Anno | 2011 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 61 minuti |
Regia di | Monica Maggioni |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 2 settembre 2011
È la storia di chi fugge dall'Iran perché lì, per loro, era ormai impossibile vivere una vita normale.
CONSIGLIATO SÌ
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Abbas, Ebrahim, Hossein e Narges sono quattro esuli iraniani che vivono in Italia, Francia e Germania. Prima di finire nelle maglie del regime erano rispettivamente un professore universitario, un blogger, un operatore TV con ambizioni cinematografiche e una documentarista. Hanno dovuto lasciare il loro Paese perché torturati, imprigionati, violentati mentalmente e fisicamente. Ora trascorrono una vita a metà tra il rimpianto della loro terra e della propria famiglia e la volontà di denunciare ciò che hanno patito.
Dopo il pregevole Ward 54, documentario sul disturbo da stress post-traumatico sofferto dai marine sopravvissuti all'Iraq, la giornalista Monica Maggioni mette a frutto la sua competenza di reporter di guerra per fotografare - da un'insolita angolazione che da lontano arriva più vicino - la situazione iraniana. Sceglie di farlo attraverso una macrostruttura in cui diverse pratiche tenute su una scrivania, una volta aperte, rivelano la vita e le sofferenze di Abbas, Ebrahim e Hossein, cui fa da ulteriore cornice l'immagine e la voce di Narges, figlia di uno stretto collaboratore di Ahmadinejad, impossibilitata a tornare a casa dopo aver parlato di diritti umani in Germania; appartiene a lei una delle frasi chiave: "Ormai in Iran la realtà è che questo regime, il regime della Repubblica Islamica, chiede alla gente di non pensare. Chi pensa è in pericolo".
Prodotto da Mediakite in collaborazione con Rai Cinema, Out of Theran (four stories) riesce, mediante i diversi racconti, a dare un quadro generale dell'inconcepibile situazione in cui versa un popolo intero. L'intuizione più felice della Maggioni sta nell'aver cercato il baricentro del progetto non tanto nel fornire un gran numero di informazioni e notazioni storico - politiche quanto nell'aver saputo scavare dall'interno il sentimento di perdita dei suoi protagonisti. Dalle testimonianze dell'umanità violata messa in scena emerge, infatti, la condizione drammatica di ogni esule: l'amore per le proprie radici e la ricerca di un ricongiungimento che sa impossibile. Sebbene non piacerà ai puristi della forma documentaria, a causa di alcune sequenze troppo a fuoco, si tratta di un buon lavoro di giornalismo televisivo. Alla fine, tornato a planare sulle cartelle non esaminate delle molte altre vittime della dittatura, lo sguardo della macchina da presa chiude su quella del cineasta Jafar Panahi, condannato a sei anni di reclusione nel dicembre del 2010 per aver partecipato ai movimenti di protesta contro il governo. Scritto dalla regista, Gian Micalessin e Dario Curatolo, che cura inoltre la fotografia.