A volerlo categorizzare per forza, Il Lato Positivo potrebbe essere definito come commedia romantica. Del resto si porta dietro molti degli stereotipi del genere, come una schiera di personaggi stravaganti ma fondamentalmente buoni (disturbatore sopra le righe compreso), la ricerca di uno spazio per un amore difficile e un finale scontatissimo.
Eppure, a ben vedere, il film non è solo questo. Intanto c'è la costruzione narrativa fondata su un ritmo da commedia pura, senza tempi morti o momenti in cui la trama tende ad arrotolarsi su se stessa. E poi ci sono i protagonisti.
Bradley Cooper interpreta Pat, uomo con un disturbo bipolare invalidante che lo costringe a imbottirsi di medicinali per mantenere il controllo. Cooper è un attore che ho sempre fatto fatica a inquadrare: brillante nelle commedie scassone, più in difficoltà con ruoli più complessi. Qui il personaggio gli calza addosso come un guanto, perché gli consente di sfogare il suo gusto per l'eccesso, mantenendo comunque intatta tutta la drammaticità. E nei momenti in cui Pat si sente smarrito, Bradley riesce sempre a restituire le difficoltà che la malattia mentale gli piazza davanti (anche grazie alla regia di Russell, che gli gira attorno con la telecamera, aumentando l'effetto disagio).
A dare il volto a Tiffany c'è Jennifer Lawrence, autentica diva in divenire, che vanta una presenza scenica stupefacente non dovuta unicamente alla sua indubbia grazia estetica. Basta vedere il duetto che affronta con un mostro sacro come De Niro, che forse non sarà più quello di una volta, ma rimane una figura imponente del panorama cinematografico. Eppure lei dimostra di saper stare con certe icone e di parlarne la stessa lingua.
I due, Lawrence e Cooper, si prendono fin dalla prima scena in cui sono insieme sullo schermo. L'alchimia che nasce nella coppia è palpabile (aiutata anche in questo caso dalle scelte del regista in fase di montaggio). I due devono affrontare drammi e tragedie pregresse, oltre a una differenza d'età che sembra renderli incompatibili. Eppure il loro orbitarsi intorno è fondato su qualcosa che va oltre il semplice amore. I due si capiscono e si aiutano, anche se non sempre se ne accorgono. E questo riesce a costruire attorno alla coppia una nuvola di empatia. Ci si trova a fare il tifo perché la storia vada verso il lieto fine (e non è una cosa così scontata), perché i problemi che li affliggono vengono messi sullo schermo nel modo migliore. Si ride e anche di gusto. Ma ciò non toglie che si riesca a percepire la difficoltà , in modo particolare quella di Pat, e la drammaticità che una persona in preda a certi disturbi debba affrontare.
E così, per una volta, ben venga l'happy ending obbligato e ampiamente annunciato dallo stesso Pat dopo aver letto Hemingway. Perché, a differenza delle commedie romantiche buttate li, questo è un lavoro che resta e lascia un buon sapore.
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