maxforcato
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mercoledì 11 gennaio 2012
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di caprio da oscar, clint "cinico"-classico.
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regia al solito classica di Eastwood (rimpiange molto il bianco e nero) che si presta molto ad un soggetto inusuale per il canone dell'elegant man of politic americano solo per il bacio "al sangue" tra i due protagonisti.
magistrali attori: LEO DI CAPRIO assoltamente da oscar ( se non altro a compensare l'ingiustizia di the Aviator, inception, buon compleanno mr. grape).
a mio parere le migliori scene sono tra hoover e la madre, dove si intravede con classe una madre autoritaria e un figlio insicuro che ha ancora bisogno di coccole (commovente la sequenza post mortem Judy Dench di Leo che si infila il vestito della madre allo specchio).
assolutamente da vedere, perchè riesce a raccontare un pezzo importante dell'america che fu senza mai scadere nell' american dream.
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regia al solito classica di Eastwood (rimpiange molto il bianco e nero) che si presta molto ad un soggetto inusuale per il canone dell'elegant man of politic americano solo per il bacio "al sangue" tra i due protagonisti.
magistrali attori: LEO DI CAPRIO assoltamente da oscar ( se non altro a compensare l'ingiustizia di the Aviator, inception, buon compleanno mr. grape).
a mio parere le migliori scene sono tra hoover e la madre, dove si intravede con classe una madre autoritaria e un figlio insicuro che ha ancora bisogno di coccole (commovente la sequenza post mortem Judy Dench di Leo che si infila il vestito della madre allo specchio).
assolutamente da vedere, perchè riesce a raccontare un pezzo importante dell'america che fu senza mai scadere nell' american dream. (sobrio nelle interpretazioni di personaggi famisi dell'epoca come Shirley Tample e mr. Lindbergh).
infine il buon vecchio volpone di Clint ci insegna che la storia si ripete (sequenze ripetute di Hoover in attesa di entrare in riunione con nuovo presidente), che il potere sta nella corruzione e nella gestione delle informazione (dialogo intercettazioni J.Edgar vs Bob Kennedy circa un rapporto sessuale di JFK), e che la gente se ne frega (Bronx) (reazione Nixon a morte J.edgar).
infine il quadro descritto è di un animale politico acciecsato dal senso di giustizia e dal protagonismo "mediatico", ma pur sempre con una classe mai fuori dalle righe (chiamata cinica strappa lacrime a Bob Kennedy circa l'avviso dell'assassinio di JFK, anche se, volendo interpretare in modo malizioso, si intuisce il marcare di J.Edgar circa il preavviso di pericolo ignorato dal senatore Kennedy sul pericolo COMUNISTA).
un grande film, un capolavoro (se non fosse per la visione super partes quasi disumana, senza emozioni di Clint Eastwood).
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beatrice
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martedì 10 gennaio 2012
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ossessione e angoscia
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Impegnativo e soprattutto molto lento.
Bisogna essere preparati psicologicamente per andarlo a vedere, se volete trascorrere semplicemente una serata tranquilla al cinema non è sicuramente il film che fa per voi.
Ottima l'interpretazione di Leonardo Di Caprio nonostante la sua bruttissima maschera da anziano!
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giuliacanova
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martedì 10 gennaio 2012
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peccato che non coinvolga
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Questo ultimo film di Clint Eastwood è sicuramente eccellente come fattura, come recitazione, come restituzione della figura controversa del protagonista e degli eventi che narra. Eppure non appassiona. Io credo perchè parla di qualcosa che appartiene troppo all'America e agli americani. Per uno spettatore lontano da quel contesto storico-geografico sembra che il film non decolli mai e si aspetta continuamente che accada qualcosa che si possa riconoscere per entrare dentro la storia. E infatti un momento in cui si esce dall'involontario (e irrispettoso!) stand by è quando compare la vicenda Lindbergh, un sequestro che per il suo drammatico epilogo e per la notorietà del trasvolatore ha oltrepassato all'epoca i confini americani rimanendo nella memoria collettiva del mondo occidentale.
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Questo ultimo film di Clint Eastwood è sicuramente eccellente come fattura, come recitazione, come restituzione della figura controversa del protagonista e degli eventi che narra. Eppure non appassiona. Io credo perchè parla di qualcosa che appartiene troppo all'America e agli americani. Per uno spettatore lontano da quel contesto storico-geografico sembra che il film non decolli mai e si aspetta continuamente che accada qualcosa che si possa riconoscere per entrare dentro la storia. E infatti un momento in cui si esce dall'involontario (e irrispettoso!) stand by è quando compare la vicenda Lindbergh, un sequestro che per il suo drammatico epilogo e per la notorietà del trasvolatore ha oltrepassato all'epoca i confini americani rimanendo nella memoria collettiva del mondo occidentale. Su tutti gli attori primeggia Di Caprio, bravissimo, ma non ho capito se il trucco senile suo e del co-protagonista siano palesemente maschere per scelta registica o qualcosa non ha funzionato del tutto. Se devo essere sincera lo considero, pur se un film di tutto rispetto, un Eastwood minore almeno come capacità di coinvolgere nelle sue storie, cosa che di solito sa fare molto bene. E con tutti i limiti tuttavia 4 stelle sono innegabili per un film così lontano da talune mediocri prove registiche che spesso ci capita di vedere nelle sale.
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(di hollyver07)
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andrea1967
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martedì 10 gennaio 2012
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amato dal pubblico, sdoganato dalla critica
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Amato dal pubblico, sdoganato dalla critica, ormai Eastwood, non c’è dubbio, lavora per sé.
Anno dopo anno egli affresca la sua personale cosmogonia, con profondità ed onestà straordinarie.
Raccontando come sempre storie di uomini, con J. Edgar egli getta un ponte tra le origini dell’America, descritte nella violenza pionieristica de “gli spietati” e nella nascita della menzogna di stato di “changeling” e l’era attuale, fatta di corruzione istituzionalizzata (nel centro del mirino), di manipolazione dell’informazione (potere assoluto) e di sopravalutata tecnologia (space cowboys). Non a caso l’ultimo fatto storico accennato è la nascita della CIA, che porterà a sistema tutti gli aspetti deteriori ma ancora artigianali dell’attività di Hoover.
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Amato dal pubblico, sdoganato dalla critica, ormai Eastwood, non c’è dubbio, lavora per sé.
Anno dopo anno egli affresca la sua personale cosmogonia, con profondità ed onestà straordinarie.
Raccontando come sempre storie di uomini, con J. Edgar egli getta un ponte tra le origini dell’America, descritte nella violenza pionieristica de “gli spietati” e nella nascita della menzogna di stato di “changeling” e l’era attuale, fatta di corruzione istituzionalizzata (nel centro del mirino), di manipolazione dell’informazione (potere assoluto) e di sopravalutata tecnologia (space cowboys). Non a caso l’ultimo fatto storico accennato è la nascita della CIA, che porterà a sistema tutti gli aspetti deteriori ma ancora artigianali dell’attività di Hoover. J. Edgar è l’uomo della transizione, determina in solitaria la nascita della criminologia scientifica. E' un uomo “del fare”, competente ma non particolarmente intelligente, informato ma non illuminato, gigantesco nella società ma minuscolo nel suo cuore.
Eastwood, si sa, non ama la critica esplicita di un Altman o di un Moore, ma non rinuncia mai a denunciare il conformismo e la mediocrità di uomini e istituzioni, con il carico di violenza, disperazione ed ingiustizia che essi portano con sé.
Una disperazione che si intrufola ovunque e che non risparmia nulla. Intorno a quell’uomo grigio tutto avvizzisce; Ogni individualità viene stroncata, dall’abilità dei singoli agenti, alla non conformità di un paio di baffi. Anche quella formidabile opportunità che è la bellezza (Naomi Watts, Armie Hammer ) muore senza mai essersi potuta esprimere. In questo contesto poco importante è la sessualità del protagonista, perché comunque egli non sa amare.
Fuori dal terrazzo di Edgar passano come su una pellicola la storia e i suoi leader transitori. E forse quel terrazzo, come l’angolo di Brooklin fotografato quotidianamente da Harvey Keitel in “smoke” è l’unico protagonista con un punto di vista oggettivo sul mondo. Lo stesso Hoover si illude di farne parte, ma sarà smentito dai fatti, quando , come scrive de Andrè: “morì come tutti si muore, come tutti cambiando colore”
Nonostante un Di Caprio eccezionale, difficilmente questo lungo e non scorrevole documentario (i continui flashback impongono attenzione, ma non appassionano) catturerà il cuore del pubblico italiano, abituato a ben più forti storie di corruzione umana e sociale. Eppure alcuni suoi tratti, l’illusione dell’uomo forte, le mitologie create dai media, lo psicotico di potere che “crede alle balle che racconta” non ci sono affatto estranei.
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[+] "...nascita della cia..." lapsus?
(di hollyver07)
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pepito1948
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martedì 10 gennaio 2012
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le ossessioni di un machavelli americano
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Dopo Howard Hughs in The Aviator di Scorsese, DiCaprio viene chiamato da Clint Eastwood a dare vita ad un altro rappresentante di spicco del potere di seconda linea negli USA del 20° secolo, di quelli che seppero accumulare peso, carisma, notorietà e intraprendenza nel costituire imperi (imprenditoriali o politico-amministrativi), rivelando nel contempo anomalie della personalità, fino a giungere, nel caso di Hughs, alle soglie della follia. Edgar Hoover, il demiurgo dell'FBI e di innovativi (e vincenti) metodi di indagine, creò un sistema nel sistema, partendo da un piccolo ufficio con pochi agenti ad un mastodonte che dispone di migliaia di uomini dislocati ed infiltrati dappertutto, da lui diretto per 48 anni, finchè Nixon, dopo la sua morte, fissò la durata del mandato a 10 anni.
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Dopo Howard Hughs in The Aviator di Scorsese, DiCaprio viene chiamato da Clint Eastwood a dare vita ad un altro rappresentante di spicco del potere di seconda linea negli USA del 20° secolo, di quelli che seppero accumulare peso, carisma, notorietà e intraprendenza nel costituire imperi (imprenditoriali o politico-amministrativi), rivelando nel contempo anomalie della personalità, fino a giungere, nel caso di Hughs, alle soglie della follia. Edgar Hoover, il demiurgo dell'FBI e di innovativi (e vincenti) metodi di indagine, creò un sistema nel sistema, partendo da un piccolo ufficio con pochi agenti ad un mastodonte che dispone di migliaia di uomini dislocati ed infiltrati dappertutto, da lui diretto per 48 anni, finchè Nixon, dopo la sua morte, fissò la durata del mandato a 10 anni. Hoover si dedicò a combattere quelli che riteneva i nemici interni degli USA mettendo nel calderone di tutto, dai comunisti ai radicali, dal KKK alle Pantere Nere ed ai pacifisti di Martin. L.King, spinto da un'ossessione quasi paranoica per la difesa della sicurezza nazionale e da una cieca fede nelle proprie idee, che tuttavia non sfociarono mai in tentativi di scalata al potere primario. E se 8 Presidenti si avvalsero della sua opera per quasi mezzo secolo la sua capacità di gestione in un campo così delicato fu ampiamente riconosciuta ed apprezzata (o temuta). Eastwood ci descrive il personaggio mettendone in risalto le luci e le ombre che ne fecero un esempio di contraddittorietà: succube di una madre autoritaria, fu egli stesso rigido ed inflessibile con i suoi agenti, lontano da relazioni sentimentali o sessuali ma pronto a registrare quelle degli avversari per farne uso indebito, abile nell'inventare nuove tecniche investigative e nel risolvere casi criminali eclatanti (come l'identificazione del rapitore del figlio di Lindbergh) ma smpre incline ad usare il ricatto, la bugia e soprattutto gli imponenti archivi riservati per colpire o condizionare persone anche di alto rango, se ciò era funzionale agli obiettivi prefissati. Detto questo, se Eastwood fornisce un'esauriente conoscenza della poliedrica figura di Edgar -su cui non viene espresso un giudizio di merito, lasciato invece al libero orientamento degli spettatori- nonostante qualche forzatura come l'insistenza sulla relazione d'amore omosessuale con l'assistente Clyde, sembra non provata ma solo sospettata, il film non convince pienamente. Gli autori sono eccessivamente chiusi sul personaggio ed i riferimenti al contesto storico sono alquanto limitati: Hoover fu un fenomeno tipicamente americano e non si presta a raffronti in altre parti del mondo occidentale. L'attenzione pressochè totalitaria all'aspetto biografico tende a soffocare ogni intento metaforico del potere e della sua degenerazione, tema su cui altri film anche recenti sono risultati più efficaci. Nè si ricordano immagini o situazioni indimenticabili: l'alternanza temporale non basta ad evitare qua e là cali di tensione ed un certo distacco emotivo. Resta la straordinaria interpretazione di DiCaprio, stavolta pienamente in parte, a pieno agio soprattutto nel ruolo di Hoover anziano, aiutato da un trucco strabiliante. Ottima Naomi Watts, la fedele segretaria, anche lei abilissima nell'assecondare la progressiva trasformazione anagrafica operata dal truccatore. Insomma interessante ma non all'altezza delle aspettative, se si confronta con la migliore produzione registica del grande Clint.
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babis
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lunedì 9 gennaio 2012
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un uomo discutibile
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A mio parere questo è uno dei film più belli realizzati da Eastwood, perchè presenta un personaggio estremamente discutibile della storia americana, il fondatore del moderno sistema di sicurezza. La regia e la fotografia sono impeccabili, anche se, nella ricostruzione storica manca il periodo della guerra fredda; la trama non ha rallentamenti o cadute di tono, anzi scorre velocemente. Inoltre l'interpretazione di Di Caprio e di Judi Dench si segnalano come impeccabili, per la resa delle emozioni vissute e mai dichiarate. Ancora una volta Clint non mi ha delusa.
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marco michielis
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lunedì 9 gennaio 2012
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clint torna a colpire
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Ebbene sì: dopo la sfortunata, a parer mio e generale, parentesi di Hereafter, il buon vecchio Clint confeziona nuovamente una pellicola degna del suo nome, della sua fama e della sua bravura. Affrontare la biografia di un personaggio storico, si sa, non è mai facile, e di certo prendere in considerazione una figura dell'importanza e della celebrità di Edgar Hoover non lo rende certo più semplice; però rende il tentativo di Eastwood ancor più affascinante. Ogni individuo, infatti, è composto da luci e ombre, ma è evidente (e forse anche giusto) che i vizi e le virtù dei personaggi più noti siano e siano sempre stati sulla bocca di tutti, e che tali persone non godano della stessa privacy di cui godiamo noi cittadini comuni.
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Ebbene sì: dopo la sfortunata, a parer mio e generale, parentesi di Hereafter, il buon vecchio Clint confeziona nuovamente una pellicola degna del suo nome, della sua fama e della sua bravura. Affrontare la biografia di un personaggio storico, si sa, non è mai facile, e di certo prendere in considerazione una figura dell'importanza e della celebrità di Edgar Hoover non lo rende certo più semplice; però rende il tentativo di Eastwood ancor più affascinante. Ogni individuo, infatti, è composto da luci e ombre, ma è evidente (e forse anche giusto) che i vizi e le virtù dei personaggi più noti siano e siano sempre stati sulla bocca di tutti, e che tali persone non godano della stessa privacy di cui godiamo noi cittadini comuni. Hoover non fa eccezione. Figura ambigua, eternamente in bilico tra ricerca della sicurezza nazionale e autoritarismo, ossessionata da pericoli reali o immaginari e da un patriottismo maniacale, caratterizzata da una mente febbrile ma geniale, capace di progettare alcune delle più moderne tecniche di investigazione, salvo poi rivelarsi tremendamente debole e dipendente dalla madre, connotata da un'omosessualità accettata con grande fatica (causata da una manifesta assenza di una figura paterna stabile, principalmente): questo è il gran capo dell'F.B.I. come ce lo presenta Clint Eastwood. Una prima parte di film rapida, frenetica, come rapida e frenetica è l'ascesa di J. Edgar alla carica da lui occupata per circa mezzo secolo, una seconda, e soprattutto un finale, in puro stile eastwoodiano, piena cioè di un'umanità commuovente nel descrivere la tragicità e il pathos delle vicende personali del personaggio in questione; si pensi, in particolar modo, alla morte della madre e al rapporto con il compagno di una vita, Tolson ("l'unica persona di cui abbia mai avuto bisogno" dirà ad un certo punto Hoover). Il tutto, con l'unica pecca, forse, dell'eccessiva lunghezza, condito da una fotografia magistrale, le cui luci e ombre rispecchiano quelle del protagonista, e da una grandissima performance del solito DiCaprio, in odore di Oscar. Ben fatta, Biondo.
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melville1970
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lunedì 9 gennaio 2012
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una bellissima storia d'amore
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Stupendo film, ben recitato e avvincente. E' un acuto ritratto della società americana tra gli anni Venti e gli anni Sessanta, e al tempo stesso è una bellissima e commovente storia d'amore assoluto. Adorabile il personaggio di Clyde Tolson. Uno dei migliori film di Eastwood.
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gpistoia39
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lunedì 9 gennaio 2012
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edgar, un classico tipo anale
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sono veramente dispiaciuta a commentare negativamente questo film dal quale mi ero aspettata tanto. Se penso a Gran Torino!!!! Oltre al personaggio, il signor Edgar Hoover, il tipico americano paranoico e ignorante, senza "guizzi" nella sua squallida vita privata e pubblica, il contesto del film è mal inventato, mal raccontato e quindi mal riuscito. Inoltre ci sono anche delle imprecisioni storiche. Povero Eastwood, aveva detto che Gran Torino sarebbe stato il suo addio al cinema, e invece! che disastro! gpistoia 1939
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saltovitale
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lunedì 9 gennaio 2012
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noioso e insulso
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Film cinematograficamente sgrammaticato. E noioso. Si inizia parlando di come Hoover diede vita all'FBI. Ma anziché spiegarci come la storia dell'FBI evolve e degenera (semmai) ci si sofferma sulle sue preferenze omosessuali. Che prendono il sopravvento facendoci perdere il filo. Da ultimo il finale non chiude nessuno dei due filoni aperti. Risultato: ci si annoia, e soprattutto non si capisce bene chi è stato questo Hoover, raccontandoci una storia di cui francamente facevamo anche a meno. Eastwood comincia decisamente a perdere colpi.
[+] verissimo...
(di bandy)
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