silvana campanozzi
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sabato 3 settembre 2016
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sono silvana
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Sono Silvana e faccio i miei complimenti al regista, sceneggiatore, attori e all'autore del libro dal quale è tratto il film. Confermo la ruggine che si forma e macchia per sempre chi subisce dei traumi. Io sono stata continuamente molestata dal professore alla prima superiore. Dirlo ai grandi e difficile come pure ai professori. Grazie
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stefano capasso
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martedì 7 aprile 2015
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dal dolore all'attenzione sensibile
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Ruggine è il titolo di questo film di Daniele Gaglianone, titolo che rappresenta simbolicamente la difficolta di muoversi liberamente dei tre protagonisti nelle loro vite. Carmine, Sandro e Cinzia ormai adulti e ognuno con la propria vita, sono rimasti impigliati nel ricordo di una tragedia vissuta insieme da bambini, quando frequentavano lo stesso gruppo di giochi. Erano gli anni ‘70 in una periferia di una cittadina della Sicilia, e il gruppo, che aveva formato una banda sullo stile degli adulti, venne preso mira dal nuovo medico locale, una personalità ambigua attratta dai bambini. L’esperienza traumatica, dalla quale uscirono con le loro forze, continua ad essere presente in ogni momento della loro vita, indirizzandola continuamente.
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Ruggine è il titolo di questo film di Daniele Gaglianone, titolo che rappresenta simbolicamente la difficolta di muoversi liberamente dei tre protagonisti nelle loro vite. Carmine, Sandro e Cinzia ormai adulti e ognuno con la propria vita, sono rimasti impigliati nel ricordo di una tragedia vissuta insieme da bambini, quando frequentavano lo stesso gruppo di giochi. Erano gli anni ‘70 in una periferia di una cittadina della Sicilia, e il gruppo, che aveva formato una banda sullo stile degli adulti, venne preso mira dal nuovo medico locale, una personalità ambigua attratta dai bambini. L’esperienza traumatica, dalla quale uscirono con le loro forze, continua ad essere presente in ogni momento della loro vita, indirizzandola continuamente. Il film si svolge con uno stile visivo denso ed una sceneggiatura disposta su 4 piani diversi; la colonna sonora è presente in quasi tutte le scene e tutto questo fornisce un carattere espressivo molto forte al film. Il tempo narrativo presente, breve, racchiude un lungo tempo di ricordi dolorosi. I tre protagonisti hanno difficolta a relazionarsi serenamente col mondo che li circonda, e allo stesso tempo sono anche in grado di cogliere quelle sfumature, per averle conosciute, che altri non sono in grado di cogliere. Come accade spesso, la sensibilità, l’attenzione specifica si sviluppano intorno ad una ferita lacerante.
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rita branca
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lunedì 30 settembre 2013
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chi può difenderli dall’orco?
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Ruggine, film (2011) di Daniele Gaglianone con Filippo Timi, Stefano Accorsi, Valerio Mastrandrea, Valeria Solarino, Giampaolo Stella, Giulia Coccellato,Giuseppe Furlo’
Film altamente drammatico per il contenuto ispirato all’omonimo romanzo di Stefano Massaron.
Il titolo potrebbe far riferimento sia alla patina che si forma sulle lamiere di una discarica di ferro in cui un gruppo di bambini, figli di immigrati, trascorre molte ore di svago, vivendo esperienze che li fanno crescere senza la presenza di occhi vigili, sia e soprattutto all’incrostazione lasciata nell’anima da qualcuna di quelle esperienze più forti e che neanche in età adulta alcun solvente è in grado di riportare allo strato originale, non intaccato dalle intemperie devastanti della vita.
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Ruggine, film (2011) di Daniele Gaglianone con Filippo Timi, Stefano Accorsi, Valerio Mastrandrea, Valeria Solarino, Giampaolo Stella, Giulia Coccellato,Giuseppe Furlo’
Film altamente drammatico per il contenuto ispirato all’omonimo romanzo di Stefano Massaron.
Il titolo potrebbe far riferimento sia alla patina che si forma sulle lamiere di una discarica di ferro in cui un gruppo di bambini, figli di immigrati, trascorre molte ore di svago, vivendo esperienze che li fanno crescere senza la presenza di occhi vigili, sia e soprattutto all’incrostazione lasciata nell’anima da qualcuna di quelle esperienze più forti e che neanche in età adulta alcun solvente è in grado di riportare allo strato originale, non intaccato dalle intemperie devastanti della vita.
Ne sono irrimediabilmente contaminati tre personaggi, interpretati nella fase adulta dai bravissimi Stefano Accorsi, Valerio Mastrandrea e Valeria Solarino, che si riconoscono nel corso di flash back e flash forward senza riuscire a liberarsi di ricordi che marchiano irrimediabilmente la memoria, condizionando il resto della vita.
Ruggineè un film che affronta il problema dei pericoli che moltissimi bambini affrontano da soli, mentre, lasciati a sé stessi, sono lontani dagli adulti tormentati dalle attività quotidiane a cui tentano di sopravvivere. Sono tutte vittime colpite dalla turpe malattia di pedofili, in questo caso anche assassini che, travestiti da rispettabili esseri umani, agiscono mietendo tragedie.
La tensione e l’orrore massimo travolge lo spettatore quando l’orco in azione, interpretato efficacemente dal sempre bravissimo Filippo Timi, sottolinea l’insopportabile crimine appena consumato, cantando con voce rauca la nota aria dell’Elisir d’amore.
Il regista inserisce anche un certo numero di sequenze senza immagini, quasi a sottolineare la necessità di prendere un attimo di respiro da vicende troppo grevi per il cuore e per le quali si può rischiarne l’arresto, come succede in un tragico gioco del film.
Rita Branca
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chiaretta94
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mercoledì 2 maggio 2012
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complimenti
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franko1991
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venerdì 13 aprile 2012
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la ruggine e' la piu' profonda delle cicatrici...
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Nel profondo di un oceano cinematografico quanto mai popolato da remake ad alto valore commerciale e blockbusters ciclopici,si nasconde una reliquia tanto celata quanto preziosa. Il nostrano Gaglianone mette in luce con tenacia e quel tantum di crudelta’ giustificato in relazione al tema trattato , le pene dei giovani protagonisti, figli della generazione emigrante in massa verso il settentrione in quell’inoltrato dopoguerra in cui si era gia’ divenuti coscienti che il termine rinascita poteva essere utilizzato a ragione solo in una fetta del Belpaese.Il regista mette in evidenza anche la genesi di comportamenti ossessivi e deviazioni mentali spesso sfocianti in violenza, di individui che non sono fantascientifici,ma che Gaglianone ha dipinto, come un moderno Verga,su personaggi reali, con le quali maschere ci troviamo di fronte tutti i giorni,al supermercato o in piazza.
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Nel profondo di un oceano cinematografico quanto mai popolato da remake ad alto valore commerciale e blockbusters ciclopici,si nasconde una reliquia tanto celata quanto preziosa. Il nostrano Gaglianone mette in luce con tenacia e quel tantum di crudelta’ giustificato in relazione al tema trattato , le pene dei giovani protagonisti, figli della generazione emigrante in massa verso il settentrione in quell’inoltrato dopoguerra in cui si era gia’ divenuti coscienti che il termine rinascita poteva essere utilizzato a ragione solo in una fetta del Belpaese.Il regista mette in evidenza anche la genesi di comportamenti ossessivi e deviazioni mentali spesso sfocianti in violenza, di individui che non sono fantascientifici,ma che Gaglianone ha dipinto, come un moderno Verga,su personaggi reali, con le quali maschere ci troviamo di fronte tutti i giorni,al supermercato o in piazza.E’ un film di denuncia,bisogna risolvere i problemi di oggi per le generazioni del futuro,perche' la vita puo’ darti la chance di celare la ruggine,ma,come la piu’profonda delle cicatrici,essa non potra’ mai essere cancellata.
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franko1991
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venerdì 13 aprile 2012
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la ruggine e' la piu' profonda delle cicatrici...
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Nel profondo di un oceano cinematografico popolato quanto mai da remake ad alto valore commerciale e blockbusters altisonanti,si nasconde una reliquia tanto celata quanto preziosa.Il nostrano Gaglianone mette in luce con tenacia e la giusta crudelta' in relazione al tema trattato,le sofferenze dei ragazzi figli della generazione migrante in massa verso il settentrione, in virtu' di un gap a cui tutt'ora il Belpaese non riesce a porre rimedio, mettendo in evidenza,ma senza infilare troppo il coltello nella piaga,anche la genesi di alcuni comportamenti ossessivi e violenti di individui,anche loro,che non sono fantascientifici,ma come un moderno Verga,il regista dipinge portando su schermo persone che tutti i giorni potremmo incontrare in piazza o nei supermercati.
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Nel profondo di un oceano cinematografico popolato quanto mai da remake ad alto valore commerciale e blockbusters altisonanti,si nasconde una reliquia tanto celata quanto preziosa.Il nostrano Gaglianone mette in luce con tenacia e la giusta crudelta' in relazione al tema trattato,le sofferenze dei ragazzi figli della generazione migrante in massa verso il settentrione, in virtu' di un gap a cui tutt'ora il Belpaese non riesce a porre rimedio, mettendo in evidenza,ma senza infilare troppo il coltello nella piaga,anche la genesi di alcuni comportamenti ossessivi e violenti di individui,anche loro,che non sono fantascientifici,ma come un moderno Verga,il regista dipinge portando su schermo persone che tutti i giorni potremmo incontrare in piazza o nei supermercati.La ruggine, frutto della sofferenza, puo'essere celata,ma non cancellata,concluderebbe Gaglianone.
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el_dado
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giovedì 1 marzo 2012
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ferro dilaniato
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Ruggine è un film. Un racconto; una denuncia; una favola nera in cui i protagonisti sono puri per antonomasia. Talmente innocenti da non poterli nemmeno definire eroi. Vittime ribelli, bambini soldati in un deserto di polvere rossa ferrosa, trincee di detriti per giocare e fuggire. Il deserto di case popolari e depositi di rifiuti dell'hinterland milanese degli anni 70, tuttora intatto. E poi il nemico: uno, ma forte quanto cento, impersonato da un Filippo Timi mirabile, intellettualmente (nel senso lato del termine)ed emotivamente disabile, con la sua miscela di perversi amplessi canori e successive docce immaginarie all'interno della sua auto. Ma soprattutto venerato dagli stessi che dovrebbero proteggere i loro figli, ma che accecati dalla visione distorta che la società impone rifiutano di riconoscere il Mostro che uccide sotto i loro occhi.
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Ruggine è un film. Un racconto; una denuncia; una favola nera in cui i protagonisti sono puri per antonomasia. Talmente innocenti da non poterli nemmeno definire eroi. Vittime ribelli, bambini soldati in un deserto di polvere rossa ferrosa, trincee di detriti per giocare e fuggire. Il deserto di case popolari e depositi di rifiuti dell'hinterland milanese degli anni 70, tuttora intatto. E poi il nemico: uno, ma forte quanto cento, impersonato da un Filippo Timi mirabile, intellettualmente (nel senso lato del termine)ed emotivamente disabile, con la sua miscela di perversi amplessi canori e successive docce immaginarie all'interno della sua auto. Ma soprattutto venerato dagli stessi che dovrebbero proteggere i loro figli, ma che accecati dalla visione distorta che la società impone rifiutano di riconoscere il Mostro che uccide sotto i loro occhi. Il capro espiatorio verrà come al solito designato in un emarginato locale. Ed essendo le case popolari a costruire e a dare vita alla grande città, ecco che l'ipocrisia dilaga e si espande nella metropoli e nel futuro in cui, in una fotografia blu tagliata dall'ombra in contrasto con quella rossa e profonda del passato, un paterno Stefano Accorsi, una timida e agguerrita Valeria Solarino, e uno shoccato Valerio Mastrandrea fanno i conti con fantasmi che riemergono definitivamente. La guerra si espande in "un campo lungo cinematografico" come urla nel pezzo finale Vasco brondi, in arte Le luci della centrale elettrica, autore della tagliente e brillante colonna sonora. Dilaniante come il ferro.
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ricciol one
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domenica 26 febbraio 2012
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un castello di ruggine e angosce
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il film è ottimo,ti tiene incollato alla sedia con trepidazione fino alla fine.Buona la fotografia,che esprime nei primi piani le angosce vissute dai protagonisti e nelle dissolvenze la schizzofrenia del dottor Boldrini.
L'interpretazione dei bamini è veramente stupenda,ti fa sorridere e sentire bene quando giocano,la loro felicità,l'allegria e ti mette paura ,sconforto quando ci sono problemi più grandi di loro.
Il tema del film non è solo sulla pedofilia,ma quanto un fatto può condizionare e sconvolgere la vita di un bambino.Infatti vediamo come da adulti i protagonisti abbiano ancora dentro le angosce,
le paure dei fatti che hanno condizionato la loro vita.
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il film è ottimo,ti tiene incollato alla sedia con trepidazione fino alla fine.Buona la fotografia,che esprime nei primi piani le angosce vissute dai protagonisti e nelle dissolvenze la schizzofrenia del dottor Boldrini.
L'interpretazione dei bamini è veramente stupenda,ti fa sorridere e sentire bene quando giocano,la loro felicità,l'allegria e ti mette paura ,sconforto quando ci sono problemi più grandi di loro.
Il tema del film non è solo sulla pedofilia,ma quanto un fatto può condizionare e sconvolgere la vita di un bambino.Infatti vediamo come da adulti i protagonisti abbiano ancora dentro le angosce,
le paure dei fatti che hanno condizionato la loro vita. Filippo Timi ottimo nel ruolo del cattivo dottor Boldrini,Accorsi, Mastrandrea e Valeria Solarino danno al loro personaggio un'interpretazione a volte di maniera,ma nel complesso
senz'altro positiva.
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vadovedovidico
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domenica 12 febbraio 2012
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se uno recita male anche un colpo di tosse..
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Premetto che le mie aspettative era piuttosto basse fin da quando ho visto che
dei 4 attori protagonisti 2 erano Accorsi e Mastrandrea.
Accorsi si è ormai capito che non supererà mai la sua migliore interpretazione
sulla quale vive ancora di rendita: la pubblicità del Maxibon, anche se devo ammettere
che ci è andato vicino con il film "Un altro Maxibon", poi uscito con il titolo di "Santa Maradona".
Nel film ha questi colpetti di tosse, sia da piccolo che da adulto, di cui non si scopirà mai la causa
ma che è funzionale a fare una scena dal dottore. La salute di un personaggio compromessa per un arteficio
narrativo.
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Premetto che le mie aspettative era piuttosto basse fin da quando ho visto che
dei 4 attori protagonisti 2 erano Accorsi e Mastrandrea.
Accorsi si è ormai capito che non supererà mai la sua migliore interpretazione
sulla quale vive ancora di rendita: la pubblicità del Maxibon, anche se devo ammettere
che ci è andato vicino con il film "Un altro Maxibon", poi uscito con il titolo di "Santa Maradona".
Nel film ha questi colpetti di tosse, sia da piccolo che da adulto, di cui non si scopirà mai la causa
ma che è funzionale a fare una scena dal dottore. La salute di un personaggio compromessa per un arteficio
narrativo. Accorsi piccolo tossisce in modo natutale, Accorsi grande fa "coff coff" sputando le briciole del biscotto
del Maxibon.
Mastrandrea è anche simpatco, ma in ogni sua apparizione c'è Costanzo vicino in semitrasparenza che incita "usa la foorzaa" come
Obi One. DI fatto in ogni suo film fa Mastrandrea che si chiama in un altro modo.
E allora che ci sei andato a fare? Direte. Boh, mi sa che nell'altra sala c'erano i Puffi.
Ma veniamo al film: trattasi del solito film sull'elaborazione in età adulta della violenza vissuta in età infantile, come in The Sleepers
o in The Tree of Life, ma senza tutta quella regia.
La cosa peggiore è che dal trailer sai già tutto e il film ne è l'espansione esasperata. E' come se ti guardi il trailer ma sei un neutrino.
Le dissolvenze in nero che "danno il tempo allo spettatore di riflettere" (Come da scheda) sono in effetti gli stacchi del trailer a velocità ridottissima.
Il regista non riesce a far recitare i bambini protagonisti (il che di solito significa girare petavolte la stessa scena fino a che non si riesce a ricombinare
una cosa passabile al montaggio), che, fa par loro, la maggior parte del tempo decantano le battute in posa plastica.
La chiave per far funzionare un film così è riuscire a calare lo spettatore nei panni del bambino, ma qui non c'è nemmeno il tentativo. Le vite dei bambini
esistono praticamente solo quando si muovono in gruppo, senza un minimo tentativo di introspezione, a meno che non vogliamo contare il padre di Accorsi-piccolo
che in due scene ripete solo che non deve andare la' e "come cresci", che poi Accorsi grande ripeterà al proprio figlio. Speriamo non produca un altro Accorsi.
Se non mi sono spiegato guardatevi, uno a caso, "Io non ho paura" e poi riprendete da QUI.
QUI: quindi questi bambini che non vengono fati recitare in pratica cazzeggiano tutto il film aspettando gli ultimi 10 minuti dove c'è la risoluzione, mentre
i futuri adulti fanno lo stesso. Accorsi gioca con il figlio, Mastrandrea rompe le palle in un bar e la Solarino... beh qui c'è un'autentica piaga, quelle cose che vedi che sono
fatte per finta perchè vogliono che anche tu, spettatore troglodita, capisca la sfumatura. La Solarino è un'insegnante che partecipa ad un consiglio di classe dove
si parla di una ragazza che:
a) non si veste alla moda
b) non si trucca
c) è più sviluppata dei suoi tredici anni
d) non si vuole mettere in costume in piscina
e) dice le bugie perchè in un tema ha scritto che il suo patrigno la molesta
Ma il preside e il professore di scienze, nel menzionarla con la bavetta alla bocca, non pensano che a+b+c+d+e siano fatti loro e non vogliono ammettere agli esami di 3°.
Capito? Eh? Ma che ne sanno loro maschi sciovinisti.
In tutto questo Timi fa il suo perchè è più che bravo, ma con le battute che ha non può salvare tutto. Il mio consiglio è di guardarlo con l'avanzamento a 8x
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osteriacinematografo
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venerdì 10 febbraio 2012
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la ruggine come memoria
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Nella prima scena di “Ruggine” il pulviscolo illuminato a giorno penetra e dilata uno spazio buio e angusto, volteggiando candidamente attorno a due bambini che tentano un ingenuo, reciproco approccio. Il campo visivo si allarga e ci trasporta negli anni 70 della periferia torinese.
Un gruppo di ragazzini passa le giornate nei dintorni dei palazzoni in cui vivono. E’ un’infanzia selvaggia ma felice, perché i piccoli hanno grande libertà e la forza di una società in miniatura.
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Nella prima scena di “Ruggine” il pulviscolo illuminato a giorno penetra e dilata uno spazio buio e angusto, volteggiando candidamente attorno a due bambini che tentano un ingenuo, reciproco approccio. Il campo visivo si allarga e ci trasporta negli anni 70 della periferia torinese.
Un gruppo di ragazzini passa le giornate nei dintorni dei palazzoni in cui vivono. E’ un’infanzia selvaggia ma felice, perché i piccoli hanno grande libertà e la forza di una società in miniatura. Le loro giornate e le riprese si alternano fra i campi sconfinati e un ammasso di lamiere che costituisce la loro base segreta. Il loro mondo, soprattutto qui, si sviluppa autonomamente da quello degli adulti, e i ragazzini, capitanati da Carmine, sviluppano le loro dinamiche, i modi di stare insieme e difendere la roccaforte, quel tipo di luogo in cui ogni bambino nasconde una parte di sé, in modo sacro, ritualizzato. E’ un luogo simbolico e affascinante, e una fotografia in chiaro scuro ci mostra un vero e proprio castello, un piccolo regno abbarbicato su se stesso, un luogo dove gli adulti non entrano mai, o quasi.
Questo idillio viene guastato dalla comparsa del nuovo medico condotto, il Dr. Boldrini (un ottimo Filippo Timi), un professionista che si rivela in breve il lupo cattivo, il mostro, il maniaco che prima seduce e poi uccide due bimbe innocenti. Il gruppo di bambini, in forza di una sensibilità pura e incontaminata, capta le reali sembianze del dottore, ma la scoperta rimane all’interno della banda in miniatura, per via di un certo tipo di comunicazione infantile che fatica ad emergere e teme di trasferirsi nella dimensione adulta,tanto incredula e distante da apparire irraggiungibile.
Gaglianone propone un’altalena fra passato e presente, per quanto poi quel passato è così pregnante ed insito nel presente da smarrire la propria connotazione temporale originaria. Gli avvenimenti di ieri e di oggi si mescolano nelle vicende di Sandro, Carmine e Cinzia, tre di quei bambini –ormai quarantenni- che affrontano con fatica e dolore la vita nel ricordo amaro e pulsante di un passato che non se ne va, perché ha reciso alla radice l’innocenza dei di allora, immacolati nell’isola che non c’è dell’età infantile.
La ruggine del metallo di due vecchi silos funge da nido e riparo per i ragazzini, la stessa ruggine che si rivelerà fonte d’insidie e paura nella scena madre del film, e che poi si depositerà in forma maligna nei ricordi e nelle coscienze di adulti spezzati.
Il film di Gaglianone è ben strutturato: l'ambientazione e la contrapposizione fra il mondo adulto e quello infantile ricordano in parte le atmosfere di "Io non ho paura" di Salvatores; la narrazione è cupa e oscillante, l’attenzione per le manie e i particolari del mostro minuziosa, e la frammentazione con cui il regista sviluppa il passato, i blackout che frappone alle immagini rendono appieno l’idea dei ricordi d’infanzia, che spesso si riducono a flashback nitidi ma estemporanei, e non posseggono mai linearità e compiutezza; forse si eccede nella caratterizzazione del personaggio del Lupo Cattivo, che a tratti perde un pizzico di credibilità, ma senza intaccare la grande prova di Timi e la qualità dell’opera.
“La porta è stata spalancata, e non c’è più modo di richiuderla” – scrive Stefano Massaron nel libro omonimo da cui è tratto il film.
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