pepito1948
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sabato 4 gennaio 2014
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w l'inghilterra!
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Ci sono film in cui non si può, in sede di analisi, non cominciare dalla fine, cioè dal cast, e precisamente dalla protagonista. Che Judy Dench fosse un’attrice fenomenale era noto a tutti. Ma nella parte di Philomena, donna realmente vissuta, la cui unica aspirazione diventa quella di conoscere la verità sul figlio indebitamente sottrattole in una "cattività" imposta da operatrici religiose, supera se stessa e dimostra ancora una volta di rientrare tra le massime interpreti viventi del cinema mondiale.
Ancora bellissima nonostante l'età e le rughe, tratti somatici ammalianti come il taglio felino degli occhi e lo sguardo penetrante, la Dench è un'attrazione a sè nel contesto di un film non nuovo (in fondo è un viaggio di ricerca di qualcuno da tempo scomparso da parte di una persona che non ha perso la speranza e non vuole vendetta ma solo verità) ma equilibratissimo nel non cadere mai in eccessi.
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Ci sono film in cui non si può, in sede di analisi, non cominciare dalla fine, cioè dal cast, e precisamente dalla protagonista. Che Judy Dench fosse un’attrice fenomenale era noto a tutti. Ma nella parte di Philomena, donna realmente vissuta, la cui unica aspirazione diventa quella di conoscere la verità sul figlio indebitamente sottrattole in una "cattività" imposta da operatrici religiose, supera se stessa e dimostra ancora una volta di rientrare tra le massime interpreti viventi del cinema mondiale.
Ancora bellissima nonostante l'età e le rughe, tratti somatici ammalianti come il taglio felino degli occhi e lo sguardo penetrante, la Dench è un'attrazione a sè nel contesto di un film non nuovo (in fondo è un viaggio di ricerca di qualcuno da tempo scomparso da parte di una persona che non ha perso la speranza e non vuole vendetta ma solo verità) ma equilibratissimo nel non cadere mai in eccessi. Di recitazione per esempio: la Dench si muove al meglio della resa in termini di credibilità, tra dramma e apruzzate di humour, senza sbavature e cedimenti gigioneggianti (come hanno fatto in ruoli complessi altri grandi, da Nicholson a Brando). Ma la misura è rispettata anche sul piano ideologico, laddove l'anticlericalismo di fondo è affidato solo alla forza delle immagini, alla spietata ipocrisia di alcuni ambienti di (pseudo)assistenza religiosa, alle parole reazionarie e scellerate di una delle principali responsabili della angherie subite dalla protagonista in gioventù, ribadite a distanza di decenni dal misfatto; non ci sono pistolotti da parte di nessuno, semmai al contrario disponibilità al perdono di Philomena, donna -nonostante tutto- di profonda e provata fede, che alla fine argina il carico di furore del giovane Martin accontentandosi di avere trovato ciò a cui realmente ambiva: non tanto l'incontro con il figlio, scomparso nei meandri della sua lontana esistenza, ma la prova documentata che questi prima di passare a miglior vita si era ricordato di lei con atti incontrovertibili. Il cerchio si chiude, il contatto emozionale tra i due, sia pure a distanza di spazio e di tempo, si realizza e Philomena ricomincia il suo percorso di donna, forse appesantita da un difficile vissuto ma appagata e soddisfatta.
Onore anche a Steve Coogan, coprotagonista in seconda, nel ruolo del giornalista estromesso dall'entuorage di Blair e disoccupato con la voglia di riscattarsi, inizialmente in posizione distaccata ed accessoria, ma che poi cresce e brilla di luce propria quando diventa indispensabile per il successo della missione di Philomena, divenuta anche la sua missione. Coogan, comico famoso nella sua Inghilterra e coautore della sceneggiatura, è bravo nello smussare gli aspetti drammatici della vicenda con battute di spirito tipicamente inglesi, sempre nobilitate da intelligenza e giusto dosaggio.
Onore infine a S. Frears, regista attento a mostrare e gestire con senso della misura la dialettica tra le diversità dei due, come awmplicità campagnola e spirito metropolitano, fede ed anticlericalismo, passione giustizialista e idealismo perdonista, abile nel costruire il racconto seguendo passo passo la dinamica prima aspra poi convergente infine empatica dei due "ricercatori", mettendo nel massimo rilievo gli inderogabili valori umani come rispetto della vita umana, libertà di scelta, tolleranza in antitesi a quegli ambienti che, forti di un credo che dovrebbe fondarsi su quei principi fondamentali, in realtà ne fanno scempio. Un’antitesi sempre attuale.
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angelo umana
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martedì 7 gennaio 2014
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peccati della chiesa
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Suor Hildegarde – Barbara Jefford, magnifica attrice nella maschera pietrificata di una suora vecchia e in sedia a rotelle, ferma o prigioniera nel suo credo e nelle sue convinzioni – dichiara al giornalista Martin Sixsmith nel 2003 di aver giurato a Dio eterna fede e di aver fatto promessa di mortificazione della carne. Pertanto è giusto che il suo collegio abbia taciuto all’anziana Philomena che il suo figlio smarrito, che avrebbe compiuto 50 anni in quei giorni, era sepolto nel loro cimitero: era espiazione del suo peccato! Philomena era stata ospite di quel collegio di orfane adolescenti negli anni cinquanta, in una libera uscita aveva concepito il suo bambino, siamo nel 1952, e come altre ragazze responsabili dello stesso “errore” o “orribile peccato” – col sesso che per giunta le era piaciuto – aveva vissuto accanto al proprio bambino ma potendolo vedere solo un’ora al giorno, finché verso i tre anni le fu portato via da una coppia americana cui le suore lo affidarono per 1000 sterline.
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Suor Hildegarde – Barbara Jefford, magnifica attrice nella maschera pietrificata di una suora vecchia e in sedia a rotelle, ferma o prigioniera nel suo credo e nelle sue convinzioni – dichiara al giornalista Martin Sixsmith nel 2003 di aver giurato a Dio eterna fede e di aver fatto promessa di mortificazione della carne. Pertanto è giusto che il suo collegio abbia taciuto all’anziana Philomena che il suo figlio smarrito, che avrebbe compiuto 50 anni in quei giorni, era sepolto nel loro cimitero: era espiazione del suo peccato! Philomena era stata ospite di quel collegio di orfane adolescenti negli anni cinquanta, in una libera uscita aveva concepito il suo bambino, siamo nel 1952, e come altre ragazze responsabili dello stesso “errore” o “orribile peccato” – col sesso che per giunta le era piaciuto – aveva vissuto accanto al proprio bambino ma potendolo vedere solo un’ora al giorno, finché verso i tre anni le fu portato via da una coppia americana cui le suore lo affidarono per 1000 sterline.
Le affermazioni di suor Hildegarde fanno pensare ai gerarchi nazisti che a Norimberga e ovunque si sono difesi dicendo di aver solo eseguito ordini. Questo è il guaio delle leggi umane e di quelle religiose, peraltro codificate da uomini, il fondamentalismo della chiesa cattolica non avendo nulla da invidiare a qualsiasi altro: le leggi sono relative ai luoghi al tempo alle persone che le promulgano, spesso dettate solo dai potenti di turno.
Una lunga esperienza di collegi, e di un collegio di suore per cinque anni proprio a cavallo dei decenni cinquanta e sessanta, mi riporta a una certa “cattiveria” di queste donne che tra fede e necessità divennero suore. Furono vittime loro stesse di discipline monacali, pure attraverso le loro tonache che lasciavano scoperto solo il viso (non la fronte) traspariva tanta insoddisfazione per una vita accettata in mancanza d’altro, di altre vite che avrebbero potuto realizzare. Nell’Irlanda di quegli anni la Chiesa si è macchiata di torti quando non di veri delitti (altri racconti, di storie vere come questa del film Philomena, sono in “Magdalene” del 2002) . Una suor Hildegarde giovane dice alla ragazzina Philomena “non sei solo tu ad aver le regole (mestruazioni)”, sembra più un rimprovero, una ripicca verso l’adolescente “peccatrice”, per la femminilità non esercitata dalla religiosa.
Steve Coogan, che impersona il giornalista Martin Sixsmith ex portavoce del governo Blair, oltreché attore è lo sceneggiatore premiato per questo film a Venezia 2013. Del tocco del regista Stephen Frears sembra dimenticarcisi, tanto l’attenzione si concentra attorno ai due protagonisti, le cui espressioni non sono prive di una certa fissità. La pellicola accompagna i due, lui e Philomena (insuperabile 80enne Judi Dench), lungo il viaggio in America alla ricerca di Anthony, chiamato poi Michael Hess dalla famiglia adottiva, bambino “molto sensibile” da piccolo e, da adulto, affascinante e carismatico addetto stampa di Reagan e Bush sr.; nelle occasioni ufficiali si accompagnava a una finta moglie, non essendo consentito esibire un compagno di vita omosessuale. Nel soggiorno americano Philomena Lee osserva in filmati il figlio che non ha visto crescere e vedendolo le pare di averlo avuto, conosciuto, ne è contenta, sa che con lei – modesta infermiera – “non avrebbe avuto una vita così”. E’ un viaggio di conoscenza reciproca dei due, che comincia e finisce nel collegio-convento delle figlie del Sacro Cuore. Martin, cosciente che “non serve la religione per essere equilibrati e felici”, apprende dall’anziana il perdono, Philomena non vuole odiare, del resto “è estenuante essere arrabbiati”. Il perdono da lei dichiarato alla vecchia Hildegarde, però, suona come un tremendo giudizio.
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massi(mo)rdini
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venerdì 10 gennaio 2014
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il coraggio dell'appartenenza
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Non dev'essere stato semplice per Frears raccontare una storia di abusi senza scadere nell'invettiva o nel sentimentalismo; l'operazione si sarebbe però rivelata ancora più difficile, se non addirittura impensabile, senza la straordinaria performance di Judi Dench.
L'attrice inglese riesce infatti a conferire credibilità al personaggio di Philomena, una madre in cerca del figlio sottrattole in tenera età e mai più ritrovato. La donna infatti , rimasta incinta giovanissima e per questo ripudiata dalla famiglia, viene letteralmente rinchiusa in un convento di suore le quali, invece di aiutarla a crescere il bambino, lo rivendono a una famiglia di facoltosi americani per ricavarne denaro.
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Non dev'essere stato semplice per Frears raccontare una storia di abusi senza scadere nell'invettiva o nel sentimentalismo; l'operazione si sarebbe però rivelata ancora più difficile, se non addirittura impensabile, senza la straordinaria performance di Judi Dench.
L'attrice inglese riesce infatti a conferire credibilità al personaggio di Philomena, una madre in cerca del figlio sottrattole in tenera età e mai più ritrovato. La donna infatti , rimasta incinta giovanissima e per questo ripudiata dalla famiglia, viene letteralmente rinchiusa in un convento di suore le quali, invece di aiutarla a crescere il bambino, lo rivendono a una famiglia di facoltosi americani per ricavarne denaro. Sono ormai passati tanti anni quando Philomena, non potendo più nascondere il proprio segreto, entra in contatto con un giornalista da poco licenziato che, non avendo niente da perdere, decide di occuparsi della sua vicenda. Insieme si recano nel convento irlandese dove è cresciuta, dove però non riescono ad ottenere altro che parole tanto melense quanto inutili, decidendo poi di partire per gli Stati Uniti. Qui apprendono che il figlio, brillante membro del partito conservatore, era morto pochi anni prima di AIDS e, dopo lo choc iniziale, si mettono sulle tracce di coloro che l'hanno conosciuto. Scoprono quindi che aveva avuto un compagno, dal quale vengono informati riguardo le ricerche compiute per rintracciare la madre presso convento di Roscrea, lo stesso a cui i due si erano in precedenza rivolti, dove è stato oltretutto sepolto in segno di riconoscenza verso la sua vera patria. Messe alle strette, le suore sono costrette ad ammettere l'accaduto senza però mostrare alcun segno di pentimento; ancora più generoso si rivela quindi l'atteggiamento di Philomena che, accusata per l'ennesima volta di aver meritato ciò che le è successo, è disposta a perdonare pur di andare avanti. Quello che a prima vista può sembrare un gesto di resa è invece l'affermazione di una salda volontà, dimostrata anche dall'intenzione di voler rendere pubbliche le angherie subite; tutto questo nonostante il giornalista si dichiari disposto a rinunciare al suo incarico pur di non turbare ulteriormente la vita della donna, già abbastanza travagliata. Proprio sotto questo aspetto madre e figlio si dimostrano più simili che mai: lei, cattolica devota nonostante i soprusi subiti, lui, fervente repubblicano anche quando era difficile per un omosessuale esserlo.
Nel riassumere la trama ho evitato di soffermarmi sulla figura del giornalista, uomo cinico e scettico e facile preda della rabbia, che è invece quella in cui ci si può più facilmente immedesimare. Ed è proprio questo il talento di Frears: riuscire a far identificare lo spettatore non con il cronista ma con una donna che, magari nella sua ingenuità (aspetto che ce la rende ulteriormente simpatica), riesce a superare dolore e delusione senza che la sua positività ne risenta. Philomena non risulta mai una patetica credulona ma anzi è un personaggio che, pur non avendo una laurea ad “Oxbridge”, ha molto da insegnare a ciascuno di noi; allo stesso modo certe iene del giornalismo, perennemente in cerca di casi umani, hanno molto da imparare dalla lezione di di Martin Sixsmith, giornalista serio e scrupoloso nonché autore del libro da cui il film è tratto, che invece di cavalcare lo scoop ha preferito rinunciare alla cronaca per occuparsi di storia, anteponendo la propria passione al facile guadagno.
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jaylee
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lunedì 13 gennaio 2014
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l'odissea di una strana coppia
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Stephen Frears, a mio avviso uno dei migliori registi britannici, stavolta ci racconta una storia vera, un’avventura vissuta insieme da un giornalista inglese disoccupato Martin (Steve Coogan) ed una infermiera irlandese ormai in pensione (Judi Dench), alla ricerca del figlio perduto di lei. Storia particolarmente delicata nei paesi anglosassoni, in quanto va a toccare un nervo scoperto che è quello dei conventi cattolici che, nati per fornire rifugio a ragazze madri e i loro figli, divenivano in realtà dei veri e propri carceri dove le ragazze venivano messe ai lavori forzati (in genere lavanderia) fino all’adozione del figlio. Una tematica peraltro già affrontata da Peter Mullan in Magdalene (2002).
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Stephen Frears, a mio avviso uno dei migliori registi britannici, stavolta ci racconta una storia vera, un’avventura vissuta insieme da un giornalista inglese disoccupato Martin (Steve Coogan) ed una infermiera irlandese ormai in pensione (Judi Dench), alla ricerca del figlio perduto di lei. Storia particolarmente delicata nei paesi anglosassoni, in quanto va a toccare un nervo scoperto che è quello dei conventi cattolici che, nati per fornire rifugio a ragazze madri e i loro figli, divenivano in realtà dei veri e propri carceri dove le ragazze venivano messe ai lavori forzati (in genere lavanderia) fino all’adozione del figlio. Una tematica peraltro già affrontata da Peter Mullan in Magdalene (2002).
Qui in realtà, oltre ad avere un tono decisamente più leggero, la storia si incentra quasi completamente sulla ricerca da parte di Philomena, fervente cattolica nonostante tutto, testarda, semplice e generosa, del suo Anthony; avrà come compagno di viaggi (interessato, visto che è inviato da un giornale per scriverne la storia), Martin, che inizialmente lo vede come un semplice lavoro, ma poi diverrà per lui stesso una missione.
La trama è semplice e lineare, e si sposta dall’Inghilterra all’Irlanda (sede del convento di Roscrea), per poi recarsi negli USA, ed infine ancora in Irlanda; ed è tutto perfettamente professionale e funzionale all’interpretazione di Judi Dench (si accettano scommesse sull’Oscar alla Migliore Attrice) che avrebbe potuto accontentarsi di interpretare una fragile vecchietta, invece ci regala questa signora indomita, che ama i libri sentimentali (guardate le facce di Martin, quando lei gli racconta le trame…), senza studi particolari, ma con una fede incrollabile, spesso ingenua, ma indefinitiva sana. Messa a dura prova dalla vita e dai comportamenti degli esseri umani verso di lei e verso suo figlio, inclusi e soprattutto quelli della sua fede, si aggrappa alle sue convinzioni non con il terrore di un Dio altero e vendicativo, ma con una pragmatica serenità e fede in una Natura più grande e generosa di qualsiasi pensiero razionale, che, alla fine, è alla base del miglior pensiero evangelico. Una delle scene finali (forse la più emblematica) vede proprio questo triangolo tra la rancorosa Sorella Hildegard, l’ateo razionalista Martin e questa piccola signora irlandese dagli occhi splendenti e dai gusti così semplici, che impartisce una lezione di vita a tutti e due. Lo stesso Martin metterà in dubbio alcune sue convinzioni, mettendo a confronto il suo (a volte irritante) scetticismo, e le dimostrazioni di generosità della sua compagna di viaggio al cospetto di una vita anche durissima.
L’interpretazione della Dench è allo stesso tempo il punto di forza del film ed il suo limite: il resto, altre interpretazioni incluse (anche Steve Coogan -non sembra sempre così convincente come era successo in altri casi, il che è curioso visto che è uno degli sceneggiatori!) sembra tutto in funzione della sua protagonista. Il film di Frears scorre via alternando momenti drammatici ad altri leggeri come è il suo stile, anche se non sempre approfondisce come dovrebbe e potrebbe in alcuni casi.
Ad ogni modo, più che godibile nel suo complesso, con una performance davvero superlativa che ne nobilita la riuscita.(www.versionekowalski.it)
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omero sala
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domenica 16 febbraio 2014
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basta crederci
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Leggo che il film è stato premiato perché “offre un intenso e sorprendente ritratto di una donna resa libera dalla fede … che nella sua ricerca della verità, sarà sollevata dal peso di una ingiustizia subita grazie alla sua capacità di perdonare”.
Mi chiedo quanto di questa capacità di perdonare sia da attribuire alla fede e quanto alla stanchezza o alla coriacea assuefazione al dolore tipica di chi ha subito ingiustizie devastanti e non riesce a reagire alla cattiveria se non con lo sbigottimento passivo.
In genere queste vittime consapevoli giustificano (anzi coonestano, nobilitano) la loro indolenza (che in qualche modo è non-dolenza, atarassia) e quasi consacrano la loro incapacità di lasciarsi assalire (giustamente) dalla rabbia e di reagire (come si dovrebbe) con delle ragioni di fede.
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Leggo che il film è stato premiato perché “offre un intenso e sorprendente ritratto di una donna resa libera dalla fede … che nella sua ricerca della verità, sarà sollevata dal peso di una ingiustizia subita grazie alla sua capacità di perdonare”.
Mi chiedo quanto di questa capacità di perdonare sia da attribuire alla fede e quanto alla stanchezza o alla coriacea assuefazione al dolore tipica di chi ha subito ingiustizie devastanti e non riesce a reagire alla cattiveria se non con lo sbigottimento passivo.
In genere queste vittime consapevoli giustificano (anzi coonestano, nobilitano) la loro indolenza (che in qualche modo è non-dolenza, atarassia) e quasi consacrano la loro incapacità di lasciarsi assalire (giustamente) dalla rabbia e di reagire (come si dovrebbe) con delle ragioni di fede.
Philomena intrisa di religiosità, come lo sono le irlandesi nate negli anni Venti, rientra in questa categoria.
Il perdono per lei è più appagante della vendetta, più accettabile e consono alla sua esistenza della indignazione. La remissività si è “stagionata” in lei. Nel suo intimo è convinta che l’indulgenza le faccia guadagnare indulgenze e che la comprensione della cattiveria altrui le faccia meritare hic et nunc la serenità (altrimenti impossibile per gli oppressi) e nel vicinissimo “futuro” la rivincita costituita dalla pace eterna.
La fede produce energie, è vero. Ma questo non avviene a causa di misteriose infusioni di fluidi extraterrestri. La forza di chi ha fede è endogena, generata da meccanismi psichici legati alla presa di distanza di chi sente l’insopprimibile bisogno di sopravvivere e di superare il panico della finitezza guardando oltre.
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hollyver07
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giovedì 20 febbraio 2014
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la catarsi di una madre
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Ciao. Philomena è una anziana donna angosciata dal tormento datole dalla forzata separazione dal figlio il quale, negli anni 50, fu venduto (per adozione si... ma non siamo lontani dai limiti della tratta di schiavi) ad una facoltosa coppia di americani. I fatti ebbero origine nella cattolica Irlanda, nazione che oltre ad una cronica povertà ed ad una religiosità negletta ed oscurantista in quel periodo poteva anche "vantare" il commercio di giovani vite che venivano strappate a giovani ed indigenti madri, la maggior parte delle quali non erano nemmeno in grado di ricomprarsi la libertà dai collegi dove sovente venivano rinchiuse - Nota: la reclusione delle giovani adolescenti non era una pratica comune ai soli Irlandesi, anche in Italia veniva fatto ricorso a tali soluzioni in presenza di gruppi familiari numerosi e poveri.
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Ciao. Philomena è una anziana donna angosciata dal tormento datole dalla forzata separazione dal figlio il quale, negli anni 50, fu venduto (per adozione si... ma non siamo lontani dai limiti della tratta di schiavi) ad una facoltosa coppia di americani. I fatti ebbero origine nella cattolica Irlanda, nazione che oltre ad una cronica povertà ed ad una religiosità negletta ed oscurantista in quel periodo poteva anche "vantare" il commercio di giovani vite che venivano strappate a giovani ed indigenti madri, la maggior parte delle quali non erano nemmeno in grado di ricomprarsi la libertà dai collegi dove sovente venivano rinchiuse - Nota: la reclusione delle giovani adolescenti non era una pratica comune ai soli Irlandesi, anche in Italia veniva fatto ricorso a tali soluzioni in presenza di gruppi familiari numerosi e poveri. Ad ogni buon conto, Philomena ebbe a subire tale sventurata sorte e la vicenda ne narra le vicissitudini adolescenziali e la successiva ricerca del figlio e della sua storia. Preferisco soffermarmi sulla qualità estetica del film, piuttosto che sulle acide riflessioni che potrei fare sulla vicenda; onestamente sarei davvero spietato nei giudizi sulla chiesa cattolica, la religione e gli usi ed abusi che certe ambienti allora e tutt'ora operano sotto l'egida di dogmi medievali. Il film è ottimamente realizzato ed è ovviamente focalizzato sui ruoli di Steve Coogan (Sixsmith) e Judi Dench (Philomena). Davvero ottima la prova attoriale di entrambi con un plauso davvero convinto a quella di J. Dench. Dietro l'intensa espressione dell'attrice compaiono, per navigata arte, le convincenti sfumature degli stati d'animo di Philomena la quale, di scena in scena, forma un'immagine ben distinta del personaggio e dei momenti narrativi che la riguardano - Prestazione artistica che davvero meriterebbe l'oscar. Ottima, a mio avviso, la regìa di Stephen Frears, concentrata nella narrazione della storia sopratutto attraverso la rappresentazione del non facile rapporto tra Philomena e Sixsmith. Bello e sentito il flashback della storia di Philomena da adolescente, è anche una buona occasione per percepire un religioso... sangue marcio...! Cosa dire... film da vedere e rivedere. Saluti
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alexander 1986
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domenica 6 luglio 2014
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la nuova moda dell perdono senza pentimento
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Nell'Irlanda di alcuni decenni fa, a una ragazza incinta in seguito a un rapporto occasionale capitava di essere ripudiata dalla famiglia, rinchiusa in un monastero, partorire con dolore e privata del figlio (mandato in adozione chissà dove) senza sperare di rivederlo. Così è successo a Philomena (Judi Dench), giunta a una veneranda età con un solo desiderio: sapere se, come lei ha fatto con lui, anche il figlio perduto abbia pensato a lei e desiderato trovarla. Un giornalista improbabile, Martin Sixsmith (Steve Coogan), potrebbe aiutarla a chiudere il cerchio della sua vita.
Il merito principale di quest'ultima pellicola di Frears consiste nell'aver dato pubblicità internazionale - insieme all'omonimo libro proprio di Sixsmith - a una storia incresciosa che sta riemergendo proprio in questi giorni con il ritrovamento di una fossa comune con 800 corpi di bambini presso l'orfanotrofio di Tuam.
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Nell'Irlanda di alcuni decenni fa, a una ragazza incinta in seguito a un rapporto occasionale capitava di essere ripudiata dalla famiglia, rinchiusa in un monastero, partorire con dolore e privata del figlio (mandato in adozione chissà dove) senza sperare di rivederlo. Così è successo a Philomena (Judi Dench), giunta a una veneranda età con un solo desiderio: sapere se, come lei ha fatto con lui, anche il figlio perduto abbia pensato a lei e desiderato trovarla. Un giornalista improbabile, Martin Sixsmith (Steve Coogan), potrebbe aiutarla a chiudere il cerchio della sua vita.
Il merito principale di quest'ultima pellicola di Frears consiste nell'aver dato pubblicità internazionale - insieme all'omonimo libro proprio di Sixsmith - a una storia incresciosa che sta riemergendo proprio in questi giorni con il ritrovamento di una fossa comune con 800 corpi di bambini presso l'orfanotrofio di Tuam. Ma questo, come si suol dire, è storia. Il film in sé e per sé gira intorno alla retorica antica della grandezza nell'umiltà: come il Myskin di Dostoevskij, la sempliciotta Philomena sparge lezioni di umanità e di fede a tutti, laici e religiosi, con una facilità disarmante; forse anche perché, come ne 'L'idiota', anche qui coloro che dovrebbero essere gli 'intelligenti' in realtà sono cretini. Così, tra molte gag e qualche momento di riflessione non troppo profonda, il film scorre secondo binari prevedibili; lo stesso finale, che qualcuno forse troverà deludente o buonista, è in realtà l'unico sbocco possibile per questa storia da libro Cuore.
Dench interpreta il suo ruolo con la sua consueta sensibilità, Coogan funge da spalla forse esagerando con smorfie e faccette.
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elgatoloco
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domenica 8 luglio 2018
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dal romanzo di sixsmith un vero film
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"Philomena"(2013, di Stephen Frears, dal romanzo di Martin Sixsmith)è un film che sintetizza in sé tanti meriti, ormai"persi"(o quasi)nella filmografia attuale: realismo, proiezione immaginaria, visionarietà e capacità di rapportarsi con un passato, tutto sommato recente, quello delle"maddalene", ragazze-trovatelle che le monache irlandesi costringevano a lavorare comne schiave, vendendo i loro figli agli Yankees, beninteso con la sostanzaile complicità del papato pacellianoi(Pio XII°, per intenderci), dunque della chiesa cattolica preconciliare. La"detection"è quella di un'ex-"maddalena", madre di un NN, invero diventato famoso negli States, consulente di due presidenti USA conservatori/repubblicani, Nixon e Reagan, che riesce a coinvolgere un giornalista e storico britannico(pur se"sotto traccia"il contrasto tra Great Britain e Ireland emerge comunque in modo molto forte nel film), ricercando il suo"pargolo"perso non si sa dove.
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"Philomena"(2013, di Stephen Frears, dal romanzo di Martin Sixsmith)è un film che sintetizza in sé tanti meriti, ormai"persi"(o quasi)nella filmografia attuale: realismo, proiezione immaginaria, visionarietà e capacità di rapportarsi con un passato, tutto sommato recente, quello delle"maddalene", ragazze-trovatelle che le monache irlandesi costringevano a lavorare comne schiave, vendendo i loro figli agli Yankees, beninteso con la sostanzaile complicità del papato pacellianoi(Pio XII°, per intenderci), dunque della chiesa cattolica preconciliare. La"detection"è quella di un'ex-"maddalena", madre di un NN, invero diventato famoso negli States, consulente di due presidenti USA conservatori/repubblicani, Nixon e Reagan, che riesce a coinvolgere un giornalista e storico britannico(pur se"sotto traccia"il contrasto tra Great Britain e Ireland emerge comunque in modo molto forte nel film), ricercando il suo"pargolo"perso non si sa dove. Lo verrà a sapere, scoprendo anche che era gay e quindi inviso al conservatorismo del"Grand Old Party", che era morto di AIDS e varie altre cose. Donna solida, imperturbabile nella sua fede cattolica anche quando scopre tutte le manovre delle"buone suorine"per nascondere la verità, già infermiera, a suo modo realista, Philomena è l'anti-Martin, dove lui è ateo e razionalista. Da vedere assolutamente, riflettendo sul film, che vede Judi Dench e Steve Coogan quali straordinarir protagonisti. El Gato
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onufrio
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lunedì 17 giugno 2019
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il bambino perduto di philomena lee
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Tratto da una storia vera, il regista Frears confenziona un piccolo gioiellino intriso di commedia e sentimento. La storia è quella di una donna anziana che a distanza di 50 anni rivela alla propria figlia l'esistenza di un altro bambino da lei avuto quando stava dalle suore in giovane età e che le stesse Suore glielo portarono via all'età di 4 anni. La difficile ricerca del bambino ormai divenuto uomo, troverà solide basi d'appoggio da un giornalista da poco licenziato dalla BBC, il suo nome è Martin Sixsmith; i due intraprenderanno un viaggio a Washington alla ricerca del bambino perduto. Storia commovente con una superba Judi Dench.
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elgatoloco
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martedì 1 marzo 2022
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veramente convincente
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"pHILOMENA"(sTEPHEN fREARS, DAL ROMANZO DI mARTIN sIXSMITH, SCREENPLAY DI Jeff Pope e Steve Coogan, 2013), IN Irlanda a una ragazza, rimasta incinta quando era giovanisisma e, stando in convento, come allieva, non solo viene punta, ma le viene sottratto il figlio; mezzo secolo dopo, tramite l'aiuto di un giornalista in crisi, capirà che le suore l'aevano venduto(come altri bambini, peraltro)a ricche famiglie americane. Vorrà sapere di più e, accompagnata dal giornalista che si occupa d'altro, ma nell'occasione passa a scrivere di questioni"personali", va negli USA e viene a sapere che il figlio era stato un importante consulente dei presidenti Reagan e Bush senior, che poi era morto di AIDS(era stato contagiato dal suo compagno di una vita), che.
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"pHILOMENA"(sTEPHEN fREARS, DAL ROMANZO DI mARTIN sIXSMITH, SCREENPLAY DI Jeff Pope e Steve Coogan, 2013), IN Irlanda a una ragazza, rimasta incinta quando era giovanisisma e, stando in convento, come allieva, non solo viene punta, ma le viene sottratto il figlio; mezzo secolo dopo, tramite l'aiuto di un giornalista in crisi, capirà che le suore l'aevano venduto(come altri bambini, peraltro)a ricche famiglie americane. Vorrà sapere di più e, accompagnata dal giornalista che si occupa d'altro, ma nell'occasione passa a scrivere di questioni"personali", va negli USA e viene a sapere che il figlio era stato un importante consulente dei presidenti Reagan e Bush senior, che poi era morto di AIDS(era stato contagiato dal suo compagno di una vita), che... e via di seguito. Grande film da leggere(interpretandolo, cioè)non solo come un atto d'accusa alle suore irlandesi e in genere cattoliche dell'epoca(lo strenuto, fanatico moralismo, il senso esagerato del peccato, la mentralità sempre e comunque orrendamente penitenziale)ma anche come storia(vera, peraltro)di un'esistenza che vuole ritrovare quella memoria dimenticata o meglio fatta obliare a forza, rimossa violenetmente. Non ì affatto vero come aveva scritto qualcuno che Steve Coogan sia freddo e"anaffettivo", nel suo ruolo, è che deve interprttare il ruolo di un giornalista in crisi anche professionale, oltre che esistenziale, dove tutto sembra angargli"srorto"... JUdi Dench è straordinaria nella parte della ptoragonista e ogni suo premio è arcimeritato. El Gato
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