American Hustle - L'apparenza inganna |
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Un film di David O. Russell.
Con Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jeremy Renner, Jennifer Lawrence.
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Titolo originale American Hustle.
Drammatico,
durata 138 min.
- USA 2013.
- Eagle Pictures
uscita mercoledì 1 gennaio 2014.
MYMONETRO
American Hustle - L'apparenza inganna
valutazione media:
3,56
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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American Hustledi catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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venerdì 3 gennaio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Per il film con cui confermare il suo buon momento creativo, David O. Russell raccoglie gli attori delle due precedenti pellicole e li immerge in una storia di imbrogli e contro-imbrogli (da cui il sottotitolo italiano ‘L’apparenza inganna’) ispirata a fatti realmente accaduti agli inizi degli anni Settanta. Il tutto riporta certo alla mente film come ‘La stangata’, ma lo svolgimento è personale e la mano assai felice così che non si avvertono le oltre due ore di durata malgrado la trama sia tutto meno che lineare. Irving (Bale) e Sydney (Adams) sono due imbroglioni dalla notevole intesa ‘lavorativa’ e sessuale – malgrado la panza e il riportone di lui, Bale è ingrassato di una ventina di chili per il ruolo – che però cercano di non fare il passo più lungo della gamba. Questo non basta ad evitar loro il venire incastrati dall’agente federale Richie DiMaso (Cooper) che, osteggiato dal proprio capo, pensa di sfruttarli per far carriera scoprendo i maneggi di alcuni politici locali implicati nella ricostruzione di Atlantic City. Due sono i fattori che mandano in crisi l’operazione, l’interessamento della mafia alla gestione delle case da gioco – nella persone dal killer Victor Tellegio, un Robert De Niro che, senza comparire nei titoli, fa un’autocitazione dei tempi di ‘Quei bravi ragazzi’ e ‘Casinò’ che è anche un omaggio a Scorsese – e Rosalyn (Lawrence), quasi ex moglie di Irving che è molto meno scricoccata di quanto il suo comportamento faccia pensare, ma è comunque una componente non controllabile. Per cavarsela, Irving e socia danno fondo al loro mestiere e in qualche modo riescono a girarsene fuori, mentre nella rete restano solo alcuni pesci piccoli e il sindaco Carmine Polito (Renner), uno che bene o male ha sempre agito per la comunità e, col passare del tempo, di Irving è diventato amico. Alla fine, sono i delinquenti di professione a risultare più ‘onesti’ – morale discutibile e non certo nuova, una delle poche perplessità che il film fa nascere - mentre Richie sparisce dalla scena, scaricato anche da chi pensava di sfruttarne gli eventuali successi. Contrappasso doloroso per un narciso come lui – memorabile la scena con i bigodini in testa per farsi i ricci – tanto remissivo in casa quanto aggressivo fuori in una ricerca di giustizia sbilanciata dall’ambizione. Nei suoi panni, Cooper offre un’ottima interpretazione, forse solo qua e là un po’ forzata, di un altro personaggio con molte più ombre che luci dopo Avery in ‘Come un tuono’: è però tutto il cast che funziona alla perfezione, regalando un insieme di interpretazioni di altissimo livello, tanto che appare davvero difficile citare uno e non l’altro. Va però sottolineato che – a fianco della bravura di Bale, Adams e Renner – si fa notare Lawrence che sembra un’altra rispetto a quella di ‘Hunger games’ e sa sfruttare con notevole efficacia il minor spazio concessole facendo di Rosalyn una figura fondamentale. Questa insistenza sugli attori è voluta dal regista che si è sempre detto molto più interessato ai personaggi che all’intreccio: i caratteri sono infatti disegnati a tutto tondo con psicologie definite anche con l’aiuto degli interpreti che sovente sono stati lasciati liberi di improvvisare sullo spartito di una sceneggiatura di Eric Singer (rivista da Russell) che risale a qualche anno fa. Altrettanta importanza è data alle dinamiche psicologiche fra le varie figure, con la cinepresa che le segue spesso da distanza ravvicinata alternandosi tra di loro per coglierne le differenti sfumature in special modo nei frequenti faccia a faccia: si tratti di scontri a muso duro o momenti di forte tensione sensuale, ogni situazione è svolta in modo da cercare di trasmettere allo spettatore il massimo delle sensazioni. Ne esce un film di gran ritmo che guarda con notevole cinismo, umorismo acido e una punta di amarezza alla società in cui tali personaggi hanno potuto svilupparsi. Al confronto, meno definito è il contesto: la fotografia di Linus Sandgren è bella, colorata come da momento storico e mai banale, ma gli anni Settanta restano sullo sfondo (con più di un anacronismo, vedi ‘I feel love’ nella versione dei Bronski Beat) e, a parte qualche elemento decorativo – i pesanti telefoni, le camicie aperte sul petto gli occhiali a goccia e, soprattutto, i vestiti vedono-non-vedo di Amy Irving – si ha l’impressione che la vicenda sarebbe potuta essere ambientata in qualsiasi altro periodo senza perdere nulla della sua efficacia. Efficacia che ha fatto incetta di candidature ai Golden Globe e minaccia di ripetersi agli Oscar.
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