata da quel Marc Schulz capace di vincere l'oro olimpico. Tra i due si instaurerà un rapporto morboso e sordido che porterà il campione lontano da una forma accettabile. Ecco allora entrare in scena il fratello ex campione e ex allenatore di Marc il quale ha invece una vita serena e regolare e questo farà da detonatore finale alla vicenda. Il tutto corredato da una sorta di mistica di Du Pont in difesa dei valori americani contro quelli sovietici e della sua voglia di essere oltre a un coach anche un mentore o piuttosto un padre padrone. Il trio Carrell,Tatum,Ruffalo è semplicemente straordinario così come sono azzeccate le ambientazioni, la fotografia e la rarissima colonna sonora. Un film praticamente tutto al maschile dove però pesa come un macigno la presenza dell'ingombrante madre di Dupont (una brava Redgrave). Insomma un film lento ma in grado di amalgamare i suoi ingredienti in un ottimo e tremendo prodotto finale che fa rabbrividire ancora di più sapendo che si tratta di una storia vera.
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ralphscott
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lunedì 16 marzo 2015
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pretenzioso. e noioso.
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Uno di quei film di cui proprio non si avverte la necessità. Trionfa la compiacenza (auto-) di una essenzialità che non solo é rigore stilistico,ma anche carenza di "cose da dire". Non so se le lunghe,estenuanti scene di lotta siano credibili (purtroppo non conosco questo sport affascinante),di sicuro sembrano voler colmare la piattezza di una sceneggiatura che non decolla mai. Non c'é suspence,non c'é ritmo,non c'é recitazione:gli attori,persino la grande Redgrave,evidentemente per imposizione,hanno una sola espressione. Si salva il personaggio del bravo Ruffalo che ha una filmografia alle spalle di ben altro spessore. Butta giù persino la pancia,ma é fatica inutile,questo film é ambizioso e nulla più.
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Uno di quei film di cui proprio non si avverte la necessità. Trionfa la compiacenza (auto-) di una essenzialità che non solo é rigore stilistico,ma anche carenza di "cose da dire". Non so se le lunghe,estenuanti scene di lotta siano credibili (purtroppo non conosco questo sport affascinante),di sicuro sembrano voler colmare la piattezza di una sceneggiatura che non decolla mai. Non c'é suspence,non c'é ritmo,non c'é recitazione:gli attori,persino la grande Redgrave,evidentemente per imposizione,hanno una sola espressione. Si salva il personaggio del bravo Ruffalo che ha una filmografia alle spalle di ben altro spessore. Butta giù persino la pancia,ma é fatica inutile,questo film é ambizioso e nulla più. A leggere l'accostamento fatto da qualcuno a Psyco mi vengono davvero i brividi:genio,inventiva,tensione,splendide musiche nel capolavoro del '60. Qui una noia che,sadicamente,nemmeno l'omicidio finale stempera:il finale,degno di questa pellicola involuta,é infatti tronco. Il rapporto tra madre e figlio,almeno quello,meritava tutt'altro sviluppo. Peccato,lo spunto -dicono una storia vera- si prestava a ben altra messa in scena.
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