Drammatico,
durata 125 min.
- Italia 2010.
- 20th Century Fox Italia
uscita venerdì 21gennaio 2011.
- VM 14 -
MYMONETROVallanzasca - Gli angeli del male
valutazione media:
2,72
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
La dote è quella della violenza robusta e idealista degli anni ’70, declinata per strada, ma anche nelle tante pellicole a suffisso –violenta, di cui il nostro cinema è stato maestro, forse anche inconsapevolmente.
Coraggiosa, e neppure troppo ruffiana, al di là delle polemiche di routine, la scelta di Placido, che confeziona un biopic livido sui corpi e nelle tinte, dedicato ad uno che era nato per fare il ladro. Ma anche per far parlare di sé, per autocompiacersi della sua sfrontata bellezza criminale. Vallanzasca, il bel Renè, si staglia per due ore di film in tutto il suo magnetismo noir, e se un difetto c’è, è forse unicamente quello di aver scolpito un ritratto sin troppo statuario, dai lineamenti compiaciuti ed epici, quasi fosse un eroe di marmo da iconografia imperiale .
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La dote è quella della violenza robusta e idealista degli anni ’70, declinata per strada, ma anche nelle tante pellicole a suffisso –violenta, di cui il nostro cinema è stato maestro, forse anche inconsapevolmente.
Coraggiosa, e neppure troppo ruffiana, al di là delle polemiche di routine, la scelta di Placido, che confeziona un biopic livido sui corpi e nelle tinte, dedicato ad uno che era nato per fare il ladro. Ma anche per far parlare di sé, per autocompiacersi della sua sfrontata bellezza criminale. Vallanzasca, il bel Renè, si staglia per due ore di film in tutto il suo magnetismo noir, e se un difetto c’è, è forse unicamente quello di aver scolpito un ritratto sin troppo statuario, dai lineamenti compiaciuti ed epici, quasi fosse un eroe di marmo da iconografia imperiale .
Ma c’è tutto intorno alla figura di uno straordinario e sottovalutato Kim Rossi Stuart, un’ encomiabile lavoro di tessitura e messa in piega di una malavita sanguinariamente dandy, che viene restituita in tutto il suo fascino deviato e nei toni della sua poetica impropria.
Sicuramente non sono specchietti per le allodole i richiami a Truman Capote, il film è tutto poggiato sulla risolutezza di gesti condotti a sangue freddo, perché non c’è tempo per la paura o la redenzione, tra chi è diventato adulto in fretta. L’ azione si dipana come un tango vertiginoso, scandito dalla nevrotica colonna sonora made in Negramaro, e mette in scena la storia del verbo ciullare coniugato in ogni salsa.
Trionfo di un “bandito da strada”, come sentenzia Fede in un frammento TG di repertorio ? Probabilmente molto di più, tra gli spigoli di quel ghigno malefico che Placido ha studiato e restituito con applicazione documentaristica, nel rimontare gli anni acidi firmati RV. Quando non si fa prendere troppo la mano dai sussulti agiografici, il film tiene bene in vita una sorta di tenerezza epica che scorre parallela con le gesta dei cowboy della Comasina. In tal senso, l’uscita di Renatino dalla banca, dopo la mattanza del suo Fausto, ha in sé lo stesso epos funereo di tanti capolavori gangster del passato. Così come vi è un sussulto di giustizia anomala, di cui quasi si avverte il bisogno, nel sacrificio rituale degli infami che hanno tradito un’amicizia, prima ancora che una banda.
Film visivamente scomodo, non bastano i meravigliosi costumi settanta a dare colore e sollievo, c’è una patina blu-grigio gabbia che avvolge tutto il proscenio e intasa lo stomaco. Insieme con il troppo sangue chirurgico, forse mostrato con esagerata generosità, fino a divenire molesto allo sguardo.
L’ impressione è che la delirante vicenda umana di Vallanzasca sia stata in sé un episodio cinematografico più straordinario di qualsiasi tentativo di raccontarla, ma onore al merito ad un film che, nel bilancio finale, riesce a restituire l’ equilibrio morale fuori ordinanza di un uomo che ha, per sua stessa ammissione, il lato oscuro un po’ pronunciato. L’ equazione è quella giusta. Mala sì, ma pur sempre vita. [-]
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Un' ottima interpretazione da parte degli attori interpreti principali ma in particolar modo quella di Kim Rossi Stwart che continua a dare segni di spiccata bravura.La trama rispecchia un film storia realmente accaduta negli anni di piombo 70/80 e nel complesso un film piu' che simpatico da vedere.Voto 7+
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Renato Vallanzasca, il bel Renè, come lo chiamavano, non diventa un bandito a causa delle sue origini sociali, ma a causa di un impulso insopprimibile alla ribellione che fin da bambino si manifesta in lui e trova le prime forme di espressione proprio nell'infrangere la legge. Questa precocità, non incanaglita dal morso della condizione sociale, gli permette anche di emergere presto come capo naturale, dotato di un carisma e di un fascino anche erotico personale. In qualità di capo esprime una sua etica dell'onore e del valore umano che si mette in gioco nell'azione illegale.
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Renato Vallanzasca, il bel Renè, come lo chiamavano, non diventa un bandito a causa delle sue origini sociali, ma a causa di un impulso insopprimibile alla ribellione che fin da bambino si manifesta in lui e trova le prime forme di espressione proprio nell'infrangere la legge. Questa precocità, non incanaglita dal morso della condizione sociale, gli permette anche di emergere presto come capo naturale, dotato di un carisma e di un fascino anche erotico personale. In qualità di capo esprime una sua etica dell'onore e del valore umano che si mette in gioco nell'azione illegale. Questo lo distacca dallo sfondo meramente criminale del suo ambiente. Insomma, Vallanzasca è di per sé un personaggio perfetto per il cinema, dove il cattivo, con un che di positivo in sé, prende lo spettatore molto più del buono senza macchia e senza colpa. Vallanzasca, inoltre, ha rappresentato nel male certe caratteristiche di un periodo della nostra storia che il cinema ha il dovere etico ed estetico di raccontare. Per queste due precise ragioni, le proteste sollevate contro il film, che avrebbe fatto di un efferato assassino un eroe, seppur comprensibili, non riescono a cogliere nel segno. Pensiamo negli anni '70, proprio quelli di Vallanzasca, alla copiosa produzione del cinema italiano di quel genere che ha preso il nome di poliziottesco, dove erano i mitra e gli inseguimenti sanguinosi a farla da padrone. Ed è proprio questo genere, le sue sequenze adrenaliniche che il regista riesce a elevare a riuscita cifra stilistica per raccontare quel particolare spaccato criminale, carcerario che la banda Vallanzasca ha rappresentato sullo sfondo politico e sociale, altrettanto inquieto, del nostro paese in quegli anni. Semmai è proprio sulla figura del “capo”, che attraverso Vallanzasca viene qui messa in scena, che riemerge una vecchia ideologia, mai sopita e, anzi, sempre riaffiorante, sopratutto in Italia. Freud aveva già messo in risalto, negli anni '20, la complessa psicologia che si innesca tra la massa e la figura del capo, riscoprendone alcune componenti arcaiche, risalenti alla formazione dell'orda primordiale, ma pienamente in atto nella psiche contemporanea, sia individuale che collettiva: Da una particolare specie di identificazione-fascinazione scaturisce che il capo non sbaglia mai, non può sbagliare. Sono semmai quelli intorno a lui, quelli che lo consigliano, che gli riferiscono, che agiscono nascostamente contro i suoi dettami a sbagliare, a indurlo nell'errore. La caduta del fascismo nel nostro paese si alimenta ancora oggi di questa triviale vulgata, tesa a salvare la figura di Mussolini. Così Vallanzasca in questo film: sono sempre gli altri a indurlo nell'errore. La figura netta, pulita, etica a modo suo del bel Renè, nelle sembianze di un attore valoroso e fascinoso come Kim Rossi Stuart, si contrappone a quella buia, viscida nel suo tradimento dell'Enzino, l'amico del cuore fin dall'infanzia, perfettamente intonata in questo senso dalla particolare prova attoriale di Filippo Timi. C'è poi nel film un altro elemento che rafforza ed eleva quella del capo a figura quasi cristologica. La pulsione di Vallanzasca all'autopunizione fisica, alla feroce auto flgellazione corporale scatta sempre nella forma esteriore della ribellione al sistema giudiziario e carcerario, per assumere, però, il valore di una redenzione non solo personale ma universale.
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VALLANZASCA – GLI ANGELI DEL MALE (IT/USA/FR, 2010) diretto da MICHELE PLACIDO. Interpretato da KIM ROSSI STUART, FILIPPO TIMI, MORITZ BLEIBTREU, FRANCESCO SCIANNA, PAZ VEGA, VALERIA SOLARINO
1985, Appennino ligure: Renato Vallanzasca, nato a Milano il 4 maggio 1950, scappa da una cella d’isolamento presso uno stabilimento fluviale e ripercorre mentalmente la storia della sua carriera nel mondo del crimine, fin da quando, ragazzino, rubacchiava elettrodomestici coi fratelli per rivenderli alla gente del capoluogo lombardo (il che gli costò l’incarcerazione in una prigione minorile), per poi proseguire con le rapine che ne fecero, negli anni ’70, il più temuto bandito milanese e forse dell’intera nazione, a capo di una banda spietata e senza scrupoli che assassinò sette persone (quattro di questi omicidi sono attribuiti a Vallanzasca medesimo).
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VALLANZASCA – GLI ANGELI DEL MALE (IT/USA/FR, 2010) diretto da MICHELE PLACIDO. Interpretato da KIM ROSSI STUART, FILIPPO TIMI, MORITZ BLEIBTREU, FRANCESCO SCIANNA, PAZ VEGA, VALERIA SOLARINO
1985, Appennino ligure: Renato Vallanzasca, nato a Milano il 4 maggio 1950, scappa da una cella d’isolamento presso uno stabilimento fluviale e ripercorre mentalmente la storia della sua carriera nel mondo del crimine, fin da quando, ragazzino, rubacchiava elettrodomestici coi fratelli per rivenderli alla gente del capoluogo lombardo (il che gli costò l’incarcerazione in una prigione minorile), per poi proseguire con le rapine che ne fecero, negli anni ’70, il più temuto bandito milanese e forse dell’intera nazione, a capo di una banda spietata e senza scrupoli che assassinò sette persone (quattro di questi omicidi sono attribuiti a Vallanzasca medesimo). Detenuto in numerosissimi carceri (Rebibbia, San Vittore, ad Ariano Irpino, a Lodi), al processo che vide la sua caduta fu condannato a quattro ergastoli. Ribelle dallo sguardo gelido e dallo spirito indomabile, ladro e gentiluomo, assassino e delinquente dal fascino notevole, il personaggio contraddittorio, discusso e magnetico di Renato Vallanzasca viene analizzato a fondo nella sua contorta psicologia in questo potente noir con cadenze da thriller drammatico che rivisita la storia dell’ascesa del boss della Comasina. Le luci e le ombre delineano sul volto di questo individuo tanto rabbioso quanto bisognoso di contatti relazionali sicuri i tratti del mascalzone che terrorizzò l’Italia per un intero decennio, finendo spesso alla ribalta delle cronache giornalistiche e gettando nel panico Milano con una gang di collaboratori a lui non sempre fedeli, la quale riuscì comunque a mettere a segno tutti i colpi che si riprometteva. Cinque anni dopo Romanzo criminale, Placido e Rossi Stuart tornano a lavorare insieme sulla figura di un malvivente intelligente, razionale e irresistibile per le donne (ricevette centinaia di lettere dopo che fu sbattuto dietro le sbarre). Vallanzasca non è certo il Freddo, e il protagonista s’è dovuto allenare con molti mesi di preparazione: per lui romano, non è stato facile parlare con l’accento meneghino, ma il risultato finale sublima ogni aspettativa. Rossi Stuart imbastisce un’interpretazione straordinaria, valsagli il Nastro d’Argento 2011 come miglior attore, probabilmente irrobustita dal fatto che occupò un posto d’onore fra gli otto sceneggiatori della pellicola. Con uno script onestamente stringato, le lacune sono state colmate a dovere con fitte scene d’azione, fiumi di sangue che scorrono dopo ogni sequela di violenze, dialoghi densi di rapacità verbale, una costruzione generale accurata e una recitazione degli interpreti principali che rivela un fondo di impegno meritevole (spicca, fra tutti, Scianna nel ruolo di Francis Turatello, boss mafioso dapprima rivale e poi amico di Vallanzasca, con estrema vigliaccheria freddato a coltellate mentre si trovava in un’altra galera rispetto a quella del capobanda milanese). Placido mette sempre più a fuoco, film dopo film, il suo passato di poliziotto, e la sua regia dà prova di saper commisurare benissimo i contributi artistici (fra gli altri attori, da sottolineare pure: un Timi che, con l’abituale mistura di furia e irragionevolezza, è ormai infallibile; una Solarino moglie del carattere principale che lo implora, soprattutto dopo la nascita del loro unico figlio, di interrompere questa scia di reati; una Vega parrucchiera che funge da sorella per Vallanzasca, da lui conosciuta nel 1972 – parliamo solo della finzione scenica – al Largo Giambellino e poi mai abbandonata neanche durante gli anni brutali della detenzione) con quelli tecnici (il montaggio di Consuelo Catucci, la fotografia di Arnaldo Catinari e le funzionali musiche hard rock dei Negramaro), riuscendo pure ad inserire quella che, insieme a Romanzo criminale, costituisce la sua creatura partorita col minor travaglio e il maggior successo, in un contesto socio-politico che invece, alla presentazione del film al Festival di Venezia 2010, molti critici gli negarono. Ebbero torto: questo gangster movie è ambientato in un’epoca di cui dimostra di conoscere appieno le dinamiche, e mette immediatamente sul tavolo le carte per far intendere che non prende posizioni, né a favore della malavita organizzata né delle forze dell’ordine, anch’esse dopotutto criticate in maniera velata ma evidente per il loro agire spesso titubante ed incespicante. L’inghippo di cadere nel rischio di fare la versione milanese del film romano tratto dall’eccezionale capolavoro letterario dell’ex magistrato Giancarlo Di Cataldo è stato abilmente scongiurato proprio grazie alla definizione, semmai un po’ meticolosa ma pur sempre efficiente, di un habitat culturale nel quale questi uomini e queste donne, i primi assetati di potere e le seconde succube delle loro megalomanie, si muovono. Una morale che raccolga un significato capace di riassumere la personalità dell’attuale ergastolano che in questi centodiciotto minuti rivive il proprio iter criminoso la si può rintracciare nell’intervista che egli rilascia, verso il finale, a Radio Popolare, quando asserisce: «Io non sono cattivo. Ho soltanto il lato oscuro un po’ pronunciato». [-]
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Ho visto il film conoscendo già dalla cronaca e da approfondimenti il personaggio Vallanzasca, cosa dire? Il film con la regia di Placido ha un buon ritmo, Kim Rossi Stuart recita molto bene, i personaggi a mio avviso sono caratterizzati un pò troppo grossolanamente e sicuramente tutto questo da un'aria di "bonarietà" ai personaggi compreso il Vallanzasca, dove lo spettatore può facilmente affezionarsi e mitizare un pò. Inoltre non c'è alcun riferimento alla situazione politico sociale di quegli anni, tutto ruota intorno a lui: violenza, bellezza e simpatia.... La sceneggiatura tiene abbastanza, la storia scorre, a volte ci si perde nella freneticità della camera, dei cambi di situazione, ma tutto sommato come dicevo il film risulta essere discreto.
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Ho visto il film conoscendo già dalla cronaca e da approfondimenti il personaggio Vallanzasca, cosa dire? Il film con la regia di Placido ha un buon ritmo, Kim Rossi Stuart recita molto bene, i personaggi a mio avviso sono caratterizzati un pò troppo grossolanamente e sicuramente tutto questo da un'aria di "bonarietà" ai personaggi compreso il Vallanzasca, dove lo spettatore può facilmente affezionarsi e mitizare un pò. Inoltre non c'è alcun riferimento alla situazione politico sociale di quegli anni, tutto ruota intorno a lui: violenza, bellezza e simpatia.... La sceneggiatura tiene abbastanza, la storia scorre, a volte ci si perde nella freneticità della camera, dei cambi di situazione, ma tutto sommato come dicevo il film risulta essere discreto. Il personaggio ne esce simpatico, ma senza fare critiche a Placido, visto che la storia è partita da una sua autobiografia cosa si pretendeva?
Davide De Palo
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C'è chi nasce idraulico,chi carabiniere e chi come Vallanzasca ha avuto la vocazione del ladro. Ladro ma non assassino,Placido ce lo vuole rendere chiaro con questo film.
Il bel Renatino,affascinante ladro gentiluomo rischia di ammaliare con le sue battute,recitate da un bravissimo Kim Rossi Stuart,anche noi del pubblico.
Un film che merita a parte la storia,liberamente interpretata dal regista,anche per i costumi le location e per le performance perfette degli interpreti.
Un film da vedere assolutamente.
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Con "Vallanzasca - gli angeli del male" Michele Placido ha tentato, senza troppo riuscirci purtroppo (e dico purtroppo perchè apprezzo molto l'attore-regista di Foggia) di eguagliare il successo e soprattutto la spinta emotiva del ben più complesso e incisivo "Romanzo Criminale".
Intendiamoci, l'opera ha una sua valenza e una certa forza espressiva soprattutto nel cercare di sondare l'animo umano di quei personaggi che nella storia hanno lasciato il segno per le loro malefatte, la loro doppiezza, il loro essere, appunto, angeli del male, ma l'impianto resta un pò troppo ripetitivo e ricalcante la falsa riga del capolavoro precedente.
Kim Rossi Stuart si conferma, au contraire, uno degli attori più poliedrici della scena italiana e in questo film fagocita un pò tutti, compreso il sempre bravo Filippo Timi, ingiustamente messo in sordina dal regista.
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Con "Vallanzasca - gli angeli del male" Michele Placido ha tentato, senza troppo riuscirci purtroppo (e dico purtroppo perchè apprezzo molto l'attore-regista di Foggia) di eguagliare il successo e soprattutto la spinta emotiva del ben più complesso e incisivo "Romanzo Criminale".
Intendiamoci, l'opera ha una sua valenza e una certa forza espressiva soprattutto nel cercare di sondare l'animo umano di quei personaggi che nella storia hanno lasciato il segno per le loro malefatte, la loro doppiezza, il loro essere, appunto, angeli del male, ma l'impianto resta un pò troppo ripetitivo e ricalcante la falsa riga del capolavoro precedente.
Kim Rossi Stuart si conferma, au contraire, uno degli attori più poliedrici della scena italiana e in questo film fagocita un pò tutti, compreso il sempre bravo Filippo Timi, ingiustamente messo in sordina dal regista.
La vicenda narrata da Placido in alcuni tratti da per scontati troppi argomenti e considera "il bel Renè" (come venne soprannominato Vallanzasca) un personaggio talmente noto da poter permettersi di saltare qualche passaggio che invece sarebbe necessario per conoscere e soprattutto capire al meglio la storia.
Il film comunque non annoia mai ed è titolare di alcune scene forti che potrebbero anche ritenersi memorabili (il protagonista che si taglia per essere ascoltato dai secondini, che mangia delle viti per farsi ricoverare e successivamente fuggire, la descrizione di alcune rapine o dello stesso processo in cui è imputato per l'unico delitto che non ha compiuto).
Totalmente fuoriluogo, invece le polemiche politiche scatenate dalla pellicola in questione.
Renato Vallanzasca non è assolutamente dipinto come un eroe e non vi è la mitizzazione del suo vissuto e della sua personalità.
Esagerati i volantinaggi e i sit-in di protesta di sindacati di polizia e associazioni delle vittime contro un'opera che in ogni caso ha il merito di parlare di vicende scomode e non certo edificanti della nostra nazione.
Un film d'autore quindi che, in ogni caso, fa bene al cinema italiano e non solo.
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Regia di Michele Palcido, scenografia di Gerardo Amato, con Kim Rossi Stuart, Filippo Timi, Valeria Sorrentino, Moritz Bleidtreu, Paz Vega e Francesco Scianna. Durata: 125 min. Genere: poliziesco, biografia. Anno 2010.
«C'è chi nasce scarafaggio, chi scienziato, chi Santa Maria Teresa di Calcutta... Questi tizi davanti a me, per esempio, sono nati per fare le guardie... e io... io sono nato per fare il ladro».
Questa è una delle battute iniziali del film di Michele Placido “Vallanzasca – Gli angeli del male” che ripercorre le vicende che hanno portato Renato Vallanzasca ad essere il criminale più temuto e amato degli anni '70.
Il regista, coadiuvato degli sceneggiatori, riesce a confezionare una biografia del ladro che non deve obbligatoriamente giudicare le azioni della Banda della Comasina, ma che mostra i fatti che hanno caratterizzato il milanese negli anni Settanta.
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Regia di Michele Palcido, scenografia di Gerardo Amato, con Kim Rossi Stuart, Filippo Timi, Valeria Sorrentino, Moritz Bleidtreu, Paz Vega e Francesco Scianna. Durata: 125 min. Genere: poliziesco, biografia. Anno 2010.
«C'è chi nasce scarafaggio, chi scienziato, chi Santa Maria Teresa di Calcutta... Questi tizi davanti a me, per esempio, sono nati per fare le guardie... e io... io sono nato per fare il ladro».
Questa è una delle battute iniziali del film di Michele Placido “Vallanzasca – Gli angeli del male” che ripercorre le vicende che hanno portato Renato Vallanzasca ad essere il criminale più temuto e amato degli anni '70.
Il regista, coadiuvato degli sceneggiatori, riesce a confezionare una biografia del ladro che non deve obbligatoriamente giudicare le azioni della Banda della Comasina, ma che mostra i fatti che hanno caratterizzato il milanese negli anni Settanta. Proprio astenendosi da giudizi scontati ed inutili il film acquista, già dopo pochi minuti, un ritmo incalzante e trasporta lo spettatore vicino agli antieroi criminali rendendolo un membro della temuta Banda della Comasina.
La recitazione è buona e gli attori hanno interpretato correttamente il loro ruolo. Il personaggio principale, Renato Vallanzasca, è interpretato magistralmente da un ottimo Kim Rossi Stuart, già conosciuto per il film “Romanzo Criminale” sempre diretto da Placido, forse è proprio grazie alla sua ottima performance che il film acquista tensione e ritmo. Nel cast spiccano i nomi di Francesco Scianna e Valeria Sorrentino; il primo, apprezzato già nel pluripremiato “Baaria” di Giuseppe Tornatore con cui ottiene la candidatura agli Oscar e al Golden Globe 2010, interpreta Francis Turatello prima nemico poi testimone di nozze di Vallanzasca; la bellissima attrice venezuelana (nasce a El Morro de Barcelona) interpreta la prima moglie di Renato Vallanzasca, donna forte che si troverà ben presto a dover crescere un figlio sola senza il marito carcerato.
Il film è sicuramente uno dei titoli italiani migliori degli ultimi anni, richiama per tema e periodo storico il precedente film di Michele Placido: “Romanzo Criminale” che rimane comunque da preferire. La vera sorpresa resta la stupefacente interpretazione di Kim Rossi Stuart.
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[+] lascia un commento a cicciolanza12 »[ - ] lascia un commento a cicciolanza12 »
Michele Placido negli anni è diventato un buon artigiano del cinema italiano, sa essere un ottimo direttore di attori, un discreto regista e tratta argomenti dell’Italia del Secolo Scorso cercando di capire misteri e tragedie spesso senza un finale chiaro nella realtà di quei tempi.
Devono essere stati anche anni fondamentali per Placido, perché in genere un regista fa al massimo un paio di film ‘ storici ‘ sugli stessi anni ( eccezione Luigi Magni che ha fatto quasi solo film sul Risorgimento e sulla Roma papalina ), invece lui prima di questo non riuscitissimo “ Vallanzasca “ ha realizzato “ Il grande sogno “ ( 2009 ), “ Romanzo criminale “ ( 2005 ) e andando rapidamente all’indietro “ Del perduto amore “ ( 1998 ) e “ Un eroe borghese “ ( 1995 ).
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Michele Placido negli anni è diventato un buon artigiano del cinema italiano, sa essere un ottimo direttore di attori, un discreto regista e tratta argomenti dell’Italia del Secolo Scorso cercando di capire misteri e tragedie spesso senza un finale chiaro nella realtà di quei tempi.
Devono essere stati anche anni fondamentali per Placido, perché in genere un regista fa al massimo un paio di film ‘ storici ‘ sugli stessi anni ( eccezione Luigi Magni che ha fatto quasi solo film sul Risorgimento e sulla Roma papalina ), invece lui prima di questo non riuscitissimo “ Vallanzasca “ ha realizzato “ Il grande sogno “ ( 2009 ), “ Romanzo criminale “ ( 2005 ) e andando rapidamente all’indietro “ Del perduto amore “ ( 1998 ) e “ Un eroe borghese “ ( 1995 ).
Placido si è ritagliato uno spazio nel panorama del cinema italiano, inserendosi in parte in quello “ civile “, e questo è un suo indiscutibile merito non essendoci più un filone del genere in Italia e i solitari tentativi spesso sono risultati afasici, satolli e inconcludenti.
Ma Placido come persona e come sceneggiatore ci sembra molto istintivo, con un carattere fiammiferino che condiziona quel lato delle storie che richiederebbero più freddezza ideologica e razionalità espressiva. Errore che non capitava a maestri del cinema italiano come. in primis, Francesco Rosi, ma anche Elio Petri o Giuliano Montaldo.
E anche in quest’ultimo film c’è un istinto a indugiare sui protagonisti, sinceramente troppo simpatici e piacioni come Vallanzasca e soprattutto Turatello ( che probabilmente saranno stati anche quello ma soprattutto “ degli angeli del male “ che hanno provocato morte e non solo si sono trovati in mezzo alla morte casualmente ).
E poi, per noi, “ l’idea “ del film collima spesso con un’analisi, se non ideologica, politica dei personaggi e del tempo in cui vivono, non si può raccontare un’epoca solo cronologicamente; perché chi l’ha vissuto ne sente la mancanza e chi non ha vissuto quegli anni vede solo dei banditi che sparano e ammazzano per una vita migliore.
Se vogliamo fare un paragone, citiamo un non eccelso ma efficace “ Banditi a Milano “ di Carlo Lizzani.
Il film inizia quando Renato Vallanzasca ha otto anni, fa parte ( siamo alla fine degli Anni Cinquanta ) di quel mondo ancora primordiale e quasi preindustriale che cantava Celentano con “ Il ragazzo della via Gluck “, lui però è di zona Lambrate dove la madre aveva un negozio d'abbigliamento. il padre invece era sposato con un'altra donna ( ma nel film tutto questo non c’è,
anzi appare una gentile coppia di genitori silente e affezionata ).
E’ già un bimbetto carismatico ed ha una piccola banda, con loro prova a liberare una tigre dalla gabbia di un circo e viene in contatto per la prima volta con la polizia.
C’è un salto temporale e ritroviamo Renato adulto e già con il soprannome di “ Bel Renè “, è un bulletto di periferia, protervo, carismatico, pronto a tutto e con una facile presa sulle belle ragazze di night. Prima rapina a un portavalori cercando di non far male a nessuno. Tutto fila liscio, ma la polizia lo incastra e subisce una condanna a sei anni di carcere.
Ma oltre a non fare “ la spia “ a non piegarsi ai soprusi in carcere, a essere un capo, è anche autolesionista, si taglia con una lametta sul corpo, sanguina copiosamente, trangugia chiodi per protestare.
Evade, accetta che la sua donna con cui ha un figlio ha deciso di non aspettarlo, ritorna “ alla grande “ nella malavita milanese, con il solito armamentario di rapine, bella vita notturna, giocate a poker e bische clandestine; poi inizia lo scontro con il ras delle bische Francesco Turatello.
Un blocco del film corposo e “ troppo simpatico “ in cui i due si scontrano e si incontrano dalla strada al carcere inizialmente con morti reciproci e poi diventando amici per la pelle. Altre rapine, carcere ed evasione da una nave durante un trasferimento. Assistiamo a un processo dall’atmosfera da spettacolo leggero e poi con la condanna a vita tutti diventano seri.
Renato Vallanzasca sarà condannato complessivamente a quattro ergastoli e a 262 anni di prigione.
La scena finale e la conferma dell’idea centrale del film di Placido, Vallanzasca viene fermato ad un autogrill da un giovane poliziotto inesperto di vent’anni, Renato ha la pistola, potrebbe reagire, ma non vuole uccidere un ragazzino, sorride e si fa arrestare. Sappiamo bene che il cinema non è la realtà, che ci sono tante licenze narrative ( ed è anche giusto ) ma in questo film onestamente non si comprende chi sia stato Vallanzasca.
Facendo un bilancio sembra che sia stato un ribelle, simpatico, amato dai suoi compari, rispettato anche dalla camorra di Cutolo, desiderato da migliaia di donne e in fondo un malavitoso che non voleva arrecare morte e danni ma solo vivere sulle spalle della società. In realtà anche un fatto veramente grave come far insorgere un carcere intero, sequestrare dei poliziotti, bruciare e distruggere suppellettili e celle soltanto per poter ammazzare un suo amico pentito sembra un fatto come un altro e non che lui sia veramente un criminale pericoloso; risulta quasi un personaggio romantico shakespeariano.
Un film che si vede con facilità e leggerezza, con una buona regia, un ottimo montaggio, uno splendido cast d’attori e da segnalare l’ottimo Filippo Timi.
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Ottime le interpretazioni di K.R.Stuart e Filippo Timi! Credibili e affascinanti le ambientazioni anni 70.
E' evidente che la figura di Vallanzasca ne esca sullo stile dei romanzeschi ladri-gentiluomini che hanno dovuto scontrarsi con soci inaffidabili e uno stato brutale ed è evidente che questo oltre ad essere improbabile risulti irrispettoso per le sue vittime dirette o indirette... ciò nonostante il film è avvincente e lineare con quello che presumibilmente sono stati i fatti e le atmosfere del tempo
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